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domenica, ottobre 19, 2008

Autumn took my life

Ad un certo punto dell'autunno.

Quasi alla fine di ottobre, ad esempio.
Un sentiero ricoperto di foglie secche e castagne, da affondarci i piedi.
Le frittelle alle mele, gonfie, con lo zucchero a velo sopra. 
La gente cammina, passa, va. 
Nessuno urla ed è meraviglioso. 
Il sole è arancione come il the quando ci spremi il limone al punto giusto.
Vorrei avere una casa con un pontile o con una veranda, in alternativa.
Sedermi lì sul far della sera, guardare le cose che aspettano il buio, ascoltare il rumore di tante piccolissime voci che si fanno sempre più sottili.


domenica, ottobre 12, 2008

saluti e baci/i nebulosi anni delle superiori

ovvero:

quando il sabato sera ti ritrovi per qualche minuto in mezzo a gente di un secolo fa e ti si chiude la pancia di scatto


Riguardo gli anni delle superiori, periodo che molti indicano nella loro esistenza come età aurea di felicità a manetta e grandi gozzovigliamenti, io posso limitarmi a dire che nonostante tutto mi sono divertita. 

In quel nonostante si nascondono amicizie sbagliate, amori impossibili, struggimenti inutili per il mondo circostante, prolungato ascolto di creep dei radiohead, utilizzo di pantaloni militari, scarpe da ginnastica con spille da balia, frequentazione del liceo scientifico cittadino con annessi e connessi ecc. ecc.

Sebbene da allora sia cresciuta e abbia superato tutta una serie di cose per cui il mio cuore era solito cadere in pezzi, nonostante tutto, accade che, nei luoghi della movida notturna di seattle, circondata da quel panorama di individui che popolava i miei anni delle superiori (compagni, conoscenti, emeriti sconosciuti incrociati nei corridoi e nelle lunghe e ipnotiche vasche sul corso), lo stomaco mi si stringa in una ferrea morsa e improvvisamente mi ritrovi catapultata in quegli anni senza scudo e senza corazza, quando a tutti riusciva di leggere la mia diversità di prospettive senza che me ne accorgessi.

E’ una scemenza da adolescenti lo so, e anche un periodo troppo lungo che necessiterebbe di maggior punteggiatura.

Lo scrivo perché iersera ho interagito con un personaggio di quegli anni che dopo pochi secondi di scialba conversazione ha dato uno sguardo di disapprovazione alle mie scarpe senza tacco, ai miei normalissimi jeans, ha giudicato il mio rimmel un po' sbavato di fine serata, e mi ha congedato semplicemente voltando il suo drink in un'altra direzione.


In altre circostanze l'avrei sicuramente mandata a ca**re. 

Eppure ieri per qualche strana coincidenza cosmica mi sono ritrovata a pensare a quella vita lontana del liceo e a quel binario su cui sarei potuta saltare a piedi pari diventando più happy hour e meno impegnat-iva, emozionandomi per cose altre rispetto a ipotetici collegamenti tra Calvino e Thoreau.

In seconda battuta ho analizzato il fatto che all'università, seppur in un turbine di esseri bipedi lontani da me anni luce, mi pare di indossare un'armatura scintillante di pensieri, letture, sogni, canzoni e storie che impedisce ogni colpo basso, ogni sguardo cattivo e mi fa andare avanti a testa alta.

A contatto con la gente di un secolo fa, però, quest'armatura sembra sgretolarsi e mi sento solo una con le scarpe sbagliate e la cordialità fuori luogo, come se stessi partecipando a una grande festa dove tutti possono fare benissimo a meno della mia presenza, sei solo una persona in più, quello che fai o come vivi non conta nulla.

Gli anni delle superiori per me sono finiti da un pezzo, chiusi tra due parentesi quadre nette e quadrate, quasi tutti i legami e le coordinate cambiate per sempre. 

Non ci sono saluti e baci da regalare ma solo voglia di essere altrove, con gli amici di oggi, le risate di oggi, i vestiti di oggi e l'ultima corazza rimediata.


.




mercoledì, settembre 03, 2008

Comeback cupcakes (le tortine del ritorno)

Mercoledì pomeriggio.
Il tempo si mette al brutto e il mio raffreddore da ritorno spara le ultime cartucce privandomi dell'udito e dell'olfatto. 
Le fotocopie per l'esame anziché diminuire paiono moltiplicarsi. 
Forse è questione di prospettive e di suggestioni personali, ieri mentre mi trascinavo a casa con un paio di pizze da asporto mi è sembrato di sentire rumo
re di gabbiani nel cielo.
Sono qui ma non sono qui, sono qui ma vorrei essere altrove. 
Non tanto per l'essere in vacanza in sé, quanto per l'essere altr-ove, in un dove diverso da questa Seattle ripopolatasi improvvisamente di ragazze in hotpants e uomini lampadati. 
Vorrei un pianeta piccolo fatto su misura.
E così, come tutte le volte in cui mi sento piena di nodi che si attorcigliano come i serpenti sotto i piedi di Indiana Jones mi metto ai fornelli.
Zitta zitta, con i miei appunti, le mie ciotole, la mia pesa scassata e Giulio che infila le zampe nello zucchero a velo.
Misuro, mescolo, centrifugo, cuocio. 
Fuori si scatena un temporale violentissimo.
Ma io sono nel mio piccolo pianeta fatto di vaniglia e pirottini e zucchero a velo. 
Alla fine del mio operato ho prodotto dei cupcakes alla vaniglia con glassa al limone, altresì ribattezzati "le tortine del ritorno" perché spero di guarire dalla sindrome del ritorno, perché il cibo è qualcosa che dà sempre soddisfazione e perché a volte per sentirsi a casa, non è importante essere in un posto piuttosto che in un altro, ma scendere a patti con noi stessi.
E non c'è niente di meglio per corrompere la propria volontà che un dolcetto esageratamente ipercalorico.

P.s. Grazie a Enzo per la cartolina piena di pecore pelose....subito piazzata sul muro di fronte la scrivania.

mercoledì, giugno 25, 2008

Time after time

Dieci anni fa iniziavo l'estate in un modo diverso.

Avevo quindici anni, dieci anni fa. 
Avevo i capelli corti, amici diversi, labirinti davanti a me che non potevo immaginare.
Dieci anni fa non avevo ancora messo un paio di scarpe col tacco, non ero andata a un colloquio di lavoro, non avevo compilato un curriculum, avevo solo una vaga idea di cosa volesse dire rimmel.
Giocavo a pallavolo. Scrivevo quaderni pieni di confusioni adolescenziali. 
Mi trovavo carina e non bella, mi trovavo divertente senza sapere chi fossi davvero.
Sono passati dieci anni e un po' di giorni. 
Oggi in viaggio-avventura con l'amico che forse avrei voluto incontrare dieci anni fa sono andata a un colloquio forse importante, forse solo un'altra storia da raccontare. 
E mi sono divertita, mi sono sentita adulta senza sentirmi i pesi agganciati alle caviglie. 
Ho mangiato una valanga di sushi nella milano afosa e stranamente colorata, stranamente piena di alberi. 
Ho camminato ascoltando i ricordi di un pezzo di vita che è passata di lì, ho ripensato alla mia stanzetta francese con le montagne da una parte e dall'altra. 
A quando vent'anni fa Milano nella mia mente era soltanto Burger King e l'Ikea.
A quando il mondo era una continua magia. 
Crescendo sembra che sfugga da tutte le parti, come in una clessidra bucata. 
E invece c'è e rimane, nelle cose belle, nelle amicizie, negli amori, nelle pagine che si sfogliano una dopo l'altra.
Per chi parte buona estate, e per chi come me, per studio-lavoro-altro resta...
buona estate ugualmente.

lunedì, maggio 12, 2008

*L'innocenza

L'innocenza.

Ritrovare l'innocenza.
L'imperativo categorico dell'immaginazione: "devi immaginare"
L'innocenza è quella cosa lì che crediamo di sapere tutti e anche una canzone per me bellissima.
L'innocenza è il gusto dell'irrealtà. 
Siamo innocenti quando siamo piccoli, quando ancora abbiamo un'idea del mondo tutta nostra e viviamo ogni novità con sorpresa anziché farci venire una ruga in più sulla fronte. 
Esercitare l'innocenza fissando la luce attraverso le foglie degli alberi e i papaveri che crescono vicino ai binari come in una pubblicità del mulino bianco.
L'innocenza è quella cosa che mi fa sentire fiera, quella minuscola particella tutta bianca e stupore che mi circola nel sangue e ogni tanto penso davvero e profondamente sia la parte più importante di me, quella che mi tiene in vita in un certo modo, che mi fa vedere ancora le cose a colori.
L'innocenza è un riff di chitarra che sa moltissimo di afa estiva e di lunghi sguardi attraverso.
Forse non sarò mai niente nella vita ma di una cosa sono sicura.
L'unico modo di essere fiera di me stessa è cercare quell'innocenza continuamente.


mercoledì, aprile 30, 2008

everywhere I look around

Fuori grigio e io cazzeggiocazzeggiocazzeggio.

Principalmente gioco con lastfm, decidendo se una canzone mi piace o no dopo trenta secondi scarsi. Principalmente lascio che la testa si abbandoni a tutta la pesantezza di tre ripetute sveglie mattutine alle ore 6.30, ora che si era già detto qui non appartiene al mondo dei vivi, appartiene a una specie di intramondo con colori, suoni e conversazioni ad alto tasso surreale. In fin dei conti ho delle perline di malinconia che mi rotolano per le pareti dello stomaco. 
Ma si tratta di quei solletici passeggeri dovuti un po' al tempo, un po' perchè a dormire in treno mi è venuto il torcicollo, un po' perchè da due giorni ricordo la trama di un libro senza ricordarmene il titolo. 
Domani altra grigliata scaccia tristezza. 
Maggio avanza signori e signore ma i maglioni pesanti sono ancora tutti lì e i libri accumulati di nuovo in giro per la stanza e i fogli ovunque. 
Sulla via del ritorno ho raggiunto l'apice del ridicolo guardando fuori dal finestrino le risaie umide che più umide non si può e autocitandomi con tre versi mentali di una poesia che avevo scritto, forse al liceo o no, forse,semplicemente in sogno.
La primavera è così: scombussola, tira fuori le robe che stavano sotto terra, soffia nuvole ove più le pare, mi induce all'acquisto di magliette con le mezzemaniche.
L'ho detto che la testa era pesante.
Quello che non ho detto é che avrei scritto in modo totalmente nonsense.
So sorry.

mercoledì, aprile 16, 2008

Finchè ci saranno risate

Oggi per un attimo è stato come essere sulla scena di un film. Un bel film di quelli che scaldano il cuore, con dialoghi intelligenti, la giusta dose di ironia, la giusta dose di malinconia e il tempo che scorre in sottofondo come un frusciare di seta. 

C'era questa terrazza tutta bianca e persone conosciute e non, che parlavano tra loro, tranquillamente della loro vita, delle loro storie con semplicità assoluta; ogni tanto scoppiava una risata, seguiva un brindisi e il resto, quel resto che alcuni giorni preme sulle palpebre e sulla bocca con forza, sembrava sfumarsi, entrare in un secondo lontanissimo piano. 
Io ero sveglia dalle sei e mezza e avevo trascorso l'intera giornata su un paio di scarpe col mezzo tacco che dovrebbero servire a curarmi una fascite ma che non fanno parte della mia persona. Così le ho tolte e giravo scalza con il bicchiere in mano e nonostante tutta la giornata sulle spalle un'energia bella, nuova, che non sospettavo di poter avere.
Mi succede sempre in momenti così. 
Mi guardo intorno e fermo brevissimamente un'istantanea da poter conservare nel cuore. 
Per ricordare che ci sono persone belle ancora, e discorsi coraggiosi ancora e tanta poesia nascosta ovunque. 

mercoledì, aprile 09, 2008

lluvia (si scriverà così?)

Oggi in treno pensavo a una scemenza.

Ovvero alle goccioline di pioggia che cadono sopra i treni e si fanno trasportare da una parte all'altra, attraversano diverse città e arrivano a cadere in un punto completamente diverso da quella che avrebbe dovuto essere la loro traiettoria.
E' una bella cosa, sfuggire poeticamente al proprio destino.
Ho fissato per un po' quelle che stavano appiccicate al mio finestrino e ne ho individuata una che è rimasta lì per un'oretta buona e poi è stata spazzata via da un treno che arrivava in un altra direzione. Mi sono venuti in mente le gocce di Federigo Garcia Lorca.
Vi copio il pezzo qui, che è bello:
 "Gocce. Occhi di infinito che guardano il bianco infinito che le generò [...] son poeti dell'acqua che han visto e meditano ciò che la folla dei fiumi ignora".


mercoledì, marzo 26, 2008

h.b.

Modifica
Alla fine, riflettendoci, un post con un'immagine e basta, per di più in bianco e nero, per di più vagamente drammatica era troppo criptico anche per me.
Vero che nell'ultimo periodo ho avuto solo un grandissimo desiderio di ripiegarmi su me stessa come una foglia. 
E' stato strano questo marzo. 
Troppo freddo, troppo grigio, troppi giorni passati a chiudere gli occhi la sera pensando a tutto quello che avrei voluto ma non ho effettivamente potuto fare. 
Chissà perché ci sono quei periodi in cui le cose cadono a valanga, una dopo l'altra, come quando apri per sbaglio l'anta di un armadio e ti precipitano addosso oggetti che non ricordavi nemmeno di avere nascosto lì.
Sono piena di cassetti nascosti io, ogni tanto me ne dimentico, poi arrivano periodi strani e inizio a sentirli cigolare, socchiudersi, cadere fragorosamente.
Domani è il mio venti-cinque-esimo compleanno.
Un altro cassetto, mi sa.


lunedì, febbraio 11, 2008

*anyone else




Oggi sono rimasta a casa per un lungo ripasso per l'esame di storia infinita, quello dal 1848 a oggi, come si trattasse di mandare a memoria quattro serie di beautiful.
A dir la verità sono uscita, giusto dieci minuti, sul balcone a mettere l'acqua al vaso di erba gatta.
Freddo è freddo.
Dire che si sente la primavera nell'aria sarebbe una grossissima bugia.
Eppure qualcosa c'è, l'ho sentito attraverso la stoffa del pigiama.
Il cielo sereno magari.
Il pensiero che gli anni passano e non è poi così male accumulare momenti.
Sembra ieri che scrivevo quaderni su quaderni nella cieca convinzione che sarei diventata un allen ginsberg al femminile e mi perdevo nell'ascolto continuativo di canzoni che mi aiutassero a catturare quel momento particolare.

Certe volte ha funzionato.
Certe volte ascolto qualcosa e non solo mi ricordo come stavo, com'ero vestita, se faceva caldo o freddo.
Ricordo anche con precisione chi ero allora.
Ricordo che cercavo sempre un pennarello che scrivesse fino alla fine tutto quello che sentivo di dover dire senza scaricarsi.
Oggi sento ancora di dover dire qualcosa?
Credo di sì, qualcosa c'è ancora.
Anche se non urla più, anche se a volte è solo un sussurro leggero come un battito d'ali che mi attraversa la mente. Però sento di doverlo condividere con la me stessa che verrà.
C'è una canzone quindi infine.
Che mi ricorderà chi sono stata in questo periodo, cosa mi tamburellava le pareti del cervello e cosa sognavo per me e per il resto del mondo.
La condivido con chiunque di voi abbia un paio di minuti da buttare via.
Io la trovo bellissima.



mercoledì, dicembre 05, 2007

7 a.m.



Alle 7 di mattina il mondo è perfetto.

Sì è vero, sto correndo per prendere l'n-esimo regionale, e sono pur sempre le sette, e se avessi facoltà di volere sceglierei di rimanere nel mio caldo giaciglio il più a lungo possibile a sognare di posto molto lontani e molto felici, e so benissimo che il mercoledì è pur sempre il mercoledì, quella giornata stronza che si piazza a metà settimana e mi succhia via l'anima peggio dei dissennatori di Harry Potter, e che forse avrei dovuto studiare medicina e nascere in Svezia, alta, bionda e affettivamente legata ai Krisprolls.

Però giuro che il mondo è innegabilmente perfetto in quel momento lì, mentre scatto una fotografia prima della corsa finale al binario, non c'è virgola che potrei cambiare, voce che vorrei aggiungere, non c'è niente che potrebbe spegnermi gli occhi in quel secondo assoluto. Ginsberg diceva (in una delle poche poesie che mi sia mai riuscito di imparare a memoria) che il mondo, a dispetto della sua totale dolorosa imperfezione, che il mondo ha una bellissima anima.

Ora, io non sono sicura di avere ancora un'idea precisa su quello che sto studiando da tre anni a questa parte (consolante, vero?) e ho come la sensazione che non l'avrò mai. Però mi succede a volte di provare uno stupore inspiegabile per le cose, che siano cieli strabilianti la mattina presto o pipposissime teorie filosofiche su come (forse) dovrebbero (probabilmente) andare le cose(ammesso che esistano).

Ed è bello, innegabilmente, come la perfezione del mondo alle sette di mattina.

Non faccio che piangere adesso.

Ho pianto tutta la strada quando sono uscito dal Wobby Hall di Seattle.

Ho pianto ascoltando Bach.

Ho pianto guardando i fiori felici nel mio cortile,

ho pianto alla tristezza degli alberi di mezza età.

La felicità esiste lo sento.

Ho pianto per la mia anima,

ho pianto per l'anima del mondo.

Il mondo ha una bellissima anima.

Dio appare per essere visto e per essere pianto.

Cuore traboccante di Paterson.

Allen Ginsberg

domenica, ottobre 21, 2007

Winter in Seattle

Seattle del Piemonte, interno, domenica sera.
Una fioca luce fa brillare le copertine di un concettuoso libro di storia contemporanea di settecento pagine e di un volume sulla letteratura italiana dell'ottocento sottolineato con l'evidenziatore giallo.
Un gatto bianco e rosso si aggira nei dintorni di un tavolo azzannando con ferocia le caviglia della protagonista.
La protagonista sta scrivendo un post sul suo blog.
Fuori fa un freddo bastardo e lei un po' è contenta perchè finalmente ha potuto sfoggiare il suo cappotto grigio da intellettuale organica.
Un po' invece pensa all'inverno e l'inverno è una di quelle cose che la rendono malinconica.
Come il fatto che domani è lunedì e il regionale con i vetri tutti appannati la aspetta inesorabilmente per traghettarla oltre regione.
E che i weekend passano così in fretta e diventano subito away.
Il gatto salta sul computer e desidera ardentemente impadronirsi del puntatore del mouse.
La protagonista lo allontana affondandogli le dita nella pancia morbidissima e crede che avere un gatto peloso sia una delle cose che possono migliorare l'umore di una persona.
Oggi il sole era rosso ed è andato giù a picco dietro le montagne, dietro le teste della gente che camminavano strette strette per le vie di una cittadella commerciale.
Sembrava Natale quasi.
La Protagonista apre windowsmediaplayer e diffonde qualche nota dei Decemberists nell'aria.
Ci vorrebbe più tempo per tutto. Ci vorrebbero meno caffè, meno chilometri, meno esami, meno sveglie sui cellulari, meno lacci annodati, meno pagine, meno parole.
Ma la Protagonista non è triste e non si dà per vinta. Sa che l'influsso negativo di Marte passerà e presto sarà ora di trangugiare cicciose cioccolate calde traboccanti di panna.
E una cosa deve confessarla.
Che, in fondo, inforcare gli occhiali da riposo e ricominciare a sentirsi una persona intelligente non è poi tanto male.

giovedì, agosto 30, 2007

quando non si ha troppo da raccontare meglio far parlare qualcun'altro

All' Ipotetico Lettore

Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno la sentirai fuggire.
Fa' che siano allora come foglie e come vento, assecondando il suo volo.
E sappi che l'affetto nell'addio non è minore che nell'incontro.
Rimane uguale e sarà eterno.
Ma diverse sono talvolta le vie da percorrere in obbedienza al destino.

Margherita Guidacci
(1921-1992)

mercoledì, agosto 15, 2007

(...)

Più che raro credo.
O forse più frequente di quanto io pensi.
Incontrare una persona che te ne ricorda un’altra, che hai perso con gli anni o che credevi di aver perso e invece ti ritrovi a pensare che quella smorfia particolare e quel modo di muovere gli occhi sono e resteranno sempre i suoi.
Non sto parlando di un ex-amore, o di un ex-ragazzo o di tutte quelle cose odiose che iniziano con il prefisso ex e ti fanno sentire più vecchia di quanto non sei.
Sto parlando di quello che era il mio migliore amico e che forse, in un universo perfetto dove non esistono gelosie, invidie e sentimenti contrastanti, resterà come tale per sempre.
Quel posto rimasto semplicemente vuoto, quello di una persona seduta allo stesso tavolo per tanti anni che all’improvviso si alza e ti saluta con un confuso gesto nella mano.
Così.
Non lo sento da più di un anno ormai, l’ho intravisto soltanto una volta, qualcuno mi racconta che è dimagrito, che esce sempre con quella ragazza di cui era innamorato e che magari col tempo si è innamorata di lui.
Se dicessi che provo nostalgia non direi il giusto.
Nessun rimpianto.
Perché finché siamo stati noi, finché siamo stati in quella parentesi di vicinanza così delicata che è l’amicizia, ci siamo consumati di chiacchiere, esperienze, consigli e segreti.
Che non ho mai svelato a nessuno. Che non svelerò mai.
Che terrò sempre chiusi nel cassetto del nostro essere amici.
Ho ancora una sua lettera di compleanno in un cassetto.
"...sempre dalla tua parte”.
Per tanto tempo ci ho letto solo l’impulso di un momento, quello che porta a pronunciare frasi di cui uno si pentirà in seguito o promesse cui non potrà tenere fede.
Adesso so che non è così.
Quelle parole sono vere.
Nell’universo perfetto dove non esistono gelosie, drammi esistenziali e sentimenti contrastanti la nostra amicizia durerà per sempre.
Saremo seduti in qualche sera di fine luglio, su qualche panchina di fine luglio con la nostra corona ghiacciata in mano a parlare di tutto il resto.

(Sempre dalla tua parte, in un modo o nell'altro).

giovedì, agosto 09, 2007

ricordo di un'estate

Una nave bianca attraversa lentamente tutto l'orizzonte che riesco a vedere, da una parte all'altra, lentamente.
Sono seduta su un muretto umido, forse sono le sei del mattino, forse molto prima.
La luce del sole è solo un bagliore soffuso nell'aria che illumina appena le cose.
Sono scappata dalla finestra di un bungalow in cui dormivamo in cinque con due letti, c'era quel ragazzo svedese che dormiva sul pavimento appoggiato alla porta, aveva una camicia hawaiana, un vero spasso.
Mi hai chiesto dove vai.
Ti ho risposto che uscivo a prendere un po' d'aria e di passarmi le scarpe.
Sono uscita dalla finestra e fuori faceva fresco, avevo bisogno di pensare.
Dentro russavano tutti, il ragazzo svedese, la mia compagna di stanza bionda e un po' lobotomizzata, il ragazzo di milano che dormiva col cappuccio della felpa sulla faccia.
Per me è così, una volta sveglia non riesco mai a riaddormentarmi.
Ti aspetto per un momento appena al di là della finestra.
Ma se ci ritrovassimo uno di fronte all'altro dovremmo parlare, spiegarci.
E io non so spiegare niente, io e te cosa siamo, cosa c'è dei tuoi occhi che mi parla, cosa ti parla dei miei, il senso di un bacio notturno posato sulla fronte, senza dire niente.
Mi allontano e seguo un sentiero, poi trovo un muretto e mi siedo lì, zitta, muta.
Lo so che poi sei uscito e mi cercavi.
Che sei rimasto lontano dietro le mie spalle a guardarmi e magari l'hai vista anche tu.
Quella nave bianchissima che spuntava dal promontorio e attraversava l'orizzonte, piano piano.
Oggi è l'ultimo giorno delle nostre vacanze.
Io parto, tu rimani. Tra poche ore sarò di nuovo a casa, in camera mia, con le cuffie del walkman cacciate nelle orecchie a scrivere furiosamente di un'altra estate finita sulla mia agenda stroppicciata.
Tu non ci sarai più. Mai più questa volta, e nemmeno io.
Non so spiegarmelo ma ho la sensazione che quella sia l'ultima estate di una certa parte di me stessa. Qualcosa sta partendo.
La prossima estate avremo diciotto anni e non saremo più qui.
Il mondo sarà diverso. Saremo diversi anche noi.
Se stringo gli occhi mi sembra di vederci seduti sul ponte di quella nave bianca che scivola all'altro lato dell'orizzonte e scompare, pezzo per pezzo, inghiottita dal verde degli alberi.
Resta solo il mare.

lunedì, aprile 09, 2007



Erano anni che non ridevo così tanto. A Pasquetta. Ma anche in generale.
Nella vita ci sono sempre tante grane e finisce che uno si abitua alle grane, agli obiettivi, a soppesare, valutare costantemente e si dimentica di ridere, farsi una grossa risata di pancia e di cuore. Sbirciare il cielo blu, è primavera e non me n'ero quasi accorta.
Oggi c’è stato un attimo preciso, uno di quelli che mentre li vivi sai già che resteranno sdraiati a lungo nella tua mente, ho guardato un filare di vigne lungo una collina e ho sentito profumo di fiori. E ad accorgermi di queste cose, ancora, mi sono sentita meno vecchia, più speranzosa, come se nella mia pancia fosse rimasta una fiammella sottile di quel grande fuoco che mi ha bruciato per tutta l'adolescenza.
Che se mi chiedo quando e come sia finita non so rispondermi. So quello che mi ha lasciato.
Un senso di enorme malinconia che spesso mi attraversa ancora da parte a parte come una lama. Lo stupore di accorgermi ogni giorno di qualcosa di nuovo.
La voglia di cercare sempre una canzone che catturi l’attimo, la giornata, l’episodio.
Ho ripreso in mano la mia macchina fotografica oggi.
Ho ritrovato l’incanto che mi porta a immortalare le cose intorno, forse è solo che a forza di ridere ho firmato un armistizio col mondo del genere -facciamo una tregua e godiamoci il sole-.
Dovrei farlo più spesso. Essere giovane in questo modo. Essere giovane prima di tutto.


Stay, lady, stay, stay with your man awhile

Why wait any longer for the world to begin

You can have your cake and eat it too

Why wait any longer for the one you love

When he's standing in front of you

domenica, marzo 11, 2007

sPring



Domenica mattina.

Preparo il the, ancora troppo stordita per dare ordine a una serie di pensieri che abbiano significato. La domenica mattina è sensazioni, che poi di questo periodo le sensazioni diventano tutto, sarà che quest'anno ho l'impressione che compirò 120anni. Magari a guardare sempre ogni minimo dettaglio, si invecchia prima, la valigia di passi diventa pesante e se poi uno non vuole lasciare indietro niente, beh spostarsi diventa un'impresa, sempre, comunque. Domenica mattina. Quando succede che mi svegli presto come oggi. Sorseggiare il the davanti al computer, due righe/un sorso, spiare la mia faccia addormentata e spettinata nel monitor. Vorrei che tornasse la primavera di quando ero bambina e arrivava la stagione degli intervalli in cortile. C'era quel cielo super blu che diventava rosa poco dopo il tramonto e l'aria dolcissima che accarezzava tutti. Cose che ci sono ancora oggi, certamente. Ma è difficile, bisogna fare uno sforzo per accorgersene, e allora è perchè si sta diventando grandi e gli anni saranno presto 121.

lunedì, febbraio 05, 2007

Micah P Hinson and The Opera Circuit

Ovvero come scivolare via peggio di una goccia di nebbia sulla carrozzeria della macchina alle sette (scarse) del mattino.
Perchè quando di un album non butteresti via nemmeno una canzone ma ti ci butteresti dentro. Perchè quando hai l'impressione che lui fosse lì e sapesse che cosa hai provato in quel momento e in quell'altro e abbia coscientemente deciso di scrivere una canzone in proposito.
Perchè forse ci sono cose che stanno davanti agli occhi di tutti ma che solo qualcuno riesce a catturare davvero con lo sguardo e con il cuore.

seems almost impossible

mercoledì, gennaio 31, 2007

*After Hours

Certe malinconie vengono a galla sono quando sei stanco.
O ubriaco.
O quando la mattina sonnecchi nel tuo interregionale avvolto dalla nebbia e poi cammini stringendo le dita nei guanti per non sentire freddo.
C'è qualcosa di giusto nel tuo essere lì in quel momento.
Quella sensazione di pulito, di coscienza pulita che senti galleggiare nello stomaco ogni volta che ti impegni in qualcosa di nuovo.
C'è qualcosa di giusto nella tua voce di (quasi)adulta che spiega la differenza tra "un altro" e "un'altro" e per un attimo fa finta di crederci davvero alla faccenda che un apostrofo può cambiare il mondo, che un po' di italiano, storia e geografia salveranno questi giovani bimbi da un destino insipido.
Qualcosa di giusto nel saltare il pranzo per correggere i compiti ed elargire più, meno e consigli di correzione.
E poi, in fondo, dietro una tenda e poi l'altra, qualcosa di sbagliato punta le unghie e graffia un pochino le pareti dei ventricoli. Non si capisce cosa sia, forse una lacrima che vorrebbe scendere e si trattiene per dignità.
Forse è solo accorgersi che il tempo di un certo modo incantato di sperare nel mondo si è quasi consumato. La candela è alla fine, gli invitati sono già andati da un pezzo.
Ed è così, in quel buio giusto e sbagliato al tempo stesso che soffiare ed esprimere forte il proprio desiderio sembra l'unica cosa, giusta e sbagliata, da fare.

If you close the door, the night could last forever
Keep the sunshine out and say hello to never
All the people are dancing and they're havin such fun
I wish it could happen to me
But if you close the door, I'd never have to see the day again.

venerdì, gennaio 19, 2007

*Do You Think There Is A Heaven?

Vivo nell'attesa spasmodica di questo film.
Era uscito in Francia quando ancora stavo dalla loro parte.
E' passato un mucchio di tempo.
Dalla Francia, dall'ultima volta con Michel Gondry e la sua eternal sunshine of the spotless mind, da molte altre cose.
Certe volte mi piacerebbe averlo un bel cavallo di pezza come questo di sopra, cui salire in groppa per una passeggiata tra-sognata nel passato.
Senza essere vista, senza dare fastidio a nessuno, solo per ripercorrere luoghi e sensazioni ed essere sicura di ricordare.
Ricordare per me è fondamentale. Come sognare del resto.
Questo nuovo anno sembra aver tirato fuori da me cose novità inaudite o che sembrano tali.
Eppure il cavallo servirebbe proprio a questo: capire da dove arrivo per capire dove devo dirigere i miei passi.