venerdì, dicembre 30, 2005

Cose di fine anno (parte I^)

Ieri sera prima di andare a dormire ho letto una poesia che si intitolava –Ultimo dell’anno- e diceva:

“Lato di case dall’autostrada. Un bosco alto e veloce
più vero nel retrovisore
con la musica piena, il bagliore.
Tutto si perde nella scia dei chilometri
via via che i paesi giocattolo sghembano sorpassando
con le altre immagini”

(Gian Mario Villalta)

E mi è venuto in mente che sì, quest’anno è stato come un lungo viaggio in auto senza tregua, pieno di musica, di fatica, di osservazioni incessanti, di discorsi, di partenze, di incontri, di addii.
Mi piace l’idea che il bosco diventi più vero nel riflesso di uno specchio e nel bagliore di una musica “piena”. E’ così, almeno per me.
Che certe canzoni me le sono bevute tutta d’un fiato e ho continuato ad ascoltarle perché ad ogni ascolto mi sembrava di vedere la mia verità di quel momento più da vicino.

48 ore alla fine dell’anno.
Di cose da dire, di verità da raccontare ce ne sarebbero talmente tante che ci vorrebbe un anno nuovo per elencarle tutte. Allora forse mi viene più semplice ricordare le canzoni.
Dei Lucksmiths, i cui angoli caldi mi hanno tenuto compagnia per un’estate intera, fatta di poesie semplici, di quotidiano, dell’arte di cucinare in due, di chi la sera preferisce restare a casa perché non ha voglia di uscire, della musica che è la porta a cui bussare sempre e comunque.
Ancora. Le melodie degli adorabili, buffissimi Architecture in Helsinki, la sensazione che la loro “It’s almost a trap” avesse per me qualcosa di profetico, mesi bui di tentativi falliti e poi la speranza nascosta tra le note bislacche, l’allegria mascherata, suoni intrecciati l’uno con l’altro come corone di margherite raccolte per caso in un prato, per caso.
E i due uomini che mi hanno cambiato la vita, Lou Barlow e Micah P. Hinson. Le loro voci spezzate che si presero la mia vita, la passarono al setaccio, me la restituirono con sfumature diverse. Dischi che sono soprattutto percorsi che mi suonano dentro e sanno di pianoforti e chitarre e nuvole, cime di alberi con le foglie lucide che sventolano sul cielo troppo blu di agosto, sole che filtra dalle palpebre socchiuse, abituarsi alla forma magica di una silhouette adorabile da spiare al mio fianco.
Qualche lacrima a volte, anche, sì.
I Sambassadeur, che per me avrebbero anche potuto scrivere soltanto Still Life Ahead e mi sarebbe bastata comunque come inno personale, per tutti i mesi a seguire. Settembrini, crepuscolari, svedesi. Gente che il sole lo vede poco e lo vede pallido. Un po’ come succede a noi qui in pianura. Gente che si sente parecchio vicina per affinità geografico-elettive.
E Bright Eyes, la colonna sonora ideale per qualsiasi tipo di dopo sbronza (emotiva/alcolica), i Death Cab For Cutie (la loro dolce dolce I will follow you into the dark). E Frida Hyvonen, Jens Lekman, Maths and Physics Club, Okkervil River, Lucknow Pact, Belle & Sebastian, Spinto Band, Lisa Germano, Cat Power, Laura Veirs, The Boy Least Likely To, Broken Social Scene, Gravenhurst, Clap Your Hands Say Yeah, Babyshambles, Arab Strap e tanti, tantissimi altri.
Forse ti accorgi di quanto un anno è stato lungo anche dal numero di canzoni che hai ascoltato.
Per me il 2005 è stato un anno lunghissimo di musica e Altro.

[come l'impressione che infine, Musica e Altro siano
fondamentalmente
una cosa sola]

giovedì, dicembre 22, 2005

*maybe that's my -winter song-

Forse è arrivato quel momento.
Quello del lungo post malinconico-natalizio sull'anno che finisce, sui bilanci, sulle considerazioni notturne. Non so, non ne sono sicura, ma stasera tra un pacchetto e l'altro, tra il tubetto del vinavil che mi esplode tra le mani e una lunga conversazione telefonica sui miei personali valori dell'amicizia ribaltati ancora una volta dall'anno in corso, mi è presa la voglia di scrivere qui.
Non so cosa di preciso, non ne sono sicura, ma era quello di avevo bisogno, musica in cuffia e dita che battono la tastiera e odore di colla sparsa dappertutto.
Di come alla fine questo fatto della colla esplosa abbia un che di metaforico.
Io che negli ultimi mesi sono stata un po' la colla esplosa su tanti pezzi che non stavano insieme. Ho detto cose che avrei giurato non mi sarebbero mai uscite dalla bocca nella vita intera.
Discorsi sull'accontentarsi, sul giustificare, sul ponderare il proprio livello di coinvolgimento emotivo nei rapporti umani. Io non posso essere diventata così davvero.
Io sono e sono sempre stata una persona emotiva.
Una che, se anche magari non lo dà a vedere, si emoziona per qualunque minuscolo insignificante particolare, una che se le sorridi la prima volta che la incontri è difficile che non finisca per credere che diventerai uno dei miei migliori amici.
Una che si commuove spesso e cerca di non farsi accorgere.
Una che la vita la ama fortemente e ama fortemente le persone, le loro complicanze, i loro sorrisi, la luce che c'è in ciascuna di loro.
Finisco spesso delusa, certo, ma fa parte del gioco, chi punta tutto quello che ha corre un rischio e lo sa e lo corre lo stesso e aspetta con gli occhi chiusi e le dita incrociate che la pallina danzante atterri proprio sul suo numero.
Preferisco stare male forse.
Soffrire in continuazione per le delusioni grandi e piccole che quella pallina incontrollabile mi dà, schizzando da un numero all'altro a suo piacimento, dimenticandosi di baciarmi sulla fronte e regalarmi una vittoria dopo l'altra.
Sarebbe scontato, sarebbe banale.
Non ci sarebbero grandi rapporti e piccoli rapporti, soltanto un unico piatto, superficiale legame interpersonale. E io che sono una giocatrice d'azzardo non posso certo accontentarmi di un'innocente mano di briscola. Ho bisogno del brivido, di occhi ardenti, di mani tese e pugni chiusi, di invidie, di affetti, di odio e di amore. Perchè mi fa sentire viva e non una sopravvissuta, perchè è l'unico modo che ho di essere me fino in fondo.
Quindi non lo so, non lo so davvero.
Cosa mi abbia portato fin qui, e se ci sarà qualcosa che mi porterà indietro.
Ecco, solo molta confusione forse, gli ultimi mesi passati a scrivere e riscrivere la stessa frase mille volte diverse e adesso.
Adesso è tornata la vita e non sono sicura di sapere se la mia vecchia presa sia ancora valida.
Ci sarebbe bisogno di tempo.
Ci sarebbe.

mercoledì, dicembre 21, 2005

..down in albion..


Probabilmente è stupido.
Innamorarsi di una canzone così, su due piedi, ascoltarla almeno ottanta volte al giorno, finire per identificarla con precisi momenti della propria giornata.
Camminare ovunque con quella canzone in testa, arrivare a perdersi dentro le sue note, scomparire proprio, diventare quella canzone. Soprattutto se si è consapevoli che quella canzone non diventerà un classico, perchè è nella sua natura, di restare soltanto un motivo orecchiabile della tua soundtrack personale. Perchè sai che quella canzone non cambierà il mondo. Perchè sai che chi l'ha scritta è uno dei peggiori venditori di fuffa musicale del 2005, un ragazzo drogato che si spaccia per nuova icona rock, uno spiantato in canottiera e bombetta che a vederlo sui giornali ti sta anche parecchio antipatico. Uno che prima di diventare un tossico vinceva premi di poesia e se magari avesse continuato a fare il poeta e non il tossico sarebbe diventata una persona migliore. Una persona normale, senza successo, senza copertine. Che poi magari se ne rende anche conto quando non è impegnato a fumarsi o bersi qualcosa o entrambi. Allora ti sembra quasi di sentirci una nota di malinconia leggerissima in quella canzone e magari ritieni anche possibile che la tua sensazione sia solo il frutto di una colossale presa per il culo, ma se non lo fosse, se quella malinconia di gin dentro a tazze da the e foglie secche sul pavimento fosse vera, allora sarebbe quello il vero motivo per cui questa canzone ti piace davvero tanto. Perchè ci senti un gusto che non è troppo estraneo, una tristezza leggera da anno che finisce, la stessa sensazione che si prova ad una festa quando all'improvviso guardi tutti intorno e ti sembrano sul punto di essere spazzati via da un'ondata di tristezza gigantesca e finisci per commuoverti per qualunque cosa, per i mozziconi dentro alle lattine di birra, per qualcuno che sta dormendo sul divano, per i piatti di plastica abbandonati dappertutto, per lo sforzo immane di ciascuno dei presenti di mostrare la versione più gradevole di sè.
Allora forse Albion è la canzone migliore da ascoltare alla fine di qualcosa, di una festa come di un periodo della vita, senza bisogno di alzare il volume, lasciarla in sottofondo, come una nota a piè di pagina, come una parentesi invisibile che racchiude le cose e le racconta.

lunedì, dicembre 19, 2005

Weekends away

Weekends away.
Le definirei così tutte quelle coppie di sabato+domenica che mi sono lasciata alle spalle quest'anno.
Una voglia terribile di dare libero sfogo all'impellente desiderio di un lunghissimo post malinconico sull'anno che se ne va. Ma non è il momento stasera, ho qualche linea di febbre e finalmente un po' di tempo a disposizione per scrivere due righe sugli ultimi folli giorni.
Laurea, festa di laurea, io vestita da babbo natale che trucco bambini nel centro città.
-Cosa non si farebbe per cento euro- lo dice Diana, che stasera dovevo chiamare, ma perdonami ho la voce da puffo brontolone e una sensazione di galleggiamento corporeo che mi impedisce di intrattenere anche una normale conversazione. Ascolto indie-compilation natalizie scaricate in rete, bevo spremuta di mandarini. Se poi dovessi davvero mettermi a raccontarlo quel milione di cose ci vorrebbero ore, giorni E ancora una volta non mi sento di fare altro che ringraziare.
Tutte le splendide persone che alla mia festa hanno dato il meglio del loro affetto innaffiandosi e innaffiandomi senza pietà di cuba libre hand-made e birra a fiumi.
Grazie a Diana, che offrendomi in sacrificio la sua tavernetta ha dimostrato un eccezionale e sconfinato affetto nei confronti della sottoscritta, ospitandola inoltre a riposare nella sua magione per le successive quattro ore post festa in attesa che andassi al lavoro. Meravigliosa creatura.
Grazie a Simone, al quale avevo fatto promettere di non farmi ubriacare e il quale non ha mantenuto la promessa provvedendo però ad adagiarmi su un divano e coprire con il suo caldo cappotto le mie quattro ossa collassate e sonnolente. L'uomo dei miei sogni.
Grazie a Claudio, perchè col passare degli anni è diventato una specie di insostituibile cornice delle mie giornate, che senza la sua ironia pungente e la sua impressionante somiglianza con orlando bloom mi sembrano sempre un po' vuote, un po' manchevoli. L'amico migliore.
Grazie ad Amanda, che non ha detto niente nemmeno quando dopo avere cantato a squarciagola "Sarà perchè ti amo" e avere letto una serie di irripetibili volgarità dagli amici trascritte le ho confessato di non essere molto in me. Sorella che ne ha viste tante.
E poi ci sarebbero gli altri trenta grazie da elargire ai partecipanti, ognuno per un motivo diverso.
Ma forse è meglio che vada a dormire presto e mi riposi un po', il weekend vestita da babbo natale mi ha provato parecchio.

mercoledì, dicembre 14, 2005


Avrei da scrivere più o meno un milione di cose...ma per il momento ne scrivo una soltanto. Grazie. A quelli che c'erano fisicamente, a quelli che c'erano con il pensiero, a quelli che hanno acceso ceri in chiesa per me, a chi ha pregato, a chi si è sorbito tutte le mie lamentele dal vivo o via web, a quelli che hanno ascoltato, a quelli che hanno letto, a quelli che hanno telefonato, a quelli dei fiori, a quelli dei paraorecchie a forma di renna, a quelli delle foto, a quelli delle parole strappalacrime, a quelli che se non ci fossero stati non ci sarei stata nemmeno io lì in piedi.
Grazie

lunedì, dicembre 12, 2005

Due giorni e la qui presente sarà una semi-dottoressa in filosofia.
Suona buffo, come il cappello arancione con i fiori che ho comprato alla fiera dell'artigianato a milano, come mia sorella in treno che mi manda messaggi sul cellulare che mi fanno crepare dalle risate. Poi ci sono i finestrini e fuori è tutto buio, e ci vedi riflesse le persone dall'altro lato, qualcuno dorme, quasi tutti a dire la verità, il signore di fianco a me deve essere medico e legge un libro su strani macchinari per operazioni chirurgiche.
Io sottolineo un po' la tesi e un po' mi perdo a cercare la luna che sta in alto, sotto la scritta
-vietato gettare oggetti fuori dal finestrino- chissà chi l'ha buttata la luna là sopra.
Piove di nuovo e nevica anche, il tempo sembra indeciso sul da farsi. Io ho come una calma improvvisa e inquietante che mi scorre nelle vene, anche quando ripeto a sfinimento concetti vari e sottolineo e penso che proprio tutto non lo saprò mai.
E penso anche che tra due giorni, laurea a parte, tutte le persone a cui voglio bene saranno lì con me e saranno lì per me. Ci saranno i loro occhi brillanti e le loro emozioni.
Questo pensiero mi commuove e forse riempie quella sensazione di solitudine che ogni tanto mi scava tunnel profondi nel cuore e nell'anima. Mi dispiace solo di non sentire arrivare il Natale, di avere perso quell'incanto dell'attesa, della neve, del freddo, della cura per le persone.
L'impressione di non avere mai avuto abbastanza tempo quest'anno.
Come fosse stato un anno monco, scontato di un quantitativo di ore sufficiente a lasciare che le cose si arrotolassero a valanga.
Ascolto quel drogato di Pete Doherty, mi piace Albion dei Babyshambles, ho l'impressione che diventerà un po' l'inno di quest'ultimo periodo.
E poi niente, ripasso, domani vado dal parrucchiere, faccio la spesa per la festa di venerdì, mi addormenti sul divano dopo pranzo.

venerdì, dicembre 09, 2005

And it’s been a long december and there’s reason to believe
Maybe this year will be better than the last
I can’t remember all the times I tried to tell my myself
To hold on to these moments as they pass
And it’s one more day up in the canyon
And it’s one more night in hollywood
It’s been so long since I’ve seen the ocean...
...i guess I should

E' dicembre e all'improvviso ti ricordi che qualche anno fa ascoltavi questa canzone e oggi ti senti esattamente come allora, se non con qualche anno in più sulle spalle.
Coincidenze,no?

lunedì, dicembre 05, 2005

C'è la tesi stampata, finita, le tre copie una sopra l'altra sulla scrivania.
Ci sono i libri di Derrida, una cartellina di plastica rossa trasparente, un'altra piena di fotocopie e appunti. C'è la luce spenta.
Ci sei tu seduta lì davanti alla scrivania, in pigiama, a guardare nel buio quelle cose.
Dormono tutti, sono le tre del mattino. Ti laurei tra una settimana.
E non puoi dormire perchè hai bisogno di silenzio.
Perchè se chiudi gli occhi senti il rumore assordante di posate e piatti e bicchieri da riempire d'acqua e da bere mentre ceni con la testa bassa.
Ed è un rumore che conosci bene e che ti fa paura, ha il profumo di cose che non si riescono a perdonare.
Pensi che se nel mondo tutti di colpo smettessero di parlare il silenzio sarebbe talmente insopportabile che la gente finirebbe per portarsi le mani alle orecchie all'istante.
Una settimana alla tesi, tre anni di università passati in un soffio davvero.
In quelle quaranta pagine una parte di te, nascosta da parole difficili, pensieri complessi, citazioni. Ciò che non si dice è importante quanto ciò che si dice.
Mentre sei seduta nel buio e hai un po' di freddo senti che vicino a te passa qualcosa e ti sfiora, come un fantasma.
E' tardi, dormono tutti ma il bene delle persone importanti è ancora sveglio per fortuna.
Fuori per strada c'è la neve ammassata ai lati del marciapiede.
Un gatto sotto un lampione si lecca una zampa e le luci della stazione brillano gialle nella nebbia.
Torni a letto e ti addormenti. Il rumore di posate non si sente quasi più.


(se solo potessi ascoltare quello che non dico, mamma)

sabato, dicembre 03, 2005


Poi giuro che mi metto sul serio a concludere la tesi.
Però stanotte ha nevicato e dovevo celebrare l'evento in qualche modo.
W la neve, yu-hu!