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martedì, novembre 04, 2008

semaineprochaine

Il Lunedì sono stanca, mi vesto con i vestiti sbagliati e mi sento fuori posto tutto il giorno, piove e la gente si urta con gli ombrelli, i fogli di giornali imbevuti d'acqua tappezzano gli scalini della metropolitana. La stazione è frettolosa come sempre, carica di un desiderio collettivo di andarsene o di arrivare il più in fretta possibile.

Il Martedì piove ancora, ho miliardi di fotocopie da fare, cerco di nascondermi dietro la pashmina indaco e a non pensare a niente, per non perdere il treno batto il record olimpionico di Bolt, salgo sul regionale bisognosa di una maschera d'ossigeno, dentro è così caldo che alcuni passeggeri hanno chiaramente perso i sensi e giacciono riversi sulle poltroncine.
Il Mercoledì mi sveglio senza saperlo, non sono cosciente di nulla che accada prima delle otto e mezza quando mi ritrovo in una classe vociante a suggerire alla gente come si scrive Poitiers o Orleans e a non sentirmi assolutamente fiera di ciò che mi accade intorno. Mangio l'insalata di farro nel negozio dove tutti si chiamano coi diminutivi e io non conosco nessuno, la mangio in piedi perché due tizie bionde tinte non spostano le loro enormi borse firmate dal tavolo neanche quando le imploro con lo sguardo. Maledico la mia educazione, sempre più.
Il Giovedì è di nuovo così presto che il mondo non c'è o meglio c'è solo pioggia, l'unico rumore che si sente in tutta la città, una scrosciante rassicurante pioggia monsonica che mi culla mentre dormo sul treno ascoltando l'ultima playlist con il libro di sociologia sulle ginocchia.
Attraverso il solito sciame di aereoplanini elettronici e mi stipo in dieci centimetri cubi nella metro, ma tanto tutto il mondo scende a Cadorna come al solito e basta una fermata per far alzare l'inflazione degli ombrellini da 3 euro a 5.
Il Venerdì dovrei studiare e invece trascorro buona parte della giornata a fingere di riacquistare le forze. Cerco di defibrillarmi con una doccia fredda, mi sdraio sul divano promettendo a me stessa che ci starò solo cinque minuti e invece mi risveglio dopo un paio d'ore. La sera esco e prima delle dieci e mezza sono uno zombie privo di qualsiasi energia, mi sento le tare appese alle palpebre, mi vengono i capillari rossi come willy il coyote.
Il Sabato studio qualcosa, esco con gli amici, suono una chitarra senza mi, bevo la cioccolata con la panna, assaggio il chianti, e penso che questo inverno è troppo caldo, che vorrei del freddo vero, la sensazione di cacciare la faccia nel colletto del cappotto per proteggersi dal vento, i guanti, la pelle che punge.
La Domenica poi, è quasi lunedì.

venerdì, ottobre 24, 2008

Carissimi/e.

I fatti degli ultimi giorni, sì stiamo parlando di quei fatti, mi lasciano senza parole. 
Non perché non abbia un'opinione, certo che ne ho una, ma il problema è che mi fa soffrire. 
Se ci penso mi sento le budella contorte. 
Se penso a cose come la mancata integrazione, il razzismo, i soldi a tutti i costi, la corruzione, la furbizia, il raggiro, lo sfruttamento, la maleducazione, il precariato, l'ignoranza.
Se penso che ancora non capisco perché le notizie parlino sempre (a destra e a sinistra) di un cinese, un marocchino, un albanese, un rumeno come se queste persone non avessero un nome e un cognome. 
Se penso alla scuola come l'ho vissuta io, a tutti i ragazzini/ragazzine che vivono la loro infanzia in totale solitudine perché i genitori sono in fabbrica dal mattino alla sera.
Se penso alle lezioni della mia Grande Ricca Università dove la gente finita la lezione butta tutto per terra, fazzoletti, bric di succo, giornali, scontrini, biglietti del treno, dove ti prendono a spallate senza chiedere scusa, dove non ci si saluta mai a meno che non si voglia qualcosa in cambio.
Se penso che ieri al tg5 consigliavano di fare yoga per combattere lo stress quotidiano e avere una vita migliore. Yoga, c***o.
Sono tutte cose che mi stanno fare male nel profondo, che mi fanno scrocchiare le ossa della spalla destra da giugno a questa parte, mi fanno svegliare alle quattro del mattino, mi fanno smettere di guardare la televisione, di leggere i giornali.
Sono stufa di questo paese, posso scriverlo? 
Credo sia il punto.
Ci sono giorni in cui mi ritrovo a buttarmi con passione nello studio di cose sociologiche o filosofiche o altro, sentendo che questo cambierà il mondo o almeno cambierà il mio mondo, mi aiuterà a resistere, mi aiuterà a rendermi conto sempre di quello che succede.
E giorni in cui vorrei non sapere niente di niente, vivere di totale inconsapevolezza, immergermi completamente in una qualche superficialità, per provare l'ebbrezza di sentirmi parte di un tutto sociale e non la solita briciola di colore sbagliato.
Non mi riconosco negli ometti bassi e pelati, né nelle donnine con la messa in piega fresca di parrucchiere che in questi giorni rilasciano dichiarazioni inquietanti come se nulla fosse, come se nessuno fosse più in grado di capire che ci stanno fregando.
Ma non mi riconosco nemmeno in quelli che la mattina presto mi riempiono di volantini sul marxismo-leninismo, rispolverano le magliette del che-guevara e sono semplicemente contro, senza avere un'idea propria, qualcosa in cui credere fortemente e positivamente.
Mi rendo conto che questo atteggiamento sia sbagliato, pessimista, cinico, perché in fondo nemmeno io propongo niente di nuovo.
E' che per il momento va così, davvero.
Sono stanca, stufa, vorrei una corazza di gomma da indossare tutti i giorni per farci rimbalzare contro i pensieri cattivi.

martedì, giugno 17, 2008

lentamente scorre

Dicono che da domani non pioverà più e allora bisogna avere fede perché è dura crederci dopo tutta questa pioggia, le nuvole, il vento, il freddo, il cielo che sembra decisamente novembre addicted.

Avevo avvisato che sarei sprofondata nel tunnel esami. 
E sprofondare è il verbo più adatto perché ci sto mollemente scivolando dentro, con un po' di abbandono volendo, alle solite sabbie mobili di pagine e pagine che mi raccontano di un mondo che non esiste, che non sembra affatto questo qui.
Certe volte, immagino succeda anche voi, mi sento proprio strana ad avere certe pensate, a indignarmi ancora per qualcosa che la maggior parte degli altri si lascia scivolare addosso.
Senza sapere, sinceramente, se faccio bene o male, se forse la soluzione è sempre e comunque la superficie e mai il fondo, il dietro, il complicato.
Se mai verrà il tempo in cui potremo parlare ad alta voce solo nel nostro cuore spero per quel giorno di avere letto tutto il necessario, tutti i libri migliori della mia vita per poterli ricordare, raccontare, interrogare ancora una volta per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Amara, una briciola. 
E' tutto un'altalena tra la luce e il buio, tra l'estate e l'inverno, tra il sole e la pioggia.


mercoledì, maggio 07, 2008

*Movie ending romance

Al ritorno in treno il cielo sembra un quadro di Magritte.

Sprofondata nel gelido sedile del regionale ascolto i miei pensieri succedersi lenti uno dopo l'altro, come in dissolvenza. Mi bombardo di musica che, altrimenti, il rischio è quello di svegliarsi a Torino. 
C'è nel cielo prima dell'estate qualcosa che ha a che fare con tutte le estati della nostra vita. Quante volte tornando a casa la sera, sentendo le rondini fischiare e il rumore di stoviglie dalle finestre aperte abbiamo capito che era quasi estate.
C'è stata l'estate dei sorrisi riflessi nei finestrini delle macchine e l'estate lontana. L'estate dei bambini vocianti e l'estate del dolore sottopelle.
Dell'impressione di avere vissuto tante vite ho già scritto più qui che altrove.
Ancora ascolto canzoni di qualcuna di quelle estati e sento risvegliarsi in me sensazioni che il tempo ha profumato in modo diverso.
Il cielo prima dell'estate parla sempre di promesse e di sogni, a dispetto di tutto il resto.
Domani è il mondo che verrà e per sapere se sarà migliore o meno non è altro da fare che non abbandonarsi alla corrente.
A Magenta la testa si abbatte sul sedile e non sento più nulla. Mi sveglio appena in tempo per scendere a Vercelli. Le foglie brillano, le ragazzine che non sono più io passeggiano con un gelato in mano.

*And look at me now. 
These lines on my face betray me, 
They're deeper lately. 
Take a look at these bags under my eyes.

Maths and Physics Club

giovedì, aprile 24, 2008

*mi manca il sole di bari

Proporrò la cancellazione del 24 aprile dal calendario.

Il rapido succedersi di microsfighe in ancor più rapida sequenza nella giornata di oggi mi ha indotto a credere che il 24 aprile ce l'abbia con me. E di brutto pure.
Stamane la sveglia suona alle sei e mezza e mi risveglia da uno stato di dolce e piacevole coma onirico. Ero in un sogno bellissimo, un vasto magazzino vintage in cui provavo improbabili camicioni optical sotto lo sguardo benevolo di una commessa che assomigliava un po' a irene pivetti. La sveglia suona, il mio cuore va in shock come tutte le mattina ma sono in piedi, non c'è dubbio che l'essere umano con la faccia da rana che è riflesso nello specchio sono io.
Faccio colazione, ripasso gli arabi, al farabi, al kindi, al jazeera. 
Non ho voglia di prendere il treno, ho malditesta ma, penso, passerà.
Invece non passa a magenta cerco di esorcizzare le voci stridule delle due adolescenti brufolose sedute davanti a me che da una quarantina di minuti narrano le loro prodezze erotiche con dovizia di particolari. Ho malditesta, questa è una cosa su cui di solito riderei, ma invece mi girano tantissimo le palle e faccio quell'espressione da vecchietta acida e incazzosa alzando il volume della musica. Ma niente, le vocette perforanti arrivano anche lì.
Scendo a Centrale che è un delirio di trolley. Per un attimo pare proprio l'epico sfondo di una battaglia tra due eserciti i paladini del trolley e gli studenti pendolari che anzichè partire per mete esotiche stanno andando a lezione. Quanto vorrei essere dall'altra parte della barricata.
Scendo in metropolitana e mi accorgo subito che qualcosa non va; i vagoni sono vuoti la gente si agita minacciosa. "S'è rotto" il treno. Bisogna prendere il servizio sostitutivo. Come nome non è un granchè e nemmeno nella realtà trattasi di bus in cui sono già stipate circa 224 persone come blocchi del tetris. A me tocca fare il pezzo orizzontale appaiata a un gigante di due metri e più che mi ruba l'ossigeno.
Arrivo a Cadorna dopo 55minuti di bus. Del tipo che se andavo in monopattino, bendata e con un cagnetto che mi azzannava le caviglie facevo prima. Ho perso la prima ora di lezione, ho malditesta, il tizio del bar vuole mettermi il limone nel caffè.
Trascorro altre tre ore in università e poi filo sul treno.
Mi aspetta la spesa per la grigliatona di domani.
eh sì sono stanca morta.
Ma tanto non sarò da sola.
Tanto non dovrò fare 20 minuti di coda al bancomat per prelevare.
Tanto non mi accorgerò di essere senza benzina nel corso di una deviazione per le campagne casalesi che mi ha portato in paesini maori.
Tanto non dovrò fare un'altra coda di trenta minuti schiacciata contro la parete di una macelleria a fissare lingue di vitello, cuori e polmoni.
Tanto avrò tutto il tempo di fare la doccia e rilassarmi.
Tanto non dovrò ricevere centocinquanta telefonate e farne altrettante scoprendo che l'auricolare in macchina mi distrae più del cellulare.
E invece sì, tutto fino all'ultimo briciolo di sfiga è per me.
Arrivata a casa scopro che domani i miei amici mailanesi (milanesi) arriveranno alle dieci e non alle undici perchè non ci sono treni.
Ma non ci sarà mai più un altro 24 aprile. Farò una petizione, lo sciopero della fame, un calendario nudo. No al 24 aprile.
E chissà che coi tempi che corrono non finiscano per togliere anche il giorno successivo.

*scritta presente su un pilastro in stazione centrale

mercoledì, aprile 09, 2008

lluvia (si scriverà così?)

Oggi in treno pensavo a una scemenza.

Ovvero alle goccioline di pioggia che cadono sopra i treni e si fanno trasportare da una parte all'altra, attraversano diverse città e arrivano a cadere in un punto completamente diverso da quella che avrebbe dovuto essere la loro traiettoria.
E' una bella cosa, sfuggire poeticamente al proprio destino.
Ho fissato per un po' quelle che stavano appiccicate al mio finestrino e ne ho individuata una che è rimasta lì per un'oretta buona e poi è stata spazzata via da un treno che arrivava in un altra direzione. Mi sono venuti in mente le gocce di Federigo Garcia Lorca.
Vi copio il pezzo qui, che è bello:
 "Gocce. Occhi di infinito che guardano il bianco infinito che le generò [...] son poeti dell'acqua che han visto e meditano ciò che la folla dei fiumi ignora".


sabato, gennaio 19, 2008

Sognando il grande nord

Quando alzo la testa dagli appunti, sono le quattro e mezza, il mondo fuori dalla finestra è rosa e i miei occhi inevitabilmente stanchi e stroppicciati.
C'è una parte di me che uscirebbe volentieri a fare una bella passeggiata, come i vecchi, non una passeggiata con uno scopo preciso, non un tour di vetrine o un percorso dritto verso un obiettivo, ma una semplice e inutile passeggiata per respirare dell'aria, guardare il mondo, cose così.
In realtà ho bisogno di osservare il mondo per continuare a credere che non faccia tutto proprio schifo schifo. Non so come ma in questi giorni di inumanità tutte italiane, mi sento proprio a disagio marcio in questo mondo qui.

-Il segreto non è cambiare il mondo ma fare in modo che il mondo non ci cambi-

-Sì, è vero. Però vuoi mettere poter prendere un aereo e trasferirsi, che so, in norvegia o in quei posti lì, dove sono alti, biondi, belli, ecologici, ascoltano musica indie allegra e divertente, si vestono vintage , fanno i designers ed è sempre Natale tutto l'anno?-

-Se vuoi ci trasferiamo. Secondo me arrivati all'aereoporto ci tingono i capelli biondo platino; poi ndiamo a vivere in una casa che non solo non inquina ma anzi produce ordine e felicità-

-Sì sì. E ci mettono anche i rinforzini alle scarpe così sembriamo più alti. Te le immagini le renne che mugulano all'aurora boreale? Sarebbe bellissimo-

-Allora dai, prendiamo 'sta laurea in fretta e poi facciamo i cervelli in fuga-

(il mio è già fuggito, ore fa mentre ripassavo la teoria atomica di dalton)

giovedì, novembre 22, 2007

Ossi di seppia

Al ritorno in treno, stipata come un tacchino nei miei 30cm cubi di spazio, ascolto un bambino uruguayano che spiega alla mamma nel suo italiano dolcissimo che cos'è una seppia.
-E' un parente dei pesci, vive sotto la sabbia- e poi le racconta l'alfabeto fino alla "r" che lui pronuncia "ru" e -tutti i miei compagni mamma dicono rrrrrrrrrrrrrrrrr come le tigri!-
Dopo un paio di minuti improvvisa un mantello da supereroe con una copia di City e gioca tranquillo finchè è ora di scendere.
Tutt'intorno a lui le persone guardano distratte le impronte delle mani sui finestrini o si infilano gli auricolati perdendosi in conversazioni senza fine sul tempo e sui treni che sono sporchi e su quel collega di lavoro insopportabile e cercano, in generale, di sentirsi meno sole.
Dal canto mio sto leggendo sul giornale che le mie prospettive di lavoro sono rimandate a un nebuloso 2012, forse a quel momento là ci saranno anche le astronavi e le colonie su orione e la gente piangerà meno lacrime nella pioggia.
La condomina che in ascensore mi vede trafficare con i libri nella borsa domanda con aria stupita
-Ma vai ancora a scuola?-
e a me viene da risponderle che sì, faccio ancora la 2a elementare, non riesco a imparare la per e la diviso.
Tempi splendidi quelli della seconda elementare.
A quest'ora si preparavano i lavoretti di Natale, altro che esami, precariato e belle balle.

lunedì, ottobre 15, 2007

Chi vuol essere milionario? Io.

Negli ultimi dieci giorni ho cominciato almeno sei o sette post in cui raccontavo le mie disavventure nella Nuova Grande Università, di treni guasti e ritardi apocalittici, di non avere mai visto tante Vuitton e Gucci in vita mia, di non avere ancora chiaro cosa cacchio studierò quest'anno e della generale impressione che il mio lettore mp3 abbia tirato le cuoia nel mio primo giorno da pendolare appena passata magenta.
(E con la stampante rotta siamo ormai alla rivolta delle macchine ribelli).

Poi succedeva che mi perdevo a metà, facevo resoconti troppo lunghi, mi veniva il raffreddore, tornavo a casa priva della facoltà di intendere e di volere e quindi niente, ho lasciato perdere e ho fatto diventare tutto secco e arido come solo un blog abbandonato può essere.
Stasera non respiro più da nessuna delle due narici e ho male a tutte le ossa di cui ricordo il nome (e anche a un paio di ossicini di cui non sospettavo l'esistenza).
Inoltre ho le ghiandole gonfie come palloni da rugby e sono un po' incazzata con i miei condomini che non hanno voluto accendere prima il riscaldamento così ci sfangavano un paio di prada prestige e intanto a me veniva il raffreddore.
Per cui ecco qui, il post sulla mia vita di adesso è ancora in fase ideale e lo demiurgizzerò non appena avrò smesso di scarnificarmi il naso con quegli odiosi fazzolettini scottex che, col c***o c'hanno la morbidezza di un cucciolo di labrador.

L'unica cosa bella del raffreddore è il vics spalmabile, scaduto nel 2002 ma poco importa.
La sera prima di addormentarmi, avvolta in una nuvola di vapori medicamentosi sogno di un mondo migliore in cui a 24 anni puoi smettere di cercare soluzioni culturali a problemi reali, e ogni tanto puoi passare dal via e ritirare cento euro e costruire un dannato albergo in parco della vittoria.

E penso che forse la soluzione c'è, basta chiamare Jerry Scotti e chiedergli se mi è possibile diventare milionaria dal momento che stasera avevo azzeccato la domanda da 35.000 euro.

Sarei un'ottima milionaria, lo so.

Poi i vapori mi atterrano e il mondo si buio e lontano.
Domani è un altro martedì.

lunedì, aprile 30, 2007

1°maggiofestadeilavoratori (evvai ci sono pure io!)

Domani primo maggio festa dei lavoratori, e nonostante la mia laurea in filosofia potrò festeggiarla anch'io insieme al grande popolo dei precari di tutto il mondo.
Il menù della giornata proporrà quello è il leit-motiv di quasi tutti i miei dì di festa:
grigliata (in alternativa abbondante pranzo), un po' di chiacchiera libera (facilitata da qualche pessima bottiglia da un euro e 25 cents), cane che vuole giocare con il fresbee, affetti e affettati, sensazione di pancia ingombra di cibo, sensazione di non volere più fare niente che non sia sonnecchiare, caffè, altro caffè, ennesimo caffè e ritorno a casa.
Perchè giovedì, festa dei lavoratori non è più e si ritorna nella brulicante scuola media di Smallville, con i gremlins eccitati dalle vacanze e dai pollini e uno sguardo al calendario che diventa più sottile di giorno in giorno. Quasi estate. Quasi disoccupata un'altra volta.

mercoledì, febbraio 21, 2007

dura lex sed lex

Qui casa.
Qui finalmente casa.
Oggi giornata di merda altresì soprannominata "se qualcuno mi ruttava in faccia appena aprivo gli occhi stamattina mi sarei sentita comunque meglio".
La scuola è un ambiente pieno di donne.
Le donne sul lavoro sono fondamentalmente stronze.
Non ti aiuteranno mai, non si complimenteranno con te, aspetteranno che tu sbagli per potersi trovare lì a puntarti il dito contro.
Sparleranno di te alle macchinette del caffè.
In bagno.
In cortile.
Dal parrucchiere.
Le donne sono (anche) così.
Sarà che la parte che di me sento maschile è proprio in questa totale assenza di interesse smodato nei confronti altrui.
Avete presente quel saggio motto popolare che qui cito testualmente"chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni?". Per me è diventato una ragione di vita.
Più cresco, più trovo futile investire il mio tempo nel vivisezionare vite altrui.
Ho già abbastanza nodi con la mia. Gli altri facciano ciò che credono.
E poi voglio campare cent'anni.

ore 13.00 dopo due ore di delirio collettivo, una verifica di storia tra l'altro andata inaspettatamente bene (il che mi fa supporre che forse anche quelle che si guardano con sguardo vacuo le suole delle scarpe mentre spiego qualcosa lo ascoltano) una mezz'ora di follia con la ragazzina dislessica che decide che non può fare niente perchè non c'è la sua prof di sostegno, il bambino con disturbo comportamentale dichiarato che vaga per la classe menando coppini a destra e a manca, il bambino con il disturbo comportamentale non dichiarato che lancia gessetti addosso ai compagni, i bambini con disturbi comportamentali manifesti che giocano a spezzare matite dandosi pugni sulle mani, un'insegnante di sostegno in un angolo che gioca a consumare ossigeno e fissa l'infinito avanti a sè pensando che naufragar l'è dolce in questo mare, la salvifica campanella suona mentre il mio cuore recita alcune laude francescane.
Sento i nervi cerebrali distendersi, raccatto le mie poche e povere cose e mi appresto a scendere le scale con scolaresca al seguito preparandomi psicologicamente all'idea delle tre ore pomeridiane nello stesso istituto.
Giunta in fondo alle scale commetto l'errore.
Di abbassare la guardia.
Rilassarmi, assumere l'espressione di una giovane supplente stanca e un po' provata dalla mattinata appena trascorsa. Sono lì con i miei registri in mano, pacchi di compiti da correggere, il mio cappottino preso ai saldi della stefanel tre anni fa.
E lei, una di quelle donne stronze di cui ho accennato prima, capta la vibrazione, intuisce il segnale.
Fondamentalmente sente l'odore del sangue così come uno squalo bianco in compagnia di un cucciolo di labrador ferito lievemente a una zampa.
Mi raggiunge alle spalle mentre l'accolgo con il solito sorriso di circostanza della serie -ehi so che mi odi però che ne diresti di fingere il contrario?-
Inizia la lavata di capo o come scriverebbe meglio qualcuno dei miei alunni il momento dell'umiGLiazione.
Davanti a tutta la scuola, le bidelle, le colleghe, alcuni passanti che transitano di lì per caso, le fotocopiatrici, due piante di plastica impolverate, una vetrata sporca vengo accusata di non occuparmi dei miei ragazzi, di non stare vigilando su di loro, di aver appena compiuto un gesto gravissimo (ma quale?) il tutto pronunciato con lo stesso tono di voce di mariah carey ai tempi d'oro di all I want for christmas is youuuuuuuuu.
Io ci resto, perchè come ho accennato prima mi ero lasciata andare disattivando lo scudo interspaziale per qualche secondo. La iena prosegue coinvolgendo una terza collega e cercando la sua approvazione per denigrarmi (altra cosa in cui le donne sono campionesse mondiali, se ti devo sputtanare lo faccio in compagnia così ti dimostro che non sono la sola a pensare che tu sia una merda secca).
Fermamente rispondo che alcuni dei miei ragazzi erano di fianco a me e nel momento della cazziata suprema stavo sventando una frattura ai denti di un bimbo di prima (e lui chi doveva guardarlo? cacchio ma perchè anzichè avere di questi pensieri ho cercato di non fargli fracassare la mandibola? scema!) e cerco di concludere l'episodio con il solito atteggiamento -sì sono la supplente e sì oddio anche stavolta lei mi sta insegnando come si sta al mondo meglio che mia madre o buona donna- la iena si incattivisce ancora di più e raggiunge le ottave di whitney houston in I will always love youuuu.
Scatta il momento mario merola.
Travolta da un fiume di bambini inghiotto rumorosamente l'incipit di un turpiloquio tarantiniano e concludo la conversazione chiedendo gentilmente come debbo comportarmi per la supplenza pomeridiana in merito di aule. Risolto il problema mi avvio verso l'aula insegnanti con la mia bella pala conficcata là sui monti con annette e sento che la vipera dietro le mie spalle (ma non abbastanza dietro perchè io non possa udire, coincidenze...) confessa alla collega di non poter tollerare tali mancanze di rispetto e aggressioni verbali.
Ora.
O quella donna si fuma roba cattivissima oppure ha visto troppe puntate di Uomini e Donne.
Ribadisco di non aver aggredito nessuno ma aver cercato semplicemente di chiarire la situazione, ricevendo le ultime frecce avvelenate di fronte a quei bambini che prima non avevano sentito bene. In un angolo in fondo al corridoio un bidello sta vendendo le magliette con la mia faccia e la scritta Io c'ero.
Trascorro la pausa pranzo vagando per la città con lo stomaco al posto del cervello e il cuore in un orecchio. Cerco di calmarmi, cerco di non sentirmi come al solito il don chisciotte della bassa che vuole cambiare un sistema che non cambierà mai.
Nel corso del pomeriggio l'essere femmineo fingerà una riappacificazione (ma non è la parola esatta) e affermerà con magnanimità di accettare la mie scuse. (scuse? e chi gliele ha mai fatte?).
Ore 17.00 esco da scuola.
Oggi ho imparato che disattivare i propri scudi interspaziali è pessima cosa in un ambiente femminile. Soprattutto quando stai cercando umilmente di migliorare la vita a qualcuno. Perchè a scuola l'unica cosa che conta davvero è tenere i denti in mostra. E ringhiare.
Anche senza convinzione.
Perchè tu credevi di essere lì per fare del bene ai ragazzi mica per dimostrare qualcosa a qualcuno.
Meglio non dirlo in giro.

venerdì, dicembre 01, 2006

grr grr grr


L'hanno voluto loro.
Da oggi inizierà a cadere su tutto il Piemonte una fitta pioggia di curriculum della sottoscritta.
Sarò peggio delle piaghe d'Egitto.
Vi tengo aggiornati.

mercoledì, novembre 29, 2006

*before you cry

La verità è che avevo paura di alzare la cornetta del telefono per sentirmi dire che avevo perso il treno, o peggio, che il treno che aspettavo non sarebbe più passato di lì.
La verità è che, infine, ho alzato la cornetta come si fanno tutte le cose che non si vorrebbero, respiro profondo, contare fino a tre, ascoltare il segnale acustico senza pensare a niente.
La verità è che ho chiamato Genova, la segreteria dell'unico master che sembrava per me, sembrava avere l'aspetto di una cosa che mi sarebbe piaciuto fare.
-Riguardo al Master posso dirle che è stato trasformato in master universitario di secondo livello e che le iscrizioni sono state chiuse. Verrà riproposto l'anno prossimo, probabilmente a settembre-
La verità è che avrei dovuto chiedere spiegazioni, perchè pur avendo lasciato il mio indirizzo e-mail nessuno si era premurato di avvisarmi di questa miracolosa trasformazione che mi escludeva totalmente dalla possibilità di partecipare, e per quali loschi motivi su internet non c'era traccia visibile di queste modifiche.
La verità è che ho sentito un rumore di bicchiere di vetro che si frantuma su un pavimento di ceramica e ho risposto -La ringrazio moltissimo. Buona giornata-
Probabilmente avrei dovuto piangere, ma non mi è riuscito.

La verità è che ho la netta sensazione che mentre la mia vita resta immobile il tempo mi scivoli da sotto i piedi come un inarrestabile tapis-roulant. E più il nastro scorre più mi rendo conto che dovrei prendere una decisione e togliermi il pensiero, respiro profondo, uno due tre, va bene questo per il mio futuro. E il resto, i se, i forse, i potrei sarebbero da accantonare una volta per tutte.
La verità è che ho molte energie da investire e quella solita oceanica malinconia interiore che è il mio cruccio e la mia forza.
La verità è che la cosa che mi piace di più al mondo è scrivere, scegliere le parole, esprimere, e mi rendo conto della banalità del mio sogno e della sua irrealizzabilità ma al momento ancora non sono capace di prendere fiato, chiudere i miei sogni in un cassetto e buttare via la chiave.

giovedì, ottobre 26, 2006

Generazione Nothing


*Liberamente ispirato a una conversazione realmente avvenuta nelle precedenti ore

-Pensaci, non so se te l'ho già detto, ma in fondo noi siamo la generazione inesistente. Nel senso che per la società di oggi non esistiamo: non siamo più studenti, non siamo disoccupati perchè a vent'anni è troppo presto dirlo, non siamo occupati e se lo siamo è perché lavoriamo in nero. Non siamo niente di indicabile-
-Dev'essere per quello che quando cammino per strada ho la chiara sensazione di essere fuori da me stessa e guardare il mio corpo vivere come in un film. Io non esisto, c'è solo una scialba immagine di me che si muove nel mondo. E ci aggiungerei anche un altro fatto; se prima ero fermamente convinta di poter rendere l'intorno un posto migliore con il mio modus vivendi e non avevo paura di sognare cose grandi e belle e sacrificare/rmi per averle, adesso ho paura che sia arrivato il momento x. Quello in cui la generazione da x diventa inesistente, quello in cui ancora non sono diventata cinica ma mi ci sto avvicinando a una velocità impressionante.
Ogni volta che metti un paio di scarpe col tacco perché così fai bella impressione, ogni volta che sorridi mentre per la gola ti scende l'ennesimo boccone amaro, ogni volta che ti ritrovi di fronte alla totale e spaesante inutilità del tuo entusiasmo-

-Già. Sarà per questo che mi sento vecchia a vent'anni? E' davvero tutto molto complicato, non si da che parte cercare una soluzione e se poi questa soluzione esista. L'abbiamo risolta con la moda del partire, del "fare esperienze". Si va lontani, si conoscono persone nuove, si imparano cose e poi quando si torna qui non è cambiato nulla. Tutti partono ma io ti confesso che se riuscissi a trovare quello che mi piace dove sono ora, se riuscissi a essere un po' più felice, non andrei proprio da nessuna parte-

-Sarà che sono l'unica cretina che è andata all'estero a spaccarsi la schiena. Però insomma, lo ammetto là si respira un'aria diversa. Magari è la solita illusione o magari invece c'è ancora qualche barlume di civiltà. Il mio problema nelle partenze è il ritorno. Che non è mai scontato, anzi. Cioè se proprio devo finire ad acidume e superficialità meglio provarci un'ultima volta in grande stile-

-Facciamo qualcosa? Mettiamo su un'attività, non so, qualunque cosa, siamo intelligenti, siamo spigliate, siamo brave e di buona volontà-

-Ma abbiamo studiato filosofia-

-Ca***-

mercoledì, ottobre 11, 2006

How to fight loneliness (just smile all the time)

Qualcuno mi ha rubato settembre.
Cioè settembre non c'è proprio stato, più ci penso più non riesco a ricordarmi niente, una giornata, un evento, una telefonata.
Sarà perchè ero appena tornata dalle terre franche, sarà semplicemente perchè alla fine di un'estate-non estate ero parecchio svarionata, ormai sono più che convinta che settembre non ci sia stato, me lo abbiano rubato.
Indi rivorrei cortesemente 30 giorni da trascorrere in amene attività quali iniziare i nuovi succosi libri di misconosciuti filosofi rumeni che mi scalpitano sul comodino in attesa che finisca questo volumetto di narrativa russa contemporanea (contemporanea si fa per dire, l'ho comprato al mercatino dell'usato e vi si parla degli anni del dopo stalin) assolutamente strafichissimo, o dedicarmi con serietà professionale allo spettacolo di teatro teatrale che sto allestendo con le mie amiche. Ebbene sì mi sono gettata anche in quest'avventura e so già che a breve tra lavoro, scazzi, mazzi, prove, intoppi, ricerca master, faccende domestiche, la caf francese che ancora mi deve dei soldi, varie, eventuali mi verrà un attacco psicosomatico di quelli incisivi con le squame in tutto il corpo, i capelli verdi e la lingua sputafuoco.
Si cerca di buttarla sul ridere via, anche quando da ridere ci sarebbe ben poco.
Ma in fondo, più vado avanti, più che mi convinco che, per come sono montati i miei mattoncini dna, per me vale sempre la regola di dare il giusto peso a tutto, accorgersi che una cazz**** è tale, prendere atto che ci sono malinconie leggerissime da non sottovalutare mai e cercare sempre e comunque un motivo per fare un sorriso, anche striminzito.
E dire che alle elementari Pollyanna mi stava sulle balle.

domenica, ottobre 01, 2006

Raining in Seattle














Fine settimana volato in un soffio, domenica sera a casa. Cerco di mascherare nervosismo e angoscia sotto la facciata di una spessa apatia che mi tiene a distanza da cose e persone.
Vorrei un treno che non mi portasse da nessuna parte ma, solo, mi facesse girare qualche tempo, in mezzo a paesaggi familiari o meno, a perdermi in divagazioni cosmiche sul movimento e sulla precarietà e poi mi riportasse a casa un poco più leggera.
E piove per di più. Ha iniziato oggi verso le sette, una pioggia calda leggera e piacevole, da lasciare che imperli il parabrezza prima di cancellarla con un rapido gesto di tergicristalli, domani è lunedì ed è presumibilmente meglio non pensarci.
Consumo un numero spropositato di chewingum che ho deciso di sostituire alle sigarette, almeno per il momento. La realtà è che avrei una gran voglia di spararmi una fumatina notturna, a inseguire i miei piedi in mezzo a Seattle umida e improvvisamente autunnale. Ci sono molti ordini di problemi: sono stanca, manco di favella, non vedo al di là della colazione di domani mattina, mi girano anche un po' le balle. Non ho voglia di parlare, non ho voglia di ascoltare, riesco giusto ad avere qualche scambio di pari frequenza. It's raining in Baltimore ed è meglio così, se a ottobre avesse continuato a fare estate e io stavo di nuovo lavorando ecco, mi sarei leggermente incazzata credo. Navigo, brancolo, mi esaspero. Non ho la certezza assoluta di cosa sarebbe meglio per il mio ego: ritagliarsi razionalmente 24/48 ore in cui riflettere con calma e dolcezza sul da farsi, indossare la t-shirt dell'invisibilità, farmi consigliare da una chiromante, scegliere a caso un foglio tra i mille che affollano la mia cartellina
-masterdavalutareoltrecheunapartedeltuoprossimofuturosonoanchesoldiricordatelo-
Non se ne esce.

It's raining in Baltimore.
I need a phone-call
I need a raincoat