mercoledì, giugno 25, 2008

Time after time

Dieci anni fa iniziavo l'estate in un modo diverso.

Avevo quindici anni, dieci anni fa. 
Avevo i capelli corti, amici diversi, labirinti davanti a me che non potevo immaginare.
Dieci anni fa non avevo ancora messo un paio di scarpe col tacco, non ero andata a un colloquio di lavoro, non avevo compilato un curriculum, avevo solo una vaga idea di cosa volesse dire rimmel.
Giocavo a pallavolo. Scrivevo quaderni pieni di confusioni adolescenziali. 
Mi trovavo carina e non bella, mi trovavo divertente senza sapere chi fossi davvero.
Sono passati dieci anni e un po' di giorni. 
Oggi in viaggio-avventura con l'amico che forse avrei voluto incontrare dieci anni fa sono andata a un colloquio forse importante, forse solo un'altra storia da raccontare. 
E mi sono divertita, mi sono sentita adulta senza sentirmi i pesi agganciati alle caviglie. 
Ho mangiato una valanga di sushi nella milano afosa e stranamente colorata, stranamente piena di alberi. 
Ho camminato ascoltando i ricordi di un pezzo di vita che è passata di lì, ho ripensato alla mia stanzetta francese con le montagne da una parte e dall'altra. 
A quando vent'anni fa Milano nella mia mente era soltanto Burger King e l'Ikea.
A quando il mondo era una continua magia. 
Crescendo sembra che sfugga da tutte le parti, come in una clessidra bucata. 
E invece c'è e rimane, nelle cose belle, nelle amicizie, negli amori, nelle pagine che si sfogliano una dopo l'altra.
Per chi parte buona estate, e per chi come me, per studio-lavoro-altro resta...
buona estate ugualmente.

lunedì, giugno 23, 2008

La canicule

Milano è un forno per biscotti a 1500 gradi.

I biscotti siamo noi che scendiamo dai regionali con l'aria condizionata che ricorda l'inverno della Groenlandia e veniamo inghiottiti dal budino afoso milanese.
C'è anche la beffa dei ventilatori col vaporizzatore appena si scende nella metro in Centrale. 
Ma tanto poi una volta entrato nel tuo vagone, ti ritrovi disciolto sul pavimento, tra le solite copie di free press e qualche carta di gelato.
Oggi ho dato un esame in cui ho detto cose che non pensavo.
E non era mai successo.
Anzi oggi ho dato un esame in cui ho detto cose di cui pensavo esattamente il contrario.
E' che lo dovevo passare, neanche con un voto e vero e proprio, solo un'approvazione, un va bene così.
Però è stato terribile comunque. Mi sono sentita tradita da me stessa. 
Volevo tirarmi una sberla da sola ma poi ieri mi sono già fatta un tatuaggio sulla carne viva sbattendo la spalla contro la mensola del bagno. Ho pensato potesse bastare.
Tutt'intorno a me era un turbinare di infradito, pelli lampadate, meches nuove di pacca, unghie laccate, settimane a Formentera. 
Forse un giorno anch'io mi farò le meches. No, non ci posso pensare.
E comunque preferire andare a Formentera.
Nel mentre realizzo che mancano sei giorni a un altro esame mattone, che fa così caldo che non riesco a concentrarmi nemmeno sul pensiero di dovermi concentrare, che avrei voglia soltanto di parchi aquatici, scivoloni e ghiaccioli al limone.
Sono arrabbiata scusate, passerà.



martedì, giugno 17, 2008

lentamente scorre

Dicono che da domani non pioverà più e allora bisogna avere fede perché è dura crederci dopo tutta questa pioggia, le nuvole, il vento, il freddo, il cielo che sembra decisamente novembre addicted.

Avevo avvisato che sarei sprofondata nel tunnel esami. 
E sprofondare è il verbo più adatto perché ci sto mollemente scivolando dentro, con un po' di abbandono volendo, alle solite sabbie mobili di pagine e pagine che mi raccontano di un mondo che non esiste, che non sembra affatto questo qui.
Certe volte, immagino succeda anche voi, mi sento proprio strana ad avere certe pensate, a indignarmi ancora per qualcosa che la maggior parte degli altri si lascia scivolare addosso.
Senza sapere, sinceramente, se faccio bene o male, se forse la soluzione è sempre e comunque la superficie e mai il fondo, il dietro, il complicato.
Se mai verrà il tempo in cui potremo parlare ad alta voce solo nel nostro cuore spero per quel giorno di avere letto tutto il necessario, tutti i libri migliori della mia vita per poterli ricordare, raccontare, interrogare ancora una volta per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Amara, una briciola. 
E' tutto un'altalena tra la luce e il buio, tra l'estate e l'inverno, tra il sole e la pioggia.


lunedì, giugno 09, 2008

*around alone

Per coloro che se lo stessero chiedendo (immagino quasi nessuno ma vabbé), la sottoscritta aggiorna il suo blog in a bradipo way perché è ufficialmente entrata nel tunnel esami da cui uscirà si spera vincente, sicuramente acciaccata, indubbiamente esausta.

I blog altrui la sera li leggo sempre prima della nanna, è un rito accomodante, che rimette in pace con il mondo, però quando si tratta di aggiornare il mio mi cala la palpebra e non so che raccontare, studio tutto il giorno e faccio pause solo per mangiare, dormire, fare pipì, un po' come Giovanni Soldini nell'Around Alone.
A proposito Giovanni, se per caso dovessi passare di qui e leggere queste righe ho una nuova sfida per te: a me sbatti su un catamarano alla deriva nell'Oceano Indiano e tu invece provi a dare sei esami entro il 14 luglio. 
Poi andiamo da Ruggeri al Bivio e gli raccontiamo tutto.
Non ci stai eh?
Immaginavo.


lunedì, giugno 02, 2008

Cicloturisti allo sbaraglio

Capita che dopo lunghi mesi invernali, trascorsi seduta sulla scrivania o in piedi su un mezzo di trasporto pubblico la primavera abbia risvegliato in me un istinto sportivo, un bisogno di stare all'aria aperta, un ritorno alla natura, insomma il desiderio di muovere un po' il culo.


Per cui in una domenica che più uggiosa non si può civetto a Simone la brillante idea di un giro in bici, che non ci sono ancora le zanzare ed è anche nuvolo, così si fa meno fatica.
La parte preparatoria mi mette a dura prova. 
Gonfio e rigonfio la gomma della bicicletta (di quelle da donna di ritorno al mercato) ma l'infigarda resta sempre mollissima mentre io in compenso mi sono ricoperta di grasso dalla testa ai piedi. Attendo l'arrivo dell'uomo che con docile pazienza mi spiega che prima di gonfiare la ruota occorre schiacchiare un pochino la valvola (e dire che alle superiori andavo in bici, tant'è ho rimosso tutto). 
Però ho portato un litro di acqua frizzante, non si sa mai.

Si parte. 
Orgogliosa sfodero la mia cartina cicloturistica stampata da internet con tanto di itinerario dal poetico titolo "Pedalando per le risaie". 
Attraversiamo la città e ci inoltriamo in un sentierino attraverso i campi, vedo un paio di farfalle e mi sento già Licia Colò.
Dopo circa tre chilometri ci accorgiamo di avere passato da circa tre chilometri la cascina dove si doveva girare a sinistra. Ma siamo in sella da appena mezz'ora e ritorniamo baldanzosi sui nostri passi, vedo anche un'anatra. Wow.
Il resto è follia, paura e delirio.
Ecco, io voglio solo dirvi che quella tranquilla passeggiata che doveva durare un'oretta e che era descritta per "principianti" e "facile" e di circa "15 chilometri" non esisteva.
Il nostro "giro" o meglio la nostra circumnavigazione del globo risaiolo tra tangenziali e cavalcavia, cimiteri, paesini e campi è diventata una lotta alla sopravvivenza che manco Lost: strade di fango con larghi solchi scavati dai trattori che hanno cercato di inghiottirci più volte, feroci cagnetti che si eiettavano dai cortili delle cascine a tutta la velocità con il solo obiettivo di rimuoverci coi canini il tendine d'achille, tre ore e mezza di aspre salite aspirando a pieni polmoni un sano mix di afa e diserbanti, il tutto per un totale di circa 30 chilometri. 
Abbiamo vissuto momenti drammatici.
Come quando seguendo la fasulle indicazioni dell'itinerario  (a questo punto diciamocelo, scritto da uno che probabilmente aveva qualche contenzioso con un cicloturista) finiamo per affossarci lungo l'infinito argine di una risaia. 
I giunchi crescono alti come la giungla di Indiana Jones, la tangenziale sarebbe vicina ma ahimè la separa da noi un fosso profondo almeno tre metri e il sole sta calando. 
Simone propone di lanciare le biciclette oltre il fosso perché magari riusciamo a passare. 
Sta delirando ormai.
Una sottile inquietudine si fa strada in noi.
Il tramonto in una risaia significa solo una cosa.
Zanzare. Milioni di zanzare. 
La voce rotta dal panico di Simone mi sprona a reagire "Forza Fra, dobbiamo uscirne qui ci mangiano vivi" e sono sicura che non è un eufemismo. 
Raccolgo una manciata scarsa di energie interiori e ritorniamo su quella che forse,speriamo vivamente, dovrebbe essere la strada maestra. 
Nel fosso accanto a noi si sente il rumore di un tuffo. 

Simo -Cos'è stato? Un coccodrillo?-
Io -Simo, Simo guarda che carina c'è una nutria, ha il musino da maiale! E' grossa eh? Non le avevo mai viste da così vicino...-
Simo -Muoviti a pedalare, se per caso ha i cuccioli potrebbe essere aggressiva-
Io -Oh mer**-

Siamo tornati a Vercelli allo stremo delle forze e se Simone si sforzava di mascherare la sua devastazione psicofisica io ci riuscivo meno bene considerando che tutti i passanti che abbiamo incrociato mi hanno guardato con stupore e preoccupazione. 
Una volta a casa con gli stessi sintomi della febbre gialla dopo aver mangiato come un coguaro ho espresso il mio ultimo desiderio: -Papà già che esci mi compri un gelatino?-
Dopo di che mi sono schiantata a letto.
Alle dieci.

Quindi la morale della favola è: il cicloturismo è una bella cosa, la natura anche, ma auguro a chi ha scritto quella mappa un paio di giorni con lo stesso mal di chiappe con cui mi svegliata stamattina.
Tiè.