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mercoledì, settembre 03, 2008

Comeback cupcakes (le tortine del ritorno)

Mercoledì pomeriggio.
Il tempo si mette al brutto e il mio raffreddore da ritorno spara le ultime cartucce privandomi dell'udito e dell'olfatto. 
Le fotocopie per l'esame anziché diminuire paiono moltiplicarsi. 
Forse è questione di prospettive e di suggestioni personali, ieri mentre mi trascinavo a casa con un paio di pizze da asporto mi è sembrato di sentire rumo
re di gabbiani nel cielo.
Sono qui ma non sono qui, sono qui ma vorrei essere altrove. 
Non tanto per l'essere in vacanza in sé, quanto per l'essere altr-ove, in un dove diverso da questa Seattle ripopolatasi improvvisamente di ragazze in hotpants e uomini lampadati. 
Vorrei un pianeta piccolo fatto su misura.
E così, come tutte le volte in cui mi sento piena di nodi che si attorcigliano come i serpenti sotto i piedi di Indiana Jones mi metto ai fornelli.
Zitta zitta, con i miei appunti, le mie ciotole, la mia pesa scassata e Giulio che infila le zampe nello zucchero a velo.
Misuro, mescolo, centrifugo, cuocio. 
Fuori si scatena un temporale violentissimo.
Ma io sono nel mio piccolo pianeta fatto di vaniglia e pirottini e zucchero a velo. 
Alla fine del mio operato ho prodotto dei cupcakes alla vaniglia con glassa al limone, altresì ribattezzati "le tortine del ritorno" perché spero di guarire dalla sindrome del ritorno, perché il cibo è qualcosa che dà sempre soddisfazione e perché a volte per sentirsi a casa, non è importante essere in un posto piuttosto che in un altro, ma scendere a patti con noi stessi.
E non c'è niente di meglio per corrompere la propria volontà che un dolcetto esageratamente ipercalorico.

P.s. Grazie a Enzo per la cartolina piena di pecore pelose....subito piazzata sul muro di fronte la scrivania.

domenica, maggio 18, 2008

Il clafoutis come volontà e rappresentazione

Domenica pomeriggio uggiosa.

Finisco il secondo libro dell'infinita opera di Schoppy. 
Ci ritrovo gli icneumoni, li avevo già studiati in Darwin, sapete, sono insetti schifosissimi che depongono le loro larve dentro altre larve così le loro si mangiano le altrui dall'interno. 
Schoppy poverino è fissato con l'idea che l'essenza del mondo è la sfiga (si va bene lui parla del dolore, della noluntas, ma io qui non voglio mica fare pillole di sapienza) e che la natura ce lo dimostra. 
Prendi le formiche giganti dice, quelle che se le tagli a metà una parte lotta con l'altra e poi se la magna. Il tragico ci dice come stanno le cose e le cose non vanno troppo bene per noi. Però questo è l'unico modo di vivere. Quello di costruirsi illusioni, quello di fare finta che ci siano relazioni, corrispondenze, felicità.
Schoppy era uno di quelli con la scimmia 365 giorni l'anno. I suoi corsi universitari se li filavano in pochi. Frequentava i bordelli, insultava i colleghi. 
Non era affatto contento delle sue scoperte filosofiche. Forse avrebbe preferito scoprire che l'essenza del mondo era un pandistelle o una girella. Mica il dolore, porcalamiseria.
Qui subentro io che sono una persona che legge troppo, e quando legge ha strane reazioni di immedesimazione, di fastidio, di improvvisa volontà di.
Sono due settimane che leggo un po' di Schoppy tutti i giorni e improvvisamente ho sentito il bisogno fisico di un anti-shoppy, un antidoto, qualcosa che mi tenesse la mente lontana dal principio di ragion sufficiente, dagli animali che si mangiano tra di loro, dalla vita che è illusione e non prendiamoci per il culo.
Così sono andata in cucina e ho deciso di fare il clafoutis; ma poiché l'ho fatto con le fragole si dovrebbe chiamare flognarde.
Termine che alla sottoscritta rimanda un'immagine di fogne maleodoranti e allora è stato ribattezzato "Il clafoutis come volontà (di farlo e magnarmelo) e rappresentazione (gradevole e con lo zucchero a velo)".
Ho preso le fragole, le ho tagliate appoggiandomi all'unico angolo della cucina che non fosse disseminato di compiti in classe degli alunni di mia madre e le ho mondate pensando a Schoppy, anzi dialogando nella mia mente con lui aggrappato a un paio dei miei neuroni.

-Ecco Schoppy, sono qui nel mio mondo di rappresentazione soggetta al principio di ragione che mondo le fragole di cui ho rappresentazione intuitiva. Tié -
-E non ti interesserebbe sapere il significato di tale rappresentazione?-
-No, però passami il sale e pesa 65 grammi di zucchero a velo-
-Tieni. Spero tu sia consapevole che i tuoi denti, il tuo esofago e il tuo intestino non sono che la tua fame oggettivata-
- Quasi quasi non te ne faccio assaggiare neanche un cucchiaino. Devi sempre parlare di robe schifose, sembri quel mio compagno delle elementari che a mensa mi faceva leggere i fumetti di Dylan Dog coi tizi che si mangiavano i topi. Bleah-

Alla fine sono riuscita a zittirlo. 
Il clafoutis è uscito tutto profumato, sembrava fosse esplosa una fruttella gigante alla fragola in cucina. Io sinceramente ci avrei messo molto ma molto zucchero in più ma forse è solo perché la mia mezza mela è lontana e sono in carenza di affetto.
Fuori è spuntato il sole, una luce da primo giorno della Creazione con le montagne scure e il cielo azzurrissimo. Mi è suonato il cellulare e gli amici mi reclamavano per la visione di un filmaccio al cinema stasera. La domenica è passata, domani è lunedì, la mezza mela torna dalla Svezia e non devo andare all'università perché sono finite le lezioni.
Quindi sì l'essenza della vita sarà anche tragica ma capita che, a volte, fortuitamente, non sia niente male.





mercoledì, marzo 19, 2008

Umpf.

Parliamo un po' di me.

Perchè i blog sono creature autoreferenziali. 
E quando i blog languono pensosi mostrando per parecchi giorni di fila la solita vecchia paginetta intimista significa che i loro proprietari hanno difficoltà a fare riferimento alla loro egointeriorità.
Tutto questo per dire che nonostante il periodo sia pieno di inizi  (iniziata la primavera, iniziate le vacanze, iniziata al mondo dei mac, iniziata a un paio di jeans il cui prezzo mi fa sentire in colpa con il mondo intero) mi sento floscia come un calzino spaiato rimasto incollato per sbaglio al cestello della lavatrice.
Non sono nemmeno emozionata per l'avvicendarsi del mio compleanno. 
Di solito è una cosa che mi fa strippare dal primo di marzo. Invece niente, sono addirittura contrariata all'idea di organizzarmi una festa. Al momento vorrei un compleanno non festeggiato, a casa, in pigiama a guardare Pretty in pink o altre amenità anni '80.
Oggi ho dovuto cucinare. Per forza. 
Le alternative erano: 
a) rincoglionirsi con la peggio monnezza televisiva della programmazione pomeridiana;

b) ricominciare a ripassare plotino accorgendomi con sconforto che molta parte dei miei studi triennali sono stati completamente azzerati. In compenso al trivial azzecco sempre la risposta al quesito "come si chiamava il cane della famosa pubblicità infostrada?";

c) studiare filosofia medievale;

d) cucinare e scacciare lo spleen con qualcosa che una volta prodotta dia davvero soddisfazione.

Così ho scelto la busta d e ho iniziato a imprecare contro il robot da cucina, prestato da mia nonna, che per chiudersi necessita una serie di mosse e mossette di coperchio che neanche il cubo di rubik. 
Giulio felino mi guardava mollemente disteso sulla credenza mentre cantavo Fever impugnando una carota a mò di microfono e tenendo il tempo con un gambo di sedano. 
Sto vivendo una crisi di mezza età, la settimana scorsa uscendo da blockbuster un ragazzino mi ha detto "SCUSI le è caduto lo scontrino". 
Scusi a me, che faccio solo 25 anni tra pochi giorni. 
Per poco non si rimediava un calcio nei maroni. 
Ho il dubbio di stare diventando adulta. 
Che significa sotto molti aspetti esplicitare la vecchietudine che si è sempre celata in me. 
A sette anni ero una formidabile giocatrice di carte, gran partitoni con mio nonno che mi insegnava i trucchi del mestiere (ma non tutti altrimenti poi rischiavo di vincere). 
Annusavo il tabacco profumato nelle ampolle della tabaccheria dell'altro nonno, ascoltavo i discorsi sul tempo e sui vicini di casa, mi piaceva passeggiare per il viale camminando piano. Oggi a (quasi) 25 anni mi piace la buona tavola e il buon vino, leggere libri con una coperta sulle ginocchia, coccolare il mio gatto lamentandomi del maldischiena, passeggiare per il viale veloce (perchè di tempo ormai non ce n'è più), ripensare a quando all'asilo giocavamo ai power rangers buttandoci giù dallo scalone dell'ingresso. 
Quelle primavere infinite che si trasformavano presto nell'estate ed era tutto un colare di ghiaccioli, un tuffo in piscina, un giretto in bici fischiettando con le amiche, i primi batticuori per tizi che non ti filavano assolutamente, anzi traslocavano ad agosto e quando tornavi dalle vacanze ti ritrovavi di fronte a un citofono con un cognome diverso dal solito e non capivi perché. 
Vecchia anche in questo. 
Nel tentativo di ricordare sempre tutto in ogni minimo particolare. 
Come se quello che sono oggi fosse molto meno sicuro di quello che ero ieri.
Alla fine Giulio si sposta dalla credenza e viene a miagolarmi in mezzo ai piedi perché vorrebbe un pezzo di Giovanni Damasceno, la mia torta di carote: alta, profumata e di un arancione lisergico che finisce per migliorare il mio umore.
Del resto con un gatto bianco e rosso con la pancia pelosa, una torta carotibile e un portatile nuovo di pacca non è poi così male essere se stessi.


venerdì, gennaio 11, 2008

Ancora? Sì.

Sono monotematica.
Difatti sto nuovamente per parlarvi della mia macchina del pane.
In realtà potrei dilettarvi con un po' Neoscolastica milanese e i suoi affascinanti tafferugli tra l'immutabilità dell'essere e la grande contraddizione del divenire, o raccontarvi di come il mio gatto sia talmente viziato da miagolarmi contro perchè vuole sdraiarsi sul letto al posto mio.
E invece benvenuti a "La macchina del pane ha aperto giù in città parte II^".

In seguito all'acquisto ho resistito ben 24 ore all'irrefrenabile desiderio di mettermi a pacioccare il suddetto apparecchio, anzi: talmente grande il mio indice di maturità acquisita che mi sono letta tutte le istruzioni da cima a fondo sottolineando con l'evidenziatore giallo i concetti importanti e cercando su wikipedia le parole più complesse (o forse mi confondo con quello che stavo studiando).
Comunque. Pronta a tutto mi accingo alla prima ricetta che richiede complicatissime equivalenze tra tazzine da the inglesi, cucchiaini d'argento degli Angiò e millilitri.
Sebbene non molto sicura dei risultati ottenuti, che mi hanno dato misure con numeri periodici, radici quadrate e orbitali butto quelle che mi appaiono le quantità giuste degli ingredienti indicanti nel feroce contenitore e aziono il marchingegno che fa bip e inizia a muoversi.
"Sta funzionando" penso.
Ma lo penso davvero per poco, qualche minuto più in là mi accorgo che l'impasto non può essere definito come tale in quanto non si impasta. Il che contraddice il principio di Parmenide che ci dice che l'impasto è impasto e non può non essere impasto.
"Vedrai che è come quando ho fatto la pannacotta la prima volta: sembrava non venisse e poi zan! all'ultimo è saltata fuori perfetta" cerca di consolarmi mia madre.
Sono dubbiosa ma decido di attendere ancora un'oretta.
Torno a studiare e allo scoccare dell'ora la farina è ancora lì, bruciacchiata, appiccicaticcia, ciò che estraggo dalla vaschetta sta al pane come valeria marini sta a rita levi montalcini.
getto tutto e nell'apposito spazio per le annotazioni riguardanti la ricetta scrivo "NO".

Il secondo tentativo mi vede intrepida fin dalle prime luci del mattino.
Armata di farina lidl mi avvicino all'instrumentum minacciosa e decido di seguire la ricetta che i produttori tetteschi lidl consigliano -mettere acquen così poi mettere farinen così poi aspettaren che prodotto riscalti poi manciare-.
Dopo un'ora e mezza l'impasto è talmente lievitato che temo si trasformi in una pianta del fagiolo magico e sfondi il soffitto della cucina.
L'entusiasmo mi assale ma muore dopo pochi minuti, quando a un secondo controllo l'infida miscela si mostra sgonfiata a mò di lago vulcanico di bracciano.
Merda! (ops)
Il risultato finale è una mattonella di oneste dimensioni e di sapore piuttosto buono.
L'unico problema è che le pale impastatrici rimangono ermeticamente racchiuse dal
matton-pane. Per estrarle bisognerà attendere che qualcuno le mastichi e si faccia saltare un po' di incisivi.
Però non demordo. Se a tutti quei foodbloggers lì, vengono fuori delle robe strepitose, con delle foto che le vedi e stai già sbavando come un terranova, devo farcela anch'io.
Io studio Filosofia.
Io posso farcela.

mercoledì, gennaio 09, 2008

La M.d.P.

Alla fine non ho resistito e l'ho comprata.
Stava lì davanti a me, luccicante, plasticosa, mentre vagavo ebete tra i corridoi del supermercato e cercavo di concentrarmi sulle confezioni di biscotti e dimenticare la metafisica.

Forse è perchè da piccola non ho avuto il Dolce Forno.

(La Maglieria Magica di Barbie sì, ricordo che fino a qualche anno fa girava per casa la sciarpa che avevo prodotto, involontariamente, con gli stessi colori di quella dell'ultrà della pubblicità della Benagol).

Alla cassa ero quasi commossa e quando la commessa mi ha sorriso le ho detto che

-Sa, questo è uno di quegli acquisti inutili che non mi serviranno a nulla
ma che nel momento mi fa stare bene-

Avrei voluto aggiungere che avevo trascorso il pomeriggio a dibattere tra me e me di
onto-teo-logia, essere-per-la-morte, ereignis, anwesen e molte altre puttanate tedesche di cui non sono sicura che il significato corrisponda a realtà.
Mi piace sempre studiare,eh.
Ma amerei farlo con la dovuta calma, tra una sorsata di caffè e una carezza al gatto.
Perchè uno non può studiare la differenza ontologica in Martin e Tommaso d'A. e poi uscire a fare la spesa.
E' come non essere riusciti a smaltire un jet-lag di dodici ore. Ci si sente lost in translation e anche un po' pirla, sinceramente.
Però non importa.

Lei è là ed emana anche un sottile sinuoso profumo di plastica.
Il manuale di istruzioni è scritto in italiano approssimativo ed enumera ingredienti di cui non conoscevi l'esistenza terrena.
Che cos'è lo zucchero conservante?
Dove posso comprare il latte disadratato in polvere?
Però non importa.
Sapere che quel marchingegno, seppur spento, abita la mia cucina mi dà una grande sensazione di tranquillità.

Il mondo è fatto di piccole cose e grandi rivolgimenti.
L'America delle bandierine, l'Italia delle piramidi di monnezza.
Sarkozy, presidente cedrone, e la Bruni, ambasciatrice delle belle gnocche, che fanno ciao ciao dalle piramidi.

Ciao ciao.

lunedì, gennaio 15, 2007

Oggi cucino io

In questi primi giorni del 2007, nonostante l'oroscopo narrasse meraviglie per la sottoscritta ancora non è capitato niente di sfolgorante. Il biglietto della lotteria non era quello vincente, ho comprato invano tre grattaevinci senza nulla vincere e stavo pensando di buttarmi sul lotto e le corse ai cavalli. Fortuna volle che però mi sia beccata una simpaticissima influenza, dapprima sottoforma di raffreddore ammorbante e poi di febbre sballoide.
Il peggio sembrerebbe passato ma a titolo precauzionale mi sono rinchiusa in casa a smaltire gli ultimi strascichi del morbo; poichè però appartengo alla categoria di persone che l'appetito non lo perde quasi mai per combattere la noia mi sono data ai fornelli e oggi ho scodellato una pasta niente male che ho deciso di postare qui sul blog per dare un cenno della mia presenza.

Pasta con zucchine, pomodorini e curry.

A me il curry piace decisamente tanto, così come tutte le spezie in generale.
Detto questo l’idea di base era utilizzare lo zafferano (che invece non amo per niente) per “colorare” le zucchine ma quando con grande gioia ho scoperto di non averne in casa il curry mi ha sorriso dicendo “Usami”.
Il seguente piatto era stato catturato in un'immagine che però l'infido computer ha deciso di non aprire. Pertanto lavorate di immaginazione.

Ingredienti:
Una zucchina (se sono piccole anche due)
Uno scalogno
Un cucchiaino di curry
Due cucchiaini di panna
5/6 pomodori grappolo
Sale q.b.
Pepe q.b.
Panna da cucina (forse)

Come si fa:
Lavate la zucchina e tagliatela in verticale per formare delle striscioline il più possibile sottili. Sarebbe meglio un coltello affilato ma fare attenzione alle dita (io ho tentato di tranciarmi l’anulare sinistro, tipo lezioni di piano tanto per intenderci). Lavate pure i pomodori, tagliateli a tocchetti consistenti (altrimenti diventano poltiglia) cospargeteli con un pizzico di sale e metteteli a perdere acqua (io molto barbaramente utilizzo lo scolapasta, sempre per la tecnica del meno si sporca e più mia madre sarà di buonumore).
Poi soffriggete lo scalogno con un cucchiaio e mezzo d’olio extravergine d’oliva e gettate le striscioline di zucchine e i simpatici pomodorini.
Le zucchine perderanno un po’ d’acqua così come è nell’ordine delle cose.
Quando ciò accadrà non fatevi prendere dal panico e avanti col cucchiaino di curry!, in modo da creare una sostanziosa “pucia” così come si dice da queste parti. Se di acqua vi pare ce ne sia troppo poca, aggiungere quella di cottura della pasta. Perché nel frattempo avrete messo a bollire 180 grammi di fettuccine all’uovo.
*La panna è un optional. Io la uso per addensare un po’ il sughetto ma per coloro che non la apprezzano particolarmente, anche un cucchiaino di farina è gradito.
Detto questo scolate la pasta con un minuto di anticipo, fatela saltare in padella e servite con abbondante parmigiano/pecorino/quello che vi pare.
Bon apetit.