domenica, gennaio 29, 2006

*lady sleep

Non sono più capace di esagerare.
Domenica mattina, sveglia alle dieci, quel leggero fastidioso malditesta da bicchiere di troppo che mi batte nelle tempie ritmico, bum-bum-bum.
Una passeggiata in mezzo alla città allagata dalla neve nera, una dose di caffè di quelle massicce, John Lennon canta sguaiatamente Stand by me.
E niente, la testa continua a pulsare con regolarità, bum-bum-bum.
Non sono più capace di esagerare.
L’unica ragazza della mia età ad avere sempre un disperato bisogno di una siesta post-pranzo da consumare rigorosamente collassata sul divano.
Mi ci vorrebbe una sigaretta ecco, ma diamine si era detto di smettere, si era detto.
Ieri serata al circolo arci di V.C. , musica, sedie in bilico su scale in bilico con bottiglie in bilico, chiacchiere a raffica, birra-cubalibre-birra-birra, i miei ingombranti stivaloni di pelo nero molto anni ’60 ma anche molto muppets, volti noti e meno noti.
Un cartello appeso alla parete annuncia per domenica l'ennesimo poetry-slam cui io non ho mai preso parte attiva/passivamente.
Mi domando se mi piacerebbe e poi mi rispondo che no, dalla umida sera in cui ho avuto il privilegio di vedere Lorenzo Ferlinghetti, nella sua persona di vecchio con la maglia righe, io non scrivo più poesie, perché troppo concentrata a venerare la Poesia, jack, neal, allen, gregory, peter, diane e non posso più scrivere niente, non posso che considerare con tenerezza tutti i miei giochi linguistici adolescenti e tenerli in un cassetto, con tenerezza.

venerdì, gennaio 27, 2006

*Do you realize?

Oggi ero in macchina e nevicava di brutto, sembrava di essere dentro a una scena di Dante’s Peak, terribile b-movie catastrofico visto e rivisto su italia1 in molteplici serate assolutamente da dimenticare.
Finalmente felice di essermi liberata della sensazione opprimente di una neve cattiva che mi avrebbe impaludato-intrappolato-ingrigito, serenamente in preda all’entusiasmo bambino per le cose bianche, le mani che friggono in attesa di scattare fotofotofotofoto il dover andare piano sempre e dappertutto, camminare piano, guidare piano, frenare piano.
Doucement.
Doucement applicato a ogni contesto possibile.
Le scale che diventano discese, le strade che diventano sentieri.
Stamattina ho messo i pantaloni dentro gli stivali e mi sono vergognata da morire, io odio i jeans dentro gli stivali, mi sento le gambe segate a metà. Però ho dovuto scegliere tra il rischio di apparire modaiola e la spiacevole sensazione di pantalone fradicio sul polpaccio.
Poi avevo bisogno di qualcosa che rompesse il silenzio-nevoso, così mi sono messa a frugare nel cruscotto e ho trovato vecchi cd lì dimenticati da mesi, anni, secoli.
E’ stato come frugare nel cassettone segreto della propria musica passata (e molto spesso ancora presente), dal Beck di Sea Change ai Super Furry Animals, dalle Yeah Yeah Yeahs a Simon e Garfunkel. E poi ho trovato anche quella canzone il cui primo ascolto mi aveva indotto un breve intimissimo pianto, quel giusto di lacrime per sentirmi più leggera.
Do you realize.
Flaming Lips.
Era un periodo così, di tristi considerazioni, di frequenti costrizioni e ancora più frequenti contrizioni, di improvvise confessioni, di ubicazioni poco chiare della mia persona nell’universo.
Cioè stavo male, come può stare male chi conosce troppi segreti e non può rivelarne quasi nessuno perché non lo reputa opportuno.
Periodo che mi ha insegnato che i segreti sono fatti apposta per essere raccontati comunque perché a tenerli dentro fanno male proprio.
Periodo in cui ero innamorata da nodo allo stomaco e facevo qualunque cosa per non pensarci, compreso uscire con un emerito stronzetto dal ciuffo laccato e la voce impostata, che cercava di comprare la mia attenzione con discorsi enciclopedici e infantili recensioni sui Flaming Lips.
Io, col cuore altrove, avevo pensato che la storia dei Flaming Lips non poteva che essere una coincidenza, ma non avevo realizzato che l’unica coincidenza stava nel continuare a frequentare la persona sbagliata nel momento sbagliato.
Poi grazie al cielo me ne sono accorta.
Poi grazie al cielo la persona giusta si è accorta di me.

Mi sa che ho scritto qualcosa di quasi romantico, mannaggia.

giovedì, gennaio 26, 2006

*cuore di tenebra

Quando fuori nevica appassionatamente da un giorno intero e sono appena rincasata trascinandomi una confezione di minerale da sei (il giorno in cui scoprirò chi ha avuto la geniale idea di quei praticissimi manici di plastica che ti tagliano il palmo fino ai nervi....quel giorno ci sarà parecchia violenza) non c'è niente di meglio che appiccicarsi al computer ed ascoltare qualcosa di vecchio (Sufjan, Elliott Smith) e qualcosa di nuovo (Baustelle, Sébastien Schuller).
Sono un po' incazzata oggi. Va così.
Appoggio i jeans al termosifone, mi aggiro in mutande per la stanza e lancio una laconica occhiata al pacchetto da dieci di camel light.
Io l'ho pensato sul serio quest'anno di smettere.
E' che non ci ho mai provato davvero.
Funziona come per Vercelli-Seattle.
Città che ho giurato a me stessa di abbandonare almeno un centinaio di volte e invece eccomi ancora qui, incapace di smettere. Di alzarmi la mattina e sbirciare il cavalcaferrovia dalla finestra, di percorrere le stesse strade centinaia di volte in tutte le direzioni, di riconoscere rumori, volti, finestre, balconi. Di sapere che voltando l'angolo ci sarà il tale albero e la tale panchina, di sapere che per fare più in fretta conviene attraversare il parcheggio o passare per il cortile dell'università.
Ma oggi sono un po'incazzata e allora capita di vedere tutto a rovescio.
Di dimenticarsi che fuori sta nevicando e la neve è meravigliosa e per strada le cose sono tutte bianche e i piedi fanno un non-rumore quando li appoggi sopra all'asfalto.

mercoledì, gennaio 25, 2006

Uno stilista allo specchio. Anzi due. (Specchi).


Dicono che nevicherà di nuovo domani.
Il lungo inverno sembra proprio non volersene andare in nessun modo.
Me lo dice la spalla dolorante per la mia brillante idea di affrontare artiche temperature con il mio fedele imbottito (per finta) di H&M.
Ferré ha certamente ragione a sostenere che noi donne che compriamo da H&M non andremo mai avanti nel mondo della moda, condannate per il resto dei nostri giorni ad aspettare i saldi per comprarci un cappotto più caldo.
Tu però, "mostro sacro del made in Italy", i jeans a 38 euro non li vendi eh?
Mica siamo tutte come Julia Roberts.
Noi abbiamo i reumatismi alle spalle, una laurea del cui disvalore ci rendiamo conto ogni giorno che passa, una speranza disperata di trovare un lavoro che non ci veda incollate ad un auricolare a rompere le palle alla gente tutto il santo giorno.
Siamo donne vere noi, e le donne vere si vestono là dove costa poco, dove con cento euri ti porti a casa pure tre paia di pantaloni e una maglia, pure.
H&M, Zara, Promod, Mango, Porta Portese, Il Baloon, gli spacci di vestiti truzzi per andare a Biella e anche l'Oviesse.
sì, ho proprio detto OVIESSE.
Là dove tre paia di calze costano come una bustina di zucchero nel tuo atelier.

Che brividi, eh?

domenica, gennaio 22, 2006


Continua il mio momento di estasi letteraria.

"E continuo a cercarti anche col telefono, però da anni non risponde nessuno.
Ma non mi arrendo, tu sai che ho la testa dura dell'amore, così da un mese ogni giorno faccio un numero diverso e, siccome la coincidenza esiste, prima o dopo ti troverò.
Io dalla mia ho una speranza che vince mille a zero sulla pazienza, così so e ho sempre saputo che un giorno...Un giorno arriverà il tramonto e si siederà sopra il sole, ma in quel momento il sole si rifiuterà di scendere giù, giù in fondo al mare, allora succederà che ci sarà luce tutto il giorno, sarà la volta che i curiosi non si sveglieranno dal riposo e tu, tu non sarai astratta come il sogno. Sarà un giorno senza numero, senza mese e senza anno, e io e te avremo conquistato l'eternità.
Ci credi?
Se sì, mandami a dire".

venerdì, gennaio 20, 2006

incredibly close


Finito ieri notte, verso le ore due.
Sfogliate le ultime pagine un paio di volte.
Una lacrima leggera leggera che si appoggia sul cuscino e spengo la luce.
Meraviglioso.

giovedì, gennaio 19, 2006

la voce dell'incandescenza


#1
Ci vogliono 14 euro e qualcosa per avere il mio diploma di laurea.
Non lo trovo giusto.
Se solo sapessero cosa ha significato leggere Derrida e, soprattutto, cercare di capirlo per quasi due mesi di fila, a ritmi infernali, se solo sapessero cosa ha davvero significato, sono sicura che non mi farebbero pagare niente, anzi, magari mi offrirebbero pure un aperol soda al bar vicino all'università che sembra una tenda per rifugiati.
Una leggenda metropolitana narra che un giorno, all'interno di tale tendone, il giubbotto di un povero malcapitato abbia preso fuoco e sia diventato cenere di fronte ai suoi occhi.
Lo aveva appoggiato troppo vicino alla stufa elettrica. Impavido.
Da quanto ho ascoltato questa storia per la prima volta mi siedo sempre lontano dalle stufe elettriche e dalle stufe in genere.
#2
Ho il raffreddore. Che schifo. Il mio corpo è una specie di continua fionda di germi in tutte le direzioni. Tutta la notte avvolta in una crisalide di Vix, stamane non riuscivo a staccarmi le coperte di dosso tanto ero unta. Neanche Elena Santarelli nel suo ultimo calendario, neanche.
E dovrebbero fare calendari di donne in pigiama con il raffreddore per dare modo alla gente di prendere coscienza di questa realtà. La donna non è sempre in topless impigliata in una rete da pesca con i glitter a forma di stellina intorno all'ombelico. La donna è anche raffreddata, con i codini da pippicalzelunghe, le calze di lana, i jeans sporchi di farina della settimana scorsa.
La donna sa guidare. Però sa parcheggiare molto di rado, questo è vero e vanta poche eccezioni.
#3
Verso le undici mi ha telefonato un amico chiedendomi se potevo fargli una foto per favore, che era molto urgente. Volevo parlargli del raffreddore e delle donne in pigiama e del fatto che il pigiama in quel momento ce l'avevo ancora addosso ma poi era urgente e allora ho accettato.
Mi ha chiamato alle undici e mi ha detto che sarebbe passato subito, quindi mi sono vestita e sono scesa in strada, lui naturalmente non c'era subito. L'importanza degli avverbi.
E' arrivato dopo un'ora e venti, io nel frattempo ero tornata di sopra e mi ero messa di nuovo il pigiama.
Più tardi ha centrato un palo con la portiera della macchina.
Gli uomini sanno guidare. Però fanno manovre troppo affrettate, questo è vero e vanta poche eccezioni.
Everything in its right place
Voglio diventare una di quelle persone che mandano a farsi fottere le Opportunità Maiuscole. Fiera del fatto che se non mi va di fare qualcosa, se in questo momento sono più per un continuum spazio-temporale che per un ulteriore strappo esistenziale allora dico no e basta, senza successivi rimpianti.

mercoledì, gennaio 18, 2006

*Our love make the world go round

O così sembra.

L’odioso presentimento di un incombente raffreddore.
L’occhio languido, le membra flaccide, il pigiama a righe rosa, quella felpa che si usava nei primi anni ’90 per fare gli undergrounds.
E dire che si era deciso che la primavera iniziava oggi, perché aspettare altri due mesi, di freddo, di cielo nebbioso, di soldi dilapidati in the, tisane, cioccolate calde, vino rosso con un certo tasso alcolico, amari, grappe aveva stufato, aveva.
Stasera non mi si connette internet ad esempio e sapere perché.
Però scrivo lo stesso due cose e me ne frego, mica bisogna sempre arrendersi agli eventi.
O forse in certi casi sì, di fronte all’evidenza bisogna semplicemente accostare la porta e girare i tacchi.
In matematica io alle superiori ero una pietra totale, inutile stare lì a spaccarsi la testa.
I numeri li rispetto, non li capisco, sono soliti mordermi ma ad ogni modo rispetto la loro esistenza, l’idea che nel mondo qualcuno li possa capire e interpretare e dirmi che in realtà sono facilissimi.
Io di fronte ai numeri ho girato i tacchi.
E anche di fronte ai tacchi che mi fanno male ai piedi, alle carote lesse che mi fanno schifo, a Robbie Williams che secondo me assomiglia a una scimmia, ai pettegolezzi che mi annoiano, alla pallavolo che mi vedeva troppo spesso in panchina, alla ceretta che è una sofferenza insostenibile, a Luciano De Crescenzo, a Francesco Alberoni, a Umberto Galimberti.
Peccato che il movimento di rotazione dei propri piedi in una direzioni diametralmente opposta a quella consueta mi riesca davvero difficile quando si tratta di piroettare via da qualche Amicizia. Scrivo Amicizia per distinguerla da amicizia.
Quello che mi frega è che ci rimango male. Molto, semplicemente.
Molto semplicemente.
Anche di fronte a quelle amicizie che decidono volontariamente di suicidarsi gettandosi da una scogliera dopo essersi iniettate dosi letali di arsenico.
Ci rimango male, sento proprio una fitta alla pancia, una specie di ago sottile sottile che mi trapassa.
"...le scarpe pesanti".
"...le scarpe pesantissime".
Probabilmente devono avermi iniettato una sorta di chip di incagabilità sotto pelle.
La gente mi conosce, mi ama, si fanno un mucchio di cose insieme, di discorsi e io partecipo con entusiasmo inizio a spiattellare tutte le mie emozioni, i miei segreti, a preoccuparmi, ci tengo proprio. Poi il chip fa bip, si attiva e le persone scappano, così improvvisamente iniziano a inventare i motivi più assurdi e le scuse più stupide.
Che palle.
Che palle che io non senta il mio migliore amico da quando è iniziato l’anno nuovo.
Brutta la sensazione di avere iniziato un nuovo anno senza di lui.
Più brutta ancora quella di avere l’impressione di dovermi abituare alla sua assenza.
Più brutta ancora del raffreddore che mi sta venendo su.
Latte caldo, ecco quello che ci vuole.
Corretto cognac.

martedì, gennaio 17, 2006

something in the way she..News.

Da oggi l'essenziale è pure su flickr.com.
Pretese fotografiche zero, sia chiaro, si tratta come al solito di un puro divertissement.
Comunque se vi va di fare un salto e commentare qualche foto, anche con insulti pesanti, ecco l'indirizzo:

lunedì, gennaio 16, 2006

I'm standing here waiting, for you to come

...in the sky some kind of strange sky phenomenon
In questi giorni mi sento strana.
Che come definizione non è delle migliori ma non me ne vengono in mente altre, ecco tutto.
Mi sveglio la mattina e lascio che i miei piedi mi portino in giro per la città.
Scatto foto dal balcone alla riseria quando si sta facendo sera, perché a quell’ora la riseria sembra un astronave, uno shuttle pronto a partire con un grande sbuffo di riso e piccioni intorno.
Ascolto il rumore dei treni quando mi sveglio di notte, e capita spesso ultimamente.
Finisco un sogno, apro gli occhi e resto lì a osservare il soffitto, la luce delle auto che passano per la strada si riflette attraverso le tapparelle. Strisce bianche che corrono parallele sulla parete.
L'acqua sul comodino sfrigola.
La silhouette della scrivania, dei libri e dei vestiti abbandonati lì sopra.
Sì, è decisamente la mia stanza.
Ho cambiato canzoni sul lettore mp3 e mi si è scaricato dopo neanche metà giornata.
Ci ho messo su quasi tutto –Oh, you’re so silent Jens- (sogno un pianoforte appena sopra le nuvole e qualcuno di cui conosco bene la schiena che suona Sky Phenomenon), un po’ di Sufjan Stevens (che è diventato una specie di momento indispensabile della giornata, soprattutto se sono in macchina e sto guidando in mezzo a una nebbia leggerissima), un po’ di Feist (mi lascia sempre interdetta ma ci provo ogni volta), David Bowie (soprattutto Queen Bitch), quella canzone di Morgan che dice “lascio che le cose mi portino altrove, non importa dove”, ancora Lou Barlow (home!home!home!), Richard Ashcroft (che amo dai tempi delle sue spallate alla gente nel video di Bitter Sweet Symphony) e poi Robert Post (perché ho deciso che strizzare l’occhio al commerciale non è poi così riprovevole quando è frutto di un atteggiamento sincero).
Ho comprato delle riviste francesi per riprendere un po’ la lingua visto che forse faccio il DALF, forse.
Cioè forse mi metto a fare qualcosa e mi passa anche la sensazione di stranezza.
O forse rimane, perché è la solita fase di transizione che mi traghetterà dall’altra parte del fiume insieme al lupo, al cavolo e alla pecora.

domenica, gennaio 15, 2006

La città incantata


La città incantata è un posto dove gli occhi non servono, basta il cuore.
Ogni cosa spaventevole, disgustosa, insopportabile finisce per rivelare una dolcezza del tutto inaspettata.
Niente è quello che sembra: i mostri non sono mostri, le bambine paurose non sono poi così paurose, i bambini grassi e viziati sono più simpatici del previsto, gli uomini con sette braccia sono meno burberi di quanto uno potesse immaginare, gli spiriti regalano oro e cercano amicizia, le streghe diventato "nonnine"...ci si può perfino innamorare di un drago un po' ladro.
Questo mi ha colpito de La città incantata. Luogo non-luogo in cui la continua metamorfosi di personaggi ed eventi sembra appartenere a un sistema ben preciso, che ci fa grattare la nuca quando invece i personaggi della vicenda si limitano ad accettarlo, scegliendo di vivere il loro destino fino in fondo.
La città incantata è appena al di là del nostro modo occidentale di affrontare la realtà; è sufficiente imbattersi in un sentiero secondario e decidere di percorrerlo per abbandonarsi all'avventura più grande, quella di recuperare il vero significato delle cose, al di là del nome con cui siamo soliti chiamarle.

[C'è da dire che uno apprezza certi film soprattutto quando questi si rivelano essere i film "giusti" per lui in quel momento preciso. Io avevo bisogno di una storia così, piena di sogni, speranze, coraggio, animaletti strambi e sentimenti che vanno al di là della pelle e dei vestiti].

venerdì, gennaio 13, 2006

Voglio essere come Peggy Guggenheim


E va bene. In questi giorni in cui non sto facendo niente qualcosa faccio.
Leggo.
Leggo un mucchio e come si deve, senza divorare le parole, soppesandole, bevendole con calma una per una. Finito Vargas Llosa potevo portare a termine la lettura dell'autobiografia di Lou Salomé ma mi è capitato per le mani questo libro, che è un regalo di Natale, e io che avevo già letto "Ogni cosa è illuminata" (senza alla fine capirci quel granchè) ho pensato -proviamo-.
Mi piace tanto "Molto forte, incredibilmente vicino" , e se continuo di questo passo, beh, potrei quasi finire per adorarlo un pochino questo libro, per espressioni come "sentirsi le scarpe pesanti" (che poi è la traduzione italiana dell'inglese "sentirsi il cuore nelle scarpe"), per la storia di questo bambino eccentrico e malinconico, per l'incredibile leggerezza con cui questo maledetto giovane autore (perchè cavolo avrà la mia età e guarda cosa è già riuscito a fare nella vita) ha una capacità davvero straordinaria di dipingere sensazioni e sentimenti con colori ad acquerello, senza mai eccedere di un tono, senza esagerare.
Sono anche andata a sentire un concerto dell'Orchestra Rai che faceva Beethoven, avevo dei brividi alti così.
Prometto che a breve mi impegnerò in qualcosa di serio.
Tipo fare la cameriera, entrare in un call center, ingrigirmi a un corso di taglio e cucito.
Ma va'!

mercoledì, gennaio 11, 2006

il cielo sopra torino

Torino.
Il viaggio in treno, quando fuori è ancora buio, la testa appoggiata al sedile e gli occhi fissi sulle immagini degli altri passeggeri riflesse nel vetro. C'è Amanda di fronte a me che si lamenta del suo raffreddore e controlla di non avere dimenticato calcolatrice o appunti.
Oggi il suo primo esame, io in giro a sbrigare per lei alcune cose burocratiche da segreteria, ed è buffo, io nella segreteria della mia università ci sarò entrata tre volte in tre anni, forse perchè non sopportavo le code e la maleducazione delle facce scazzate dietro gli sportelli.
Camminare la mattina presto nel freddo fa un effetto strano, il cielo grigio sembra volersi inghiottire i tetti delle case. Rumore di gru, di pietre spaccate, di asfalto che cola. Uomini piccolissimi si muovono come formiche lungo lo scheletro di nuovi edifici. Un aereo tra le nuvole, un uomo zoppica verso la fermata del tram. I miei piedi si muovono dappertutto, sfilo attraverso un mercato di frutta e poi lungo un corso di cui non conosco il nome.
Forse avrei potuto vivere anche qui.
Mi sarei abituata a tutto questo.
Chissà che non succeda in futuro, ora che il futuro mi sembra essere diventata questa cosa lontanissima e rarefatta come aria in cima a una montagna che non ho nemmeno iniziato a scalare.
Ho visto Texas, non mi è piaciuto.
Ho finito Il paradiso altrove, mi è piaciuto.
Ascolto Sufjan, mi piace sempre di più.

sabato, gennaio 07, 2006



I'd swim across Lake Michigan.
I'd sell my shoes.
I'd give my body to be back again
in the rest of room.
To be alone with you.
To be alone with you.
To be alone with you.
To be alone with you.

giovedì, gennaio 05, 2006

#Home

If I do and don't resist you
I'm too in love to really miss you
In fact I'm frozen over joy


Chissà perchè ho ricominciato ad ascoltare Lou, dopo lunga, lunghissima pausa.
Dieci mesi più o meno.
Home, cielo, !home!
Come una casa quando mi sembrava di non averne più una.
Un posto altrove dove stare.
Qualcosa di cui non si può fare a meno, la sensazione di sentirsi a casa da qualche parte.
Il bisogno di un posto di pareti sonore, di porte, di finestre, di impronte sul tappeto.
Una canzone che è una valanga, un treno che viene giù di corsa dalla montagna più alta e c'è appena il tempo di sbirciare fuori dal finestrino, prima di venire travolti da tutto il resto, paesaggi, conversazioni, flussi sanguigni, sguardi, parole.
Home è un pacchetto completo il cui ascolto non accetta compromessi.
Non si può amarla davvero se non la si è vissuta fino in fondo.
Lou Barlow, cielo, !Lou Barlow!
Io adoro quest'uomo.

martedì, gennaio 03, 2006

cose di fine anno (parte II^) o di inizio anno (parte I^)


A parte che l'ascolto prolungato e continuativo di Sufjan Stevens contribuisce ad acuire la mia presente sensazione di straniamento.
A parte questo sentirmi abbassata di qualche semi-tono, deliziosamente mimetizzata non si sa bene dove.
L'anno è iniziato e io ho solennemente deciso di non decidere niente per altri sette-otto giorni.
Il che implica di:
  1. dormire tutti i giorni più o meno fino alle 10.00;
  2. leggere tutti i libri arretrati o impietosamente mollati a metà nei precedenti mesi;
  3. guardare almeno mezz'ora di telefilm a caso;
  4. svuotare i 5 Gb di mp3 e provvedere a rimpiazzarli degnamente;
  5. riscoprire la magia dei giochi da tavolo;
  6. passeggiare/meditare;
  7. limitare il numero di ore davanti al computer;
  8. mangiare almeno un cioccolatino al giorno;
  9. non incazzarsi per le facezie;
  10. incazzarsi pochissimo per le cose un po' più serie;