venerdì, dicembre 30, 2005

Cose di fine anno (parte I^)

Ieri sera prima di andare a dormire ho letto una poesia che si intitolava –Ultimo dell’anno- e diceva:

“Lato di case dall’autostrada. Un bosco alto e veloce
più vero nel retrovisore
con la musica piena, il bagliore.
Tutto si perde nella scia dei chilometri
via via che i paesi giocattolo sghembano sorpassando
con le altre immagini”

(Gian Mario Villalta)

E mi è venuto in mente che sì, quest’anno è stato come un lungo viaggio in auto senza tregua, pieno di musica, di fatica, di osservazioni incessanti, di discorsi, di partenze, di incontri, di addii.
Mi piace l’idea che il bosco diventi più vero nel riflesso di uno specchio e nel bagliore di una musica “piena”. E’ così, almeno per me.
Che certe canzoni me le sono bevute tutta d’un fiato e ho continuato ad ascoltarle perché ad ogni ascolto mi sembrava di vedere la mia verità di quel momento più da vicino.

48 ore alla fine dell’anno.
Di cose da dire, di verità da raccontare ce ne sarebbero talmente tante che ci vorrebbe un anno nuovo per elencarle tutte. Allora forse mi viene più semplice ricordare le canzoni.
Dei Lucksmiths, i cui angoli caldi mi hanno tenuto compagnia per un’estate intera, fatta di poesie semplici, di quotidiano, dell’arte di cucinare in due, di chi la sera preferisce restare a casa perché non ha voglia di uscire, della musica che è la porta a cui bussare sempre e comunque.
Ancora. Le melodie degli adorabili, buffissimi Architecture in Helsinki, la sensazione che la loro “It’s almost a trap” avesse per me qualcosa di profetico, mesi bui di tentativi falliti e poi la speranza nascosta tra le note bislacche, l’allegria mascherata, suoni intrecciati l’uno con l’altro come corone di margherite raccolte per caso in un prato, per caso.
E i due uomini che mi hanno cambiato la vita, Lou Barlow e Micah P. Hinson. Le loro voci spezzate che si presero la mia vita, la passarono al setaccio, me la restituirono con sfumature diverse. Dischi che sono soprattutto percorsi che mi suonano dentro e sanno di pianoforti e chitarre e nuvole, cime di alberi con le foglie lucide che sventolano sul cielo troppo blu di agosto, sole che filtra dalle palpebre socchiuse, abituarsi alla forma magica di una silhouette adorabile da spiare al mio fianco.
Qualche lacrima a volte, anche, sì.
I Sambassadeur, che per me avrebbero anche potuto scrivere soltanto Still Life Ahead e mi sarebbe bastata comunque come inno personale, per tutti i mesi a seguire. Settembrini, crepuscolari, svedesi. Gente che il sole lo vede poco e lo vede pallido. Un po’ come succede a noi qui in pianura. Gente che si sente parecchio vicina per affinità geografico-elettive.
E Bright Eyes, la colonna sonora ideale per qualsiasi tipo di dopo sbronza (emotiva/alcolica), i Death Cab For Cutie (la loro dolce dolce I will follow you into the dark). E Frida Hyvonen, Jens Lekman, Maths and Physics Club, Okkervil River, Lucknow Pact, Belle & Sebastian, Spinto Band, Lisa Germano, Cat Power, Laura Veirs, The Boy Least Likely To, Broken Social Scene, Gravenhurst, Clap Your Hands Say Yeah, Babyshambles, Arab Strap e tanti, tantissimi altri.
Forse ti accorgi di quanto un anno è stato lungo anche dal numero di canzoni che hai ascoltato.
Per me il 2005 è stato un anno lunghissimo di musica e Altro.

[come l'impressione che infine, Musica e Altro siano
fondamentalmente
una cosa sola]

giovedì, dicembre 22, 2005

*maybe that's my -winter song-

Forse è arrivato quel momento.
Quello del lungo post malinconico-natalizio sull'anno che finisce, sui bilanci, sulle considerazioni notturne. Non so, non ne sono sicura, ma stasera tra un pacchetto e l'altro, tra il tubetto del vinavil che mi esplode tra le mani e una lunga conversazione telefonica sui miei personali valori dell'amicizia ribaltati ancora una volta dall'anno in corso, mi è presa la voglia di scrivere qui.
Non so cosa di preciso, non ne sono sicura, ma era quello di avevo bisogno, musica in cuffia e dita che battono la tastiera e odore di colla sparsa dappertutto.
Di come alla fine questo fatto della colla esplosa abbia un che di metaforico.
Io che negli ultimi mesi sono stata un po' la colla esplosa su tanti pezzi che non stavano insieme. Ho detto cose che avrei giurato non mi sarebbero mai uscite dalla bocca nella vita intera.
Discorsi sull'accontentarsi, sul giustificare, sul ponderare il proprio livello di coinvolgimento emotivo nei rapporti umani. Io non posso essere diventata così davvero.
Io sono e sono sempre stata una persona emotiva.
Una che, se anche magari non lo dà a vedere, si emoziona per qualunque minuscolo insignificante particolare, una che se le sorridi la prima volta che la incontri è difficile che non finisca per credere che diventerai uno dei miei migliori amici.
Una che si commuove spesso e cerca di non farsi accorgere.
Una che la vita la ama fortemente e ama fortemente le persone, le loro complicanze, i loro sorrisi, la luce che c'è in ciascuna di loro.
Finisco spesso delusa, certo, ma fa parte del gioco, chi punta tutto quello che ha corre un rischio e lo sa e lo corre lo stesso e aspetta con gli occhi chiusi e le dita incrociate che la pallina danzante atterri proprio sul suo numero.
Preferisco stare male forse.
Soffrire in continuazione per le delusioni grandi e piccole che quella pallina incontrollabile mi dà, schizzando da un numero all'altro a suo piacimento, dimenticandosi di baciarmi sulla fronte e regalarmi una vittoria dopo l'altra.
Sarebbe scontato, sarebbe banale.
Non ci sarebbero grandi rapporti e piccoli rapporti, soltanto un unico piatto, superficiale legame interpersonale. E io che sono una giocatrice d'azzardo non posso certo accontentarmi di un'innocente mano di briscola. Ho bisogno del brivido, di occhi ardenti, di mani tese e pugni chiusi, di invidie, di affetti, di odio e di amore. Perchè mi fa sentire viva e non una sopravvissuta, perchè è l'unico modo che ho di essere me fino in fondo.
Quindi non lo so, non lo so davvero.
Cosa mi abbia portato fin qui, e se ci sarà qualcosa che mi porterà indietro.
Ecco, solo molta confusione forse, gli ultimi mesi passati a scrivere e riscrivere la stessa frase mille volte diverse e adesso.
Adesso è tornata la vita e non sono sicura di sapere se la mia vecchia presa sia ancora valida.
Ci sarebbe bisogno di tempo.
Ci sarebbe.

mercoledì, dicembre 21, 2005

..down in albion..


Probabilmente è stupido.
Innamorarsi di una canzone così, su due piedi, ascoltarla almeno ottanta volte al giorno, finire per identificarla con precisi momenti della propria giornata.
Camminare ovunque con quella canzone in testa, arrivare a perdersi dentro le sue note, scomparire proprio, diventare quella canzone. Soprattutto se si è consapevoli che quella canzone non diventerà un classico, perchè è nella sua natura, di restare soltanto un motivo orecchiabile della tua soundtrack personale. Perchè sai che quella canzone non cambierà il mondo. Perchè sai che chi l'ha scritta è uno dei peggiori venditori di fuffa musicale del 2005, un ragazzo drogato che si spaccia per nuova icona rock, uno spiantato in canottiera e bombetta che a vederlo sui giornali ti sta anche parecchio antipatico. Uno che prima di diventare un tossico vinceva premi di poesia e se magari avesse continuato a fare il poeta e non il tossico sarebbe diventata una persona migliore. Una persona normale, senza successo, senza copertine. Che poi magari se ne rende anche conto quando non è impegnato a fumarsi o bersi qualcosa o entrambi. Allora ti sembra quasi di sentirci una nota di malinconia leggerissima in quella canzone e magari ritieni anche possibile che la tua sensazione sia solo il frutto di una colossale presa per il culo, ma se non lo fosse, se quella malinconia di gin dentro a tazze da the e foglie secche sul pavimento fosse vera, allora sarebbe quello il vero motivo per cui questa canzone ti piace davvero tanto. Perchè ci senti un gusto che non è troppo estraneo, una tristezza leggera da anno che finisce, la stessa sensazione che si prova ad una festa quando all'improvviso guardi tutti intorno e ti sembrano sul punto di essere spazzati via da un'ondata di tristezza gigantesca e finisci per commuoverti per qualunque cosa, per i mozziconi dentro alle lattine di birra, per qualcuno che sta dormendo sul divano, per i piatti di plastica abbandonati dappertutto, per lo sforzo immane di ciascuno dei presenti di mostrare la versione più gradevole di sè.
Allora forse Albion è la canzone migliore da ascoltare alla fine di qualcosa, di una festa come di un periodo della vita, senza bisogno di alzare il volume, lasciarla in sottofondo, come una nota a piè di pagina, come una parentesi invisibile che racchiude le cose e le racconta.

lunedì, dicembre 19, 2005

Weekends away

Weekends away.
Le definirei così tutte quelle coppie di sabato+domenica che mi sono lasciata alle spalle quest'anno.
Una voglia terribile di dare libero sfogo all'impellente desiderio di un lunghissimo post malinconico sull'anno che se ne va. Ma non è il momento stasera, ho qualche linea di febbre e finalmente un po' di tempo a disposizione per scrivere due righe sugli ultimi folli giorni.
Laurea, festa di laurea, io vestita da babbo natale che trucco bambini nel centro città.
-Cosa non si farebbe per cento euro- lo dice Diana, che stasera dovevo chiamare, ma perdonami ho la voce da puffo brontolone e una sensazione di galleggiamento corporeo che mi impedisce di intrattenere anche una normale conversazione. Ascolto indie-compilation natalizie scaricate in rete, bevo spremuta di mandarini. Se poi dovessi davvero mettermi a raccontarlo quel milione di cose ci vorrebbero ore, giorni E ancora una volta non mi sento di fare altro che ringraziare.
Tutte le splendide persone che alla mia festa hanno dato il meglio del loro affetto innaffiandosi e innaffiandomi senza pietà di cuba libre hand-made e birra a fiumi.
Grazie a Diana, che offrendomi in sacrificio la sua tavernetta ha dimostrato un eccezionale e sconfinato affetto nei confronti della sottoscritta, ospitandola inoltre a riposare nella sua magione per le successive quattro ore post festa in attesa che andassi al lavoro. Meravigliosa creatura.
Grazie a Simone, al quale avevo fatto promettere di non farmi ubriacare e il quale non ha mantenuto la promessa provvedendo però ad adagiarmi su un divano e coprire con il suo caldo cappotto le mie quattro ossa collassate e sonnolente. L'uomo dei miei sogni.
Grazie a Claudio, perchè col passare degli anni è diventato una specie di insostituibile cornice delle mie giornate, che senza la sua ironia pungente e la sua impressionante somiglianza con orlando bloom mi sembrano sempre un po' vuote, un po' manchevoli. L'amico migliore.
Grazie ad Amanda, che non ha detto niente nemmeno quando dopo avere cantato a squarciagola "Sarà perchè ti amo" e avere letto una serie di irripetibili volgarità dagli amici trascritte le ho confessato di non essere molto in me. Sorella che ne ha viste tante.
E poi ci sarebbero gli altri trenta grazie da elargire ai partecipanti, ognuno per un motivo diverso.
Ma forse è meglio che vada a dormire presto e mi riposi un po', il weekend vestita da babbo natale mi ha provato parecchio.

mercoledì, dicembre 14, 2005


Avrei da scrivere più o meno un milione di cose...ma per il momento ne scrivo una soltanto. Grazie. A quelli che c'erano fisicamente, a quelli che c'erano con il pensiero, a quelli che hanno acceso ceri in chiesa per me, a chi ha pregato, a chi si è sorbito tutte le mie lamentele dal vivo o via web, a quelli che hanno ascoltato, a quelli che hanno letto, a quelli che hanno telefonato, a quelli dei fiori, a quelli dei paraorecchie a forma di renna, a quelli delle foto, a quelli delle parole strappalacrime, a quelli che se non ci fossero stati non ci sarei stata nemmeno io lì in piedi.
Grazie

lunedì, dicembre 12, 2005

Due giorni e la qui presente sarà una semi-dottoressa in filosofia.
Suona buffo, come il cappello arancione con i fiori che ho comprato alla fiera dell'artigianato a milano, come mia sorella in treno che mi manda messaggi sul cellulare che mi fanno crepare dalle risate. Poi ci sono i finestrini e fuori è tutto buio, e ci vedi riflesse le persone dall'altro lato, qualcuno dorme, quasi tutti a dire la verità, il signore di fianco a me deve essere medico e legge un libro su strani macchinari per operazioni chirurgiche.
Io sottolineo un po' la tesi e un po' mi perdo a cercare la luna che sta in alto, sotto la scritta
-vietato gettare oggetti fuori dal finestrino- chissà chi l'ha buttata la luna là sopra.
Piove di nuovo e nevica anche, il tempo sembra indeciso sul da farsi. Io ho come una calma improvvisa e inquietante che mi scorre nelle vene, anche quando ripeto a sfinimento concetti vari e sottolineo e penso che proprio tutto non lo saprò mai.
E penso anche che tra due giorni, laurea a parte, tutte le persone a cui voglio bene saranno lì con me e saranno lì per me. Ci saranno i loro occhi brillanti e le loro emozioni.
Questo pensiero mi commuove e forse riempie quella sensazione di solitudine che ogni tanto mi scava tunnel profondi nel cuore e nell'anima. Mi dispiace solo di non sentire arrivare il Natale, di avere perso quell'incanto dell'attesa, della neve, del freddo, della cura per le persone.
L'impressione di non avere mai avuto abbastanza tempo quest'anno.
Come fosse stato un anno monco, scontato di un quantitativo di ore sufficiente a lasciare che le cose si arrotolassero a valanga.
Ascolto quel drogato di Pete Doherty, mi piace Albion dei Babyshambles, ho l'impressione che diventerà un po' l'inno di quest'ultimo periodo.
E poi niente, ripasso, domani vado dal parrucchiere, faccio la spesa per la festa di venerdì, mi addormenti sul divano dopo pranzo.

venerdì, dicembre 09, 2005

And it’s been a long december and there’s reason to believe
Maybe this year will be better than the last
I can’t remember all the times I tried to tell my myself
To hold on to these moments as they pass
And it’s one more day up in the canyon
And it’s one more night in hollywood
It’s been so long since I’ve seen the ocean...
...i guess I should

E' dicembre e all'improvviso ti ricordi che qualche anno fa ascoltavi questa canzone e oggi ti senti esattamente come allora, se non con qualche anno in più sulle spalle.
Coincidenze,no?

lunedì, dicembre 05, 2005

C'è la tesi stampata, finita, le tre copie una sopra l'altra sulla scrivania.
Ci sono i libri di Derrida, una cartellina di plastica rossa trasparente, un'altra piena di fotocopie e appunti. C'è la luce spenta.
Ci sei tu seduta lì davanti alla scrivania, in pigiama, a guardare nel buio quelle cose.
Dormono tutti, sono le tre del mattino. Ti laurei tra una settimana.
E non puoi dormire perchè hai bisogno di silenzio.
Perchè se chiudi gli occhi senti il rumore assordante di posate e piatti e bicchieri da riempire d'acqua e da bere mentre ceni con la testa bassa.
Ed è un rumore che conosci bene e che ti fa paura, ha il profumo di cose che non si riescono a perdonare.
Pensi che se nel mondo tutti di colpo smettessero di parlare il silenzio sarebbe talmente insopportabile che la gente finirebbe per portarsi le mani alle orecchie all'istante.
Una settimana alla tesi, tre anni di università passati in un soffio davvero.
In quelle quaranta pagine una parte di te, nascosta da parole difficili, pensieri complessi, citazioni. Ciò che non si dice è importante quanto ciò che si dice.
Mentre sei seduta nel buio e hai un po' di freddo senti che vicino a te passa qualcosa e ti sfiora, come un fantasma.
E' tardi, dormono tutti ma il bene delle persone importanti è ancora sveglio per fortuna.
Fuori per strada c'è la neve ammassata ai lati del marciapiede.
Un gatto sotto un lampione si lecca una zampa e le luci della stazione brillano gialle nella nebbia.
Torni a letto e ti addormenti. Il rumore di posate non si sente quasi più.


(se solo potessi ascoltare quello che non dico, mamma)

sabato, dicembre 03, 2005


Poi giuro che mi metto sul serio a concludere la tesi.
Però stanotte ha nevicato e dovevo celebrare l'evento in qualche modo.
W la neve, yu-hu!

mercoledì, novembre 30, 2005

Sentire il bisogno di certezze calde, da avere sempre a portata di mano.
L’inverno è anche questo, oltre al freddo, oltre alle luci per le strade, oltre alle giornate che iniziano quando stai ancora dormendo.
Stavolta lo posso dire con certezza che mi laureo tra poco, due settimane appena al giorno in cui il mio folle amore per la filosofia si prenderà una pausa per interrogarsi sulla sua ragion d’essere ma soprattutto sulla sua ragione di andare avanti. Ci siamo, ci sono. Mi avvicino al punto a capo con sentimenti altalenanti che vanno dall’euforia di chi ha davvero bisogno di una pausa alla consapevolezza che un altro ciclo sta per concludersi.
Ci sono certi momenti della giornata in cui vorrei avere davanti tutte le persone a cui voglio bene e abbracciarle, ognuna per un motivo diverso. L’inverno è anche questo, oltre ai vetri appannati la mattina presto, i fiati disegnati dei passanti, le labbra screpolate.
Non mi era mai successo di avvicinarmi alla fine di qualcosa e puntare i piedi per non scivolare in quella direzione.
Come se avessi bisogno ancora un po’ di tempo a disposizione per essere sicura di riuscire a tenere a mente tutte le cose importanti.
Come se non fossi sicura che ancora una volta ricorderò tutto nei dettagli perché la mia testa funziona così, a immagini, a fotografie, a sensazione collezionate con una precisione e una vividezza incredibile.
Come se la vita fosse un quadro cui mi avvicino giorno dopo giorno, passo dopo passo, scoprendo dettagli, sfumature, significati insospettati, nell’assurdo tentativo di comprendere.

sabato, novembre 26, 2005

Ho fatto cose, ho visto gente

  • Ho scritto il mio primo curriculum ed è stata un’esperienza orribile. Non si possono riassumere 22 anni della propria vita in una paginetta e mezza di Word; io a cinque anni ho rotto la televisione e per punizione ho trascorso un pomeriggio intero a piangere seduta sulla mia mini-poltrona di pelo rosso. Quel giorno mi sono scontrata con la realtà delle cose che hanno un prezzo e che se non le hai comprate tu e poi le rompi vai incontro a terribili conseguenze. Ma non ho potuto scriverlo ovviamente.

  • Ho visto l’ultimo episodio di Harry Potter e mi sono francamente rotta le palle dall’inizio alla fine; non c'erano animali carini, non c'era magia e suspence ma solo tempeste ormonali, balli della scuola ed erbe magiche. Harry nudo nella vasca da bagno viene insidiato dal fantasma-cozza di Mirtilla che cerca a tutti i costi di sbirciare proprio là, Ralph Fiennes sembra un gamberetto surgelato dimenticato nel freezer per quindici anni (davvero orribile), Agrid ci prova con una stallona alta un metro e novanta, Ermione si lascia sedurre dal Costantino di turno, Ron vorrebbe dare sfogo alla sua virilità ma non riesce a mettere a segno nessun colpo...ma non doveva essere un film per bambini? Da quando Gianni Sperti ha vinto la Talpa il mondo non è più lo stesso, nemmeno quello delle fiabe.

  • Continuo a litigare con Word, con indici e sommari, Word è veramente un programma fetido e infingardo, con le sue inspiegabili formattazioni; io la tesina la consegno stampata su un rotolo di telex come On the road di Jack Kerouac; e magari mi presento alla laurea vestita da Jack Kerouac con la camicia da boscaiolo, il crocefisso al collo e una fiaschetta di whisky nella tasca della giacca.

  • Ci vado o no a Genova? Non so se mandare il curriculum anche se a Genova ci sono 1) il mare 2) la focaccia ligure, validi motivi che potrebbero motivare un mio repentino trasferimento.
    Ho quasi rinunciato a orientarmi nell’infinita galassia dei master, non capisco quali siano le differenze tra quelli universitari e non, non capisco quale sia il trucco per scoprire se c'è la sorpresa o meno. Ho sempre il terrore che finiscano per vendermi pentole, enciclopedie o portarmi in gita ad Arenzano.

  • Siamo quasi a dicembre e la moleskine cè agli sgocciolo; quest’anno mi sembra più vuota del solito, un po’ anonima, un po’ troppo professionale, un po’ fredda. E forse riflette il mio sentirmi, il mio essere frà in versione fine 2005. On verra.

lunedì, novembre 21, 2005

[Hope]

… il pensiero del dono può diventare non solo questione filosofica e ontologica ma anche critica radicale all’attuale modello predominante di utopia neo-liberale.
Oh sì.
Oh-davvero-sì.
Se fosse la volta buona dico, se fosse la volta per chiudere questo schermo del computer che mi sta acceso davanti alla faccia da due mesi a questa parte risucchiando buona parte delle mie energie e del mio buonumore.
Se fosse la volta buona per poter uscire il pomeriggio e fare finalmente un miliardo di fotografie al ritrovato mondo esterno.
Se fosse la volta buona per alzarsi la mattina e non avere nient’altro da fare che annusare nell’aria l’odore del caffè.
Se fosse la volta buona per recuperare angoli della bocca sollevati e occhi brillanti e pensieri felici e cura per le persone che amo.
Se fosse la volta buona per tornare ad ascoltare musica tutto il santo giorno e dare fondo a tutti i miei risparmi in libri.
Se fosse la volta buona per tornare a dormire come si deve e tornare e sognare cose belle.
Se fosse la volta buona per chiudere questa porta e aprirne un’altra e tuffarmici dentro dalla testa ai piedi.

[I hope]

mercoledì, novembre 16, 2005

PiPpApOsT

In questo periodo sono talmente stanca che spesso la sera ho l’impressione che il mondo si ripieghi su di me come una scatola.
Una scatola che ha un profumo tutto uguale, di cartone, di legno e allora mi domando dove siano finite le sfumature, i colori, i profumi.
[là fuori]
Il problema è che io sono qui dentro, seduta sul fondo e non faccio niente per uscire.
Ho scritto delle cose, pensieri di poche righe, sul crescere, su cosa significhi per me, sui vestiti che si ammucchiano sopra la sedia della mia stanza, su una certa mancanza di abbracci che c'erano.
Se mi sono davvero liberata da tutti i miei sensi di colpa.
Se riscoprirmi più fragile di quanto potessi immaginare sia un bene o un male.
.stanca.
Di studiare, di tenere acceso il cervello su pensieri difficili, di osservare provette di filosofia per ore e ore fino a perdermici dentro, di mettermi in provetta, di scrivere, di parlare anche.
Penso che fuori è davvero tutto molto difficile e complicato, e che mi capita di non avere la più pallida idea di come comportarmi, di come affrontare, superare e proseguire.
Non mi piace sentirmi così vulnerabile, non ci sono abituata.
Preferisco chiudermi in una scatola e aspettare che ritorni il vento e mi sollevi ancora.

lunedì, novembre 14, 2005

Any where out of the world

"Il me semble que je serai toujours bien là où je ne suis pas,
et cette question de déménagement
en est une que je discute sans cesse
avec mon ame"
Stanotte ho sognato che pareggiavo i conti.
C’è una persona con cui da tre anni a questa parte non mi è mai riuscito di litigare come si deve. Non intendo quel genere di litigi in cui ti strappi i capelli e urli atroci cose che vorresti rimangiarti esattamente nel momento in cui le senti rimbombare intorno a te.
Piuttosto mi riferisco a una sana discussione, discutere di cose che vengono chiamate con il loro nome e non con una serie di sinonimi che possano renderle più affabili e gradevoli.
E io con lei non ho mai discusso davvero.
I motivi sono i soliti, io che quando voglio bene a qualcuno mi frego da sola, nel senso che vorrei non avere bisogno di spiegare cosa mi fa stare male e cosa non va, vorrei che si capisse senza bisogno di parole, di sottolineature, di accenti.
Andare da qualcuno a dire -Ehi il fatto che tu non mi sia vicino in questo momento mi fa soffrire- è senza senso secondo me. Perchè se la persona in questione non se ne è accorta (e io non ho fatto nulla per nasconderlo) allora vuol dire che non siamo lì dove pensavo che fossimo.
Stanotte ho sognato che pareggiavo i conti, la incontravo in un bar e le dicevo semplicemente tutto quello che mi ribolliva dentro. Poi la salutavo, pagavo il mio caffè, uscivo per strada a camminare e mi sentivo meglio. E anche se ero consapevole di stare sognando, ero sollevata perchè mi ero sentita fare un certo discorso, me lo ero raccontato da sola e ne avevo bisogno.
Non so come andrà a finire questa faccenda. Forse recuperata l' energia necessaria mi armerò di ago e filo e rammenderò i buchi, cucirò gli orli in modo che tengano bene, che reggano un altro po'. Solo ho paura nel frattempo di non riuscire a dissimulare le mie nuvolaglie mentali.
Mi sento come un vaso che guarda fisso
una gocciolina che penzola dal soffitto
e che forse cadrà e lo farà travasare.
Clic.

giovedì, novembre 10, 2005


Un bel po'che non scrivo nulla.
Due i motivi principali: sto donando la maggior parte del mio tempo alla mia tesi che riguarda un libro che tratta del dono e del tempo. Poi: l'ennesimo cambio di compagnia telefonica, che comporta l'ennesimo disagio di connessione inesistente o lentissima nel migliore dei casi.
Così mi ritrovo costretta a scrivere e a postare quando le congiunzioni astrali mi sono favorevoli.
Oggi è il dieci novembre e fuori fa un freddo boia.
Qua a Seattle è arrivata la nebbia, caduta all'improvviso sulla pianura come una coperta spessa e impenetrabile, succede che se vai fuori città ti sembra di guidare dentro un'enorme bolla di vapore. Succede anche che rischi di fare degli incidenti se non fai attenzione.
Ma intanto io mi muovo ben poco, abbarbicata alla mia postazione tesi, con una gamba su e una giù dalla sedia, con il tavolo cosparso di fogli e libri e fotocopie e correzione e altri libri e una mezza minerale che è lì da quando ho incominciato la tesi, ovvero marzo 2005.
Faccio schifo.
Fisicamente dico. Ho sviluppato un festival di malattie psicosomatiche, giro per casa avvolta in maglioni di lana di quattro taglie in più e pantaloni della tuta macchiati di dentifricio; ho recuperato anche un'infinita serie di orribili cerchietti delle elementari che hanno la funzione di domare la mia sempre più ribelle chioma leonina.
Ieri mattina mi sono svegliata canticchiando Altrove di Morgan, [ho deciso di perdermi nel mondo...anche se sprofondo...lascio che le cose mi portino altrove...non importa dove] e ho capito che il mio inconscio stava disperatamente cercando di lanciarmi un messaggio di aiuto.
Altrimenti come si spiegherebbe il successivo ascolto di Someday soon dei Wilco (quello che vorrei rispondere a chi mi chiede quando finirò la tesi) o di It's not going to stop di Aimee Mann (quello che rispondo di solito) o ancora di I'm on standby dei Grandaddy (dichiarazione di intenti che più chiara di così non si può)?
Ci sono dentro fino al collo, ma Even after all cerco di surfare la stanchezza meglio che posso; e allora giù di Spinto Band a far ballare sulle note di Did I tell You il mio nuovo peluche Donato, gentilmente regalatomi come supporto e come supporter per la tesi. L'unico problema è che non riesco a capire se è una pecora o un coniglio.
Per il resto lo trovo decisamente carino e dispensatore di felicità.

lunedì, ottobre 31, 2005


Dai fiato Miles.
C'è la nebbia fuori, oltre le porte della città, in quella zona dai contorni indefiniti che è la campagna, in quello spazio buio senza abitanti, senza padroni.
Diventa sera.
Ed è magico come diventi sera ogni volta e come, chiudendo gli occhi mentre ascolti miles davis, di colpo ti ritrovi in mezzo a una viale alberato d'autunno, tra un balletto di foglie e una folata di vento.
Cammini, prendi a calci un giornale, tiri su il bavero della giacca e pensi che l'inverno è quasi arrivato.
Ci pensi con calma, lo chiedi a Miles e lui soffia divinamente la sua poesia di musica nell'aria, forma una piccola nuvola di vapore che scompare nel freddo.
Proseguite lungo la strada vicini, sbirciando dalle finestre persone che si mettono a tavola, bambini, una ragazza in pigiama davanti alla tivù.
Il mondo è meraviglioso nella sua povertà, nella sua manchevolezza, nei suoi contrasti che stridono come i freni di un tram che cigola verso il centro.
Ci sono colonne sonore universali.
Canzoni che non sentiamo se non prestando loro la dovuta attenzione.
Destinate a ripetersi per sempre, un loop infinito che accompagna l'universo nelle sue infinite rivoluzioni.
Ogni tanto un grande musicista si sveglia di colpo, nel cuore della notte, e il suo grande orecchio riesce a percepire una di quelle canzoni.
Allora la scrive, ci lavora, la ascolta ancora, la perfeziona e poi la suona.
E lascia tutti a bocca aperta.
Perchè si accorgono che è sempre stata lì, sepolta da qualche parte nella loro testa, a suonare le sue note silenziose.
Vorrebbero poter dire che non è mai entrata nella loro mente prima di allora, ma sanno che non è così.

domenica, ottobre 30, 2005

Tonio Cartonio è morto di overdose (?)

Mi è presa la voglia di solitudine stasera.
A un certo punto, così, su due piedi e non so nemmeno bene perché.
Ed era una bella serata, di quelle in cui si ride molto, in cui le cose tornano tutte al loro posto, due persone che non si parlavano da tanto tempo sono lì che camminano vicine e mi fanno sentire il cuore caldo ed è un piacere.
E’ tornata anche laLaura, con le foto delle sue vacanze fuori stagione e il suo carnet di pazzia, as usual. Già friggiamo per mettere in atto la movie-marathon “Il Padrino”. Poi.
Ho comprato regali di compleanno ad amanda attingendo soldi dal conto che piange sempre di più. Ho comprato anche l’almanacco Guanda, dall’illuminante titolo “La musica che abbiamo attraversato” (Ma era un libro di Lalla Romano no? La penombra che abbiamo attraversato o giù di lì…).
Mi piace, ha il gusto di un libro che va bene per me, ora.
Quindi tutto a posto.
Niente che mi preoccupi particolarmente, non il pranzo di famiglia domani mattina, non la tesi che ogni tanto si impianta davanti a un professore che dice sì e no, mercoledì scopro se a dicembre la mia università finisce davvero o devo restarci intrappolata un altro po’.
Ma non ha grossa importanza al momento, davvero.
Ci sono altri pensieri, pensieri sulla vita in generale, sulle persone che si guadagnano un pezzo di te e rimangono sempre lì al loro posto in qualche modo.
A volte capita che io mi guardi con tenerezza.
Forse è successo anche stasera.
Perché il mio desiderio di solitudine era quello di chi, ad un certo punto della festa, prende il suo bicchiere e si allontana un po’, giusto per vedere la festa da lontano.
Vedere che effetto fa.
La serata la concludo così.
On the bus mall in cuffia, l’almanacco Guanda sul comodino, la luce che prima sfrigola e poi fa clic e diventa tutto buio.

venerdì, ottobre 28, 2005

Consigli per gli ascolti

Nel caso non sapeste che ascoltare ,o per supplire al panico da monotonia mp3, alcuni suggerimenti, buoni o meno giudicatelo voi.

Ho trovato una canzone che mi piace, solletica le corde giuste e ha un bel ritmo.
Si intitola “A few drinks, a few laughs” -Lucknow Pact-. [Sto iniziando a pensare che mi piacciano tutti i gruppi che iniziano con la parola “luck” (vedi Lucksmiths)]
Altre cose che suonano carine:
Oh Mandy” -Spinto Band-, note come foglie colorate spazzate dal vento in un cielo sempre più freddo. Da dedicare alla sorella (amanda) che fa anni diciannove anni la domenica che viene e ancora non le ho trovato un regalo decente.
It’s alright baby” –Komeda-. Ecco, io proprio li adoro, trovo che siano completamente fuori di testa, mi ricordano un po’ Beck, un po’ i Cornershop dei bei tempi. Provare per credere. (ascoltatevi anche Bonjour tristesse)
Do you want to” -Franz Ferdinand-. Più il tempo passa e più diventa innegabile che mi stia prendendo una discreta cotta per Alexander Kapranos.E poi il video di questa canzone è semplicemente superlativo per la presenza numerosa di magliette a righe,l’atmosfera da factory e una buona dose di auto-ironia.
Ed infine questa canzonetta leggera leggera riesumata ieri per via delle attitudini flirtarecce dell’amica Patty “L’amore pensato” -Max Gazzè-, che una volta lo apprezzavo e adesso boh.

Direi che è tutto e torno alla tesi.
A risentirci.

giovedì, ottobre 27, 2005

Amarcord -La crisi-

Ok, io alle superiori ho anche ascoltato i Bluvertigo.
Morgan, Andy, quella gente lì, truccata, underground, che stava sulle balle quasi a tutti.
Inutile nascondere l’evidenza.
Perché c’era questa canzone che era diventata una sorta di manifesto personale della mia adolescenza intellettuale e rigorosamente contro (a che cosa non mi è chiaro tutt’ora)
[N.d.R. Un secondo manifesto. Perché la prima canzone era Creep dei Radiohead e ha continuato ad esserlo per molto tempo ancora].
Si intitolava “La Crisi” e si adattava a tutto, al periodo post-Depeche-Mode–Ultra-, alle notti un po’ alcoliche (…e una crisi c’è sempre ogni volta che qualcosa non va), alla solitudine (…una crisi è nell’aria ogni volta che mi sento solo), al senso di emarginazione (…quindi rimarrò altrettanto distante), alle taglie (…so che rimarrò un po’ assente da scuola), alla trasgressione (…quando inizia una crisi è un po’ tutto concesso, quasi come a carnevale), agli amori così (cosa penso di me cosa voglio da te), alle domande esistenziali (dove sono cosa sono e perché)
Io a sedici anni ero così, vittima delle malinconie peggiori e delle più banali sensazioni di inadeguatezza al mondo circostante, e le parole di questa canzone me le sentivo bruciare dentro lo stomaco, come l’intro di chitarra che profumava di lampioni sfuocati dai postumi di una sbronza e di sedili di auto nuove di amici neopatentati.
La ascoltavo tornando a casa, prima che i miei si attaccassero al telefono per avere mie notizie.
La ascoltavo con la mia amica dell’epoca M., a cui ultimamente penso spesso.
Sta a Torino adesso, ma alle superiori si passava davvero molto tempo insieme, a leggere poesie della beat-generation, a criticare ogni essere vivente presente nelle nostre vite, in uno scantinato che puzzava di vecchio, con le candele infilate nelle lattine di birra, dove tiravamo su le sigarette col tabacco per sentirci più grandi.
Poi siamo cresciute.
Abbiamo litigato.
Ci siamo riviste una volta per caso, abbiamo scambiato due parole.
Poi non ci siamo viste più.

(Io spero stia bene M., alla fine mi ci ero affezionata, pur avendole detto delle gran brutte cose).
Dire che quel periodo non mi manca per niente sarebbe una bugia.
Quel periodo che era una crisi con la C maiuscola, un continuo piangere e incazzarsi con una violenza incredibile, un vivere sotto l’effetto di “un eccesso di lucidità” , camminando sempre
"a mezzo metro da terra”.
SognareSempreQualcos’altro.

mercoledì, ottobre 26, 2005


Scusate, so che questo blog si è sempre distinto per una finezza nobiliare e un grande savoir faire, ma dopo una giornata come oggi la di sopra vignetta era ciò che meglio mi rappresentava...

b-post numero 1

categoria b-post / titolo "so cos'hai fatto l'estate scorsa"/origine -estate 2005-


L’estate scorsa ero a Bibione con coloro che costituivano la mia compagnia di amici.
Costituiscono, costituivano?
A volte ti rendi conto che un rapporto di amicizia non funziona proprio benissimo quando non sai che modo verbale utilizzare.
Indicativo, certezza che i tuoi amici siano tali e ti vogliano bene.
Imperfetto, dubbi e perplessità sull’affetto che i tuoi amici manifestano e hanno manifestato nei tuoi confronti.
Comunque quello di cui volevo parlare era un aneddoto così.
C’era questo pomeriggio di caldo terribile, una roba da respirare appena, tutti al mare a mollo nell’acqua capelli compresi, io e laura (arbore) mezze morte dentro la nostra tenda canadese la cui temperatura si aggirava intorno ai 60°.
Due nastrine del mulino bianco nel loro bravo fornetto insomma.
Non so cosa ci abbia fatto riprendere conoscenza in tempo per capire che dovevamo assolutamente uscire di lì per non scioglierci sui materassini e fare un macello da scena del crimine.
Laura si era addormentata sopra la chitarra suonando Sapore di Mare, io ero collassata in mezzo a una montagna di scarpe puzzolenti cantandola.
Ma si stava dicendo che.
Di colpo mi sveglio con la testa dentro uno dei miei sandali di pelle (che è come svegliarsi dentro una discarica abusiva di rifiuti tossici alle due del pomeriggio con il sole che ci batte sopra) e scuoto repentinamente laura.
Usciamo e raccogliendo le ultime forze disponibili per trascinarci in direzione di un paio sedioline all’ombra.
Gli unici quaranta centimetri d’ombra in quel momento (e dire che il campeggio era in una pineta).
Si inizia a chiacchierare, a ridere, a osservare le formiche che vanno su e giù lungo le strisce lignee dei bungalow, a rovesciarsi addosso tutta l’acqua a portata di mano.
Le ore passano una dopo l’altra e noi si resta lì, incredibilmente pigre, mentre il sole va giù e si alza anche un discreto venticello e l’ombra di quaranta centimetri è diventata ormai di un paio di metri.
Per quattro ore e mezza.
Per quattro ore e mezza siamo state semplicemente sedute sulle nostre terribilmente scomode sedioline da campeggio, spettatrici felici di un pomeriggio estivo che destinato a intrappolarsi per sempre nei miei ricordi.

martedì, ottobre 25, 2005

dichiarazione di intenti

Manifesto del b-post

Il b-post è come una b-side,
è una traccia secondaria non si capisce rispetto a cosa,
è un file doc salvato su word e mai pubblicato,
è l’ultimo bambino della fila rimasto indietro per raccogliere delle foglie secche,
è una fotografia scivolata via dall’album che lascia un posto vuoto molto significativo,
è una pagina strappata dal diario segreto delle elementari e andata persa intenzionalmente o per caso.
Il b-post suona diverso.
Non ha lo stesso sound degli altri post, spesso è politicamente scorretto, terribilmente autobiografico, profondamente banale, frutto di riflessioni irrazionali, di una sbronza colossale, di un’insopportabile malinconia;
ma nonostante questo, suona come vero, perchè scritto senza pensare troppo al suono che avrebbe dovuto avere.

[Succederà che a partire da oggi, qui sul blog, spunti qualcuno dei miei b-post.
Scovati ieri, tra una correzione della tesi e una nota a piè di pagina.
E’ che non me la sento di lasciarli lì, mi fanno tanto scheletri dentro l’armadio.
Potete leggerli o potete andare oltre ma siete in ogni caso caldamente invitati
a liberare tutti i vosti b-post]

..ecco le scarpe henry.


Per tutti coloro che si stessero chiedendo
1) se mi sento bene
2)chi è henry
3) se è un feticista delle scarpe o meno
4) rimando al post precedente
5) anch'esso a punti

venerdì, ottobre 21, 2005

Still Life Ahead

///Post a punti, post appunti, posta punti///

1) se mi chiedessero al momento qual è la cosa che desidero di più per il mio futuro, credo risponderei subito, senza doverci pensare nemmeno un istante.

2) la vita mi stupisce. Sempre. Anche quando credo di avere capito come vanno certe cose, quando penso di avere indovinato le risposte, è sempre l’Altro a succedere. Ed è parecchio bello, non c’è che dire.
3) qualcuno faccia dell foto alle foglie degli alberi che io non posso, ho la tesi da finire. Mi alzo la mattina e cammino scalza nella luce grigia della casa e poi li vedo dalle finestre e mi ricordo di quanto mi piace l'autunno.
4) io e lo schermo del computer continuamo la nostra storia di amore/odio capitolo dopo capitolo, nota dopo nota. Ah, quando c'erano soltanto penne di piccione e calamai di inchiostro!
5) Still Life Ahead dei Sambassadeur. Procuratevela. E basta.
6) Cortazar è la decostruzione.
7) Magritte è la decostruzione.
8) la musica è decostruzione continua dell'ordine dei nostri pensieri.
9) ho comprato un paio di scarpe. scarpe nuove! mia madre ha detto che erano le stesse che metteva mio nonno. Il tempo passa e io resto costantemente e amabilmente demodé
10) è venerdì e io sono a casa con i miei pantaloni della tuta che una volta mi servivano per fare sport e oggi sono la mia divisa da disimpegno. domani inizia il weekend e magari me ne vado in vacanza da derrida per quelle 48 ore necessarie a recuperare una dignità di persona.

(voi passatevela bene)

mercoledì, ottobre 19, 2005

*Other side of the world

Fuori è freddo e molto buio, sembra ancora praticamente notte.
Le cinque di mattina sono un'ora sempre così nuova per me, che vado a dormire presto e mi sveglio per le otto, le nove.
Esco sul balcone e conto le finestre accese nella via, la strada è umida e brillante, stanotte deve aver piovuto. E' come vedere l'altro lato del mondo, l'altra faccia della medaglia, quella che sono davvero in pochi ad avere il privilegio di sbirciare ogni tanto.
Metto su l'acqua per il the e preparo la colazione ad amanda che strabuzza gli occhi a vedermi sveglia.
-Ma cosa fai già alzata?- il tono di voce è quello di chi ad alzarsi è costretto dal treno delle sette e da una naturale predisposizione a trascorrere in bagno tre quarti d'ora pieni per imbellettarsi a dovere.
-Niente, non avevo più sonno- e basta.
Che poi devo ammetterlo mi piace questa sensazione di avere preso il tempo in contropiede, di avere guadagnato un paio d'ore tutte per me, da trascorrere scrivendo o leggendo o ascoltando la voce delle preferite di sempre, Cat, Ani, Lisa, Nico, ...e tra queste, anche una donna di ultima generazione, forse commerciale, forse un po' mtv, probabilmente sopravvalutata, la cui vocina mi però entrata in testa con estrema facilità e dolcezza. (e con un briciolo di acume ci si arriva facilmente watson del web)
B.u.o.n.a. G.i.o.r.n.a.t.a

lunedì, ottobre 17, 2005

Dead or alive (la prima che hai detto)


Oggi uscendo dalla biblioteca avevo malditesta in tutti questi punti.
Forse perchè mi sono accorta di avere saltato a piè pari un capitolo del libro di settanta pagine e mi sembrava di essere già davvero molto avanti.
Forse perchè studiare Derrida è come prendersi a cartoni con John Cena dopo essere rimasti a letto con l'influenza per quindici giorni.
Enelis mi guarda e dice che ho la faccia completamente stranita, se c'è qualcosa che non va.
So' stanca morta, porcavacca, ecco cosa non va. Niente turbe esistenziali, nessun tipo di depressione, l'unico problema è che ho le gambe molli come un budino nestlè.
Il peggio di non avere tempo di prendersi una pausa è non avere tempo di prendersela proprio nel momento in cui potrebbe farti rifiorire come un croco in mezzo alla neve.
Non mi si vengano a raccontare porcherie tipo fatti un bagno caldo, bevi un bicchiere di vino, prenditi una giornata libera.
Devo consegnare qualcosa entro il sette novembre.
Per il momento sono a quota due blocknotes pieni di graffiti di ogni tipo, circa un centinaio di articoli carpiti dal web ancora da consultare e zero righe scritte in maniera decente, ordinata e presentabile.
Ce la farò.
Lo so più che bene.
Sono sempre stata donna che ama le sfide impossibili, le vette irraggiungibili, le faticacce tremende.
Il problema è che, a continuare di questo passo, arriverò alla laurea con un colorito degno di Intervista col Vampiro, gli occhi da "mi sono appena presa a botte con John Cena e lui ha avuto la meglio" e la capacità verbale di Daniele Interrante (oggi vorrebbi parlare di una roba che leggei neli ultimmi messi)
God save me.

venerdì, ottobre 14, 2005

*The greatest


ça suffit.
Fine della prima settimana di culo-tesi.
Passatemi questo "culo" vi prego, ho cercato disperatamente altri sinonimi per un costante e prostrante studio continuato di derridiane elucubrazioni e culo mi è sembrata indubbiamente la parola più adatta.
Venerdì sera, umore buono, prossime ore trascorse davanti a un film ancora da decidersi, con la tuta brutta e cattiva ma comoda da morire, un litro e mezzo di coca-cola in compagnia di Laurì (che non vedi da una vita o forse due) e Dianiz (che non vedi da un paio d'ore esattamente da quando le hai scroccato l'ennesimo caffè e hai tirato su due sigarette con delle cartine di fortuna). Le serate tra donne sanno essere meravigliose, soprattutto se le donne sono quelle giuste.
E poi.
Inizio a pensare che la stanchezza sia un ottimo sedativo per le malinconie autunnali, succede che praticamente non mi accorgo che c'è questa nebbiolina leggerissima che accarezza l'orizzonte, torno a casa con le mani incollate al volante e il piede che pigia la macchina verso l'acquisto di un paio di pizze come surrogato della cena.
All'improvviso, l'infingardo lettore mp3 passa "The Greatest" di Cat Power e cado in totale estasi senza sapere chi guiderà fino a Vercelli al posto mio mentre galleggio sospesa chissà dove, chissà a quale altezza o profondità.

mercoledì, ottobre 12, 2005

(?no?) Trouble

Arrivo alle dieci di sera come una larva.
Fluc, fluc mi faccio su nel mio bozzolo di canzoni d'autunno, trovate per caso, raccolte nel web, ascoltate in giro.
Non è molto importante quello che ascolto al momento.
O forse lo è, ma come sottofondo a un continuo valzer di pensieri.
Sembra stiano cadendo un sacco di bombe in giro. Infelicità diffusa, confusione, fatica, dubbi, paure, timori.
Le persone corrono via e mi incrociano mentre cammino fischiettando verso la biblioteca, le foglie si colorano, ogni tanto esce ancora un po' di sole.
Le bombe continuano a cadere. E la cosa strana non è tanto che cadono, ma che mi stiano risparmiando. Nel senso:

- sono stanca, alle cozze, ci sono giorni in cui andrei a dormire alle nove e dieci senza essere più in grado di proferir parola.
(quando invece vorrei svegliarmi almeno un paio di volte a mezzogiorno e assaporare il piacere di una mattinata in pigiama a riordinare le cose lasciate in sospeso)

- ho pochi amici. Buoni, ottimi anzi, ma pochini, da contarsi sulle dita di una mano credo.
(roba da prendersi davvero molta paura al pensiero che più vado avanti meno gente mi resiste intorno)

-devo scrivere una tesi entro un mesetto e non ho tempo da perdere. Neanche un secondo.
(e invece ho una voglia matta di perdermi nella categoria varie ed eventuali)

-ascolto molto spesso "Trouble" di Cat Stevens rifatta magistralmente da Elliott Smith.
(canzone di una tristezza contagiosa, quell'uomo lì aveva una voce di malinconia pura e irreparabile)

Eppure.
Stobeneporcamiseria, incredibile ma vero.

domenica, ottobre 09, 2005

The Coney Island of MY mind


Driving a cardboard automobile without a license
At the turn of the century
My father ran into my mother
On a fun-ride at Coney Island
Having spied each other eating
In a French boardinghouse nearby...

[Senza patente al volante di un'auto di cartone
Al volgere del secolo
Mio padre si scontrò con mia madre
Su un autoscontro a Coney Island
Dopo che s'erano spiati mentre mangiavano
In una pensione francese lì vicino... ]

Vestito da marinaio, con una dolcevita a righe, un orecchino al lobo sinistro e un paio di occhiali da vista con un’enorme montatura rossa: Lawrence Ferlinghetti si alza in piedi stringendo il microfono tra le mani e propone sorridente al pubblico di fluxare insieme con i suoi versi. La sala è gremita di persone: la prima impressione è che la maggior parte della gente ci sia solo per esserci. Triste. Io mi sento strana, ho paura che la serata non prenda la piega giusta, che l' evento non diventi evento, che non rimanga impigliato nulla nel cuore, nei capelli, nelle dita. Il lettore delle traduzioni in italiano è un elefante in un labirinto di vetri, la villa troppo splendida e lucida di specchi e argenterie non è Coney Island, il salotto di vecchi signori che scattano frenetici con i loro flash intorno al Poeta non è un fumosa sala alcolica di jazzisti che suonano il loro bop indiavolato; non ci sono Jack Kerouac o Neal Cassady, o Philip Lamantia, o Gregory Corso o Allen Ginsberg o Peter Orlowsky. Non ci sono più. Ma Lawrence fa finta di non accorgersene sgrana gli occhi e legge la sua prima poesia, che è un incanto, che racconta dell'incontro di sua madre e di suo padre a un lunapark, del loro scontro fatale, di un figlio che descrive quell' amore romantico dal sedile posteriore di un auto giocattolo e per l'eternità gli rivolge il suo sguardo più ammirato. Le parole si riflettono nei vetri della villa e vanno oltre gli occhi delle persone che si fanno aria con il programma della serata. Le parole rimbalzani lungo le pareti, si rincorrono, restano sospese a mezz'aria come stelle momentanee, come costellazioni linguistiche. Io dico il mio -sì- profondo, interiore, sento la pancia sciogliersi e la vista appannarsi, lo stesso brivido di quando a Milano, in un pomeriggio del 2002, finii non so come a comprare “A Far Rockaway of the heart”, senza riuscire da allora a smettere di amare le poesie di quest'uomo. Che ha 86 anni, ha visto molteplici versioni della sua America, ha amato l'Europa, ha conosciuto artisti e ha collaborato con loro, ha scritto di vagabondi, prostitute, gabbiani, pesciolini, newyorchesi, lucciole,grilli, ha guardato la vita attraverso la sua maschera delicata e malinconica. Si è lasciato travolgere dalla corrente dei giorni senza perdere la Speranza in un mondo diverso, in un modo diverso di guardare il mondo di viverlo, di leggere gli indizi premonitori di grandi rivolgimenti nelle cose più piccole e apparentemente insignificanti. Ferlinghetti ci insegna che la poesia è l'ultimo nemico non violento dello Stato e spesso il più minuscolo degli insetti può minare le fondamenta del più solido dei palazzi.

Basta volerlo.

Siamo noi a dovere combattere i disequilibri della società di cui facciamo parte, uscendo dal nostro ruolo di maggioranza silenziosa, coltivando il lato magico di noi stessi, la nostra cultura, il nostro amore per le cose belle e per la vita come miracolo di meravigliose moltiplicazioni del reale.




giovedì, ottobre 06, 2005

Allucinazioni da tesi II (cold pippe)

Piove e mi sono un leggermente stufata di vedere il cielo grigio, tutto, completamente, neanche uno straccettino di azzurro da nessuna parte.
Mi sveglio presto la mattina e vado in biblioteca a scrivere forsennatamente sui miei mille taccuini. Mentre scrivo penso che a casa ho un portatile e che potrei trasferirli direttamente lì e dimezzare i tempi di stesura.
Ma sono una donna all'antica io, non riesco a studiare sullo schermo di un computer, le parole ho bisogno di farle scorrere dalla testa alla carta attraverso una mano, possibilmente mia.
Poi.
Mi paccano per la piscina, nessuno vuole venire a smaltire un po' di ciccia con me.
A me non frega nulla della ciccia, mi andava solo di riuscire a fare due parole con una persona che ultimamente mi dà come l'impressione di stare cercando di svignarsela.
(Pattipatti sei giustificata, in quanto in preda a deliri lavorativi)
Ho come quella sensazione che se dovessi distrarmi più del dovuto infilerebbe la porta e via, lontano, come tante altre.
Solo che per il momento gli tengo gli occhi addosso.
In un anno ho perso un paio di amiche con la "a" maiuscola, che poi è diventata corsiva e poi minuscola e poi è scomparsa.
Perdere anche un amico con la "a" che per ora si è solo sbiadita un pochino mi farebbe soffrire parecchio.
Quindi in realtà sono un'egoista, perchè voglio tenermi strette le persone a cui voglio bene.
Mah.
Derrida mi sta dando alla testa, voglio il sole, voglio non avere più freddo ai piedi, voglio che qualcuno mi infili sotto la porta un foglietto con la soluzione punto per punto ai miei problemi di relazioni sociali.

martedì, ottobre 04, 2005

.::news::.

Una notizia buona: finalmente ho il mio argomento per la tesina;
una notizia un po' meno buona: è difficile (Derrida);
una notizia confortante: la cosa non mi spaventa molto, sono abituata a spaccarmi la testa su frasi difficili e concetti contorti;
una notizia inquietante: ho un mese scarso per produrre parecchio materiale e partorire un titolo adatto;
una notizia metereologica: continua a piovere ma ci sono questi nuvoloni grigi che si alternano a sprazzi di cielo azzurrissimo e lo trovo spettacolare;
una notizia musicale: mi faccio tenere compagnia parecchio dai Sambassadeur in questi giorni, sono autunnali senza essere deprimenti;
una notizia poetica che è anche un po' il sogno di una vita: sabato sera se tutto va come dovrebbe andare la sottoscritta avrà l'enorme privilegio di trovarsi di fronte l'adorato Lawrence Ferlinghetti;
una notizia prevedibile: è quasi scontato che mi commuoverò e cercherò in tutti i modi abbracciarlo;
una notizia che è anche l'ultima: domani a torino a cercare i libri per la tesi, a breve un aggiornamento post come si deve.

venerdì, settembre 30, 2005

*just give me time


E' successo.
E' successo che abbia letto degli Okkervill River sul blog del neo-parigino (detto così sembra il nome di un cocktal di tendenza, Lucio abbi pazienza) ed è successo che stia scrivendo l'ennesimo post musicale quando mi ero ripromessa di non farlo per qualche tempo, interrogandomi sul carico di spocchia che possano trasmettere le mie parole quando in realtà si tratta di giovanilistico entusiamo per quotidiane scoperte sonore.
Ed è successo che me ne sono proprio innamorata di questi strampalati figuri autunnali in posa davanti a una parete con delle teste di alce appese al soffitto.
Sono persone con cui andresti volentieri a fare un picnic vicino a una bosco, seduti su una tappeto di foglie rosse e gialle, con una chitarra e qualche lattina di birra a parlare di poesia, di vita, o semplicemente ad ascoltare con gli occhi chiusi il rumore di nodi nella pancia che si sciolgono.
E' successo che non possa più fare a meno di ascoltarli, e che sia un bene, un vero toccasana per guadagnare ampie boccate di ossigeno tra uno schema annotato in fretta su un taccuino e mezz'ora di fumi cerebrali su un saggio di filosofia teoretica.
Oh.

mercoledì, settembre 28, 2005

*five string serenade

A farci attenzione, e se ti succede di abitare nello stesso posto da che sei al mondo, col passare degli anni ti accorgi sempre con maggiore facilità di tutti quei rumori che accompagnano il susseguirsi dei mesi, e sono un po' come sfumature di un quadro che metti a fuoco lentamente, avvicinandoti passo dopo passo, con stupore.
La fine di settembre per me ha il rumore di treni che frenano e cigolano alle otto di sera, posso quasi immaginarmi le scintille e le teste dei pendolari mezzi addormentati che tornano a casa e guardano distratti l'enorme cielo viola che abbraccia la città quasi nebbiosa, con i suoi lampioni gialli, la luce che si spande irregolare nell'umidità circostante.
E ha il rumore di una penna che scrive, dei miei piedi che tengono il tempo da sotto la scrivania, di auto che sfilano silenziose sul cavalcaferrovia trascinandosi dietro corridoi di fari rossi e arancioni, di una tesi che è sempre da capo, di cose vanno avanti e migliorano, di cose che restano uguali o finiscono, e di una canzone, non importa quale, basta sia lì e ti faccia compagnia.

-This is my five string serenade
Beneath the water we've played
And while I'm playing for you I
t could be raining there too-
Five string serenade /Mazzy Star/

Allucinazioni da tesi I -sensazioni di estraniamento totale-

Un paio di sere fa, ho ripreso in mano "Sonno Profondo" di Banana Yoshimoto, e ho riletto per l'ennesima volta il racconto che dà titolo al volume, che ormai per me è come una canzone, da mettere su al momento giusto e lasciare suonare nella testa per il tempo necessario.
L'affinità del mio stile di vita degli ultimi giorni con la protagonista della storia mi è sembrata,ora più che mai, assolutamente inequivocabile.
Anche se io dormo poco,quell'intervallo preciso tra la mezzanotte con la testa che si rovescia su un lato del cuscino e il lavandino delle sei di mattina di amanda che si alza per andare a prendere il treno.
C'è in me lo stesso stato ipnotico nel vivere il tempo che scorre, alzarmi la mattina, studiare, uscire, parlare.
Mi accorgo di quanto poche siano le persone in grado di richiamarmi alla realtà, come gli squilli telefonici del compagno della protagonista, gli unici che riescano a scuoterla dal suo torpore profondo.
"It's almost a trap" canticchiano gli Architecture in Helsinki in una remota regione del mio cervello mentre sottolineo frasi e schematizzo concetti con una concentrazione parziale.
Forse dovrei fare attenzione, di solito quando uno abbassa la guardia qualcosa di pesante lo colpisce dietro la testa e lo manda steso.
E' che non mi preoccupo.
Punto, a capo.
Ho deciso di vivere un periodo semplice: soggetto, verbo, complemento oggetto; smetterla di perdermi lungo ramificazioni intricate di subordinate di primo, secondo, millesimo grado.
Lasciarmi leggere e scrivere dalle cose senza apprensione.
Lasciarmi suonare per il tempo necessario.

mercoledì, settembre 21, 2005

*love and some verses

Di nuovo in fase pippa, alzarmi presto la mattina è deleterio, le sette e mezza sono un orario assolutamente al di fuori della mia portata.
Sì, mi rendo conto che questa affermazione susciterà tra voi parecchi improperi rivolti alla sottoscritta ma me ne assumo la responsabilità.
Tra poco recupero della sorella in una palestra buia e sperduta, breve viaggio in macchina con sigaretta accesa e gomito di fuori, lettore mp3 in meravigliosa modalità shuffle con tutto il meglio della deprimenza settembrina che la mia abilità di musico-dipendente poteva produrre.
Il vetro della macchina fa davvero schifo, le altre auto non si riescono a distinguere se non per un chiarore che da diffuso diventa sempre più intenso e sembra quasi entrarmi nella retina.
Andrò giù con un po' di vetril e sapiente passata di straccio sperando in un futuro meno fosco.
Ho la maglietta grigia dei momenti così e spero di poterla sostituire al più presto con qualche capo di abbigliamento e conseguente mood più sgargiante.
E' quasi finito settembre.
Devo leggere un libro di 350 pagine entro due settimane.
Aiuto.

lunedì, settembre 19, 2005

Un lunedì da leoni (pippa-post sui miei problemi-pippa)

Intro
Io generalmente non mi incazzo mai.
Sono una persona abbastanza anema e core ma per quanto riguarda gli screzi personali perdo la pazienza davvero raramente.
Un po’ perché sono stata rappresentante di classe dalla prima elementare alla quarta superiore. Un po’ perché quando mi arrabbio mi ritrovo a dire sempre le verità più scottanti nel modo più doloroso possibile.
Poi mi pento, me ne vergogno come una ladra,così che finisce che il cazziatone alla fine sono io a beccarmelo dalla mia coscienza.
Ma in fondo perché parlare di questo?
Parte prima
Perché oggi mi sono proprio incacchiata di brutto.
Roba che mi sentivo salire dallo stomaco una specie di lingua di fuoco che mi bruciava la pancia e l’esofago e gli altri organi lì intorno di cui non ricordo il nome dato che durante le lezioni di biologia studiavo per la patente.
Sono uscita di casa e ho iniziato ad aggirarmi per la città come una specie di vaso di pandora ambulante. Fa’ qualcosa frà, vatti a prendere un caffè. E un bicchiere d’acqua che spegna i tuoi bollenti spiriti. Ho provato anche a fare un paio di telefonate, ad andare a cercarmi una giacca di velluto che sostituisse quella attuale con i gomiti delle maniche ormai quasi trasparenti.
Poi non ce l’ho fatta più, i piedi mi hanno portato là ove lavora la persona che ha suscitato la mia ira funesta.
Trattasi di blockbuster, posto che già di per sé mi sta sulle balle per i prezzi assolutamente spropositati di quelle sordide caramelle gommose che mettono all’uscita, così che tu le veda proprio nel momento in cui per ingannare l’attesa senti quel desiderio viscerale di sordide caramelle gommose.
Lei è là, i suoi capelli biondi spuntano dagli scaffali.
Io sono Furia Cieca in versione adolescenziale, con i ricci raccolti in due codini (che però giuro oggi erano minacciosi).
Parte seconda
Nella mia testa frullano le diverse strategie.
Potrei nascondermi dietro il reparto –emozioni- e lanciarle delle cassette sulla testa. Oppure sfondare con un calcio la vetrinetta della play e provare un tiro di precisione dalla zona
–in famiglia-. Invece mi ritrovo ad attendere di fianco a un tizio che odora di colonia e bitume (o forse colonia di bitume) attorniata da –commedie all’italiana- e -questa settimana vi consigliamo-.
Non appena la ragazza in questione si libera mi avvento su di lei rapace come un condor.
-Scusa, a che ora stacchi? Perché ti aspetto dieci minuti così parliamo-
-Alle undici e mezza, poi vado subito a casa-
-D’accordo, allora faremo un altro giorno-
-Ma che c’è?-
-E’ che sono molto, molto arrabbiata-
-Cosa?-
-Cerca di non fare quella faccia, ti sei comportata parecchio male nei miei confronti e credo sia meglio se concludiamo i nostri rapporti. E comunque non mi va di parlarne qui, è il tuo posto di lavoro, potrei dire cose fuori luogo-
Questo è l’incipit della conversazione che a dire il vero si protrae ancora giusto per una manciata di secondi nei quali sintetizzo con ordine e razionalità i motivi che mi hanno condotto a un livello di irritazione molto alto e concludo con un perentorio
–Quando troverai del tempo, se troverai del tempo chiamami. In caso contrario credo di non voler dire più niente-
E via.
Una bella porta sbattuta, l’insegna gialla e nauseabonda del colosso della noia da sabato sera e io che cammino sbattendo i talloni a ritmo di –Float On- dei Modest Mouse verso casa.
Non mi piace essere incazzata, già sento un altro genere di maldipancia salirmi agli occhi.
Però quando ce vò ce vò.

domenica, settembre 18, 2005

*sunset soon forgotten

E siamo al diciotto di settembre, la pancia piena di polpette agli spinaci, quel desiderio di una grosso grasso bicchiere di coca-cola che non potrà essere soddisfatto prima di domani, all'ora di apertura dei supermercati. Stasera in auto, un paesaggio da accostare immediatamente e restare lì a sentirsi stupidi e insignificanti esserini in un mondo assolutamente al di là della nostre capacità di comprensione. Se mai qualcuno tra voi, un pazzo suppongo, dovesse nutrire desiderio o necessità di transitare nei dintorni della Seattle del Piemonte, settembre è il mese giusto per portare a termine questo avventuroso proposito. Perchè prima che brucino tutto, ci sono le risaie giallo oro che sembrano uscite da un quadro di van gogh e anche in giornate bruttine come oggi, con il cielo grigio scuro e le nuvole basse che sezionano le montagne all'orizzonte, sono uno spettacolo credetemi. Non è mare, non è montagna, sono solo risaie. Però sono bellissime.
A parte questo.
Temo che dovrò ricominciare a impegnarmi nella stesura della tesina per il momento accantonata in attesa di un responso da parte del mio docente (responso che temo non arriverà a breve), occorre che io mi rimetta nuovamente di buzzo buono a studiare come si deve.
Forse domani mattina andrò in biblioteca. E' tanto che non metto piede in questo luogo pieno di luci al neon in cui il ricordo di forni a microonde e asciugacapelli di ultima generazione aleggia ancora nell'aria (era un magazzino di elettrodomestici in precedenza).
Chissà quali incontri, chissà quanti incontri.
Spero pochi, se no finisce che passo più tempo seduta fuori sui gradini a sfumazzareche dentro a farmi la lampada con la fotocopiatrice.

venerdì, settembre 16, 2005

...the world maybe be long for you, but he'll never belong to you.
but on a motorbike,
when all the city lights blind your eyes tonight,
are you feeling better now?
E basta.
Ci sarebbero altre cose da scrivere certo.
Ma stasera su involontario suggerimento di qualcuno galleggio sulle note di Grace Cathedral Hill, come una foglia a pancia in su che guarda il meraviglioso cielo di settembre riempirsi di sentieri di nuvole dorate.

martedì, settembre 13, 2005

*oceanside


Settembre, accorgersi che ho passato tre interi mesi a cercare di leggere Il Gioco del Mondo e non l’ho ancora finito, mi ci sono persa dentro.
Settembre, restare semplicemente senza fiato a farsi cullare dai colori di tramonti irripetibili che non torneranno più per il resto dell’anno, non avranno quella stessa luce inspiegabile.
Settembre scrivere la tesi, ascoltare i Decemberists, di nuovo, per il secondo settembre consecutivo innamorarmene perdutamente.
Settembre con la mia camicia a fiori e la giacca marrone settembre.
Settembre negli occhi di chi si concentra sull’oggi per non pensare al domani
Settembre è un parcheggio e una birra dentro un bicchiere di plastica e un abbraccio molto molto forte, che va al di là degli abbracci normali
Settembre, riconoscere negli occhi lucidi di qualcuno la tua stessa rabbia, il tuo stesso dolore.
Settembre, immaginare che le cose poi a un certo punto andranno meglio e si tratta solo di resistere ancora. Ancora.
Settembre sono gli ultimi metri dell’estate più lunga della mia vita al di fuori di ogni dubbio.
Un’estate che se dovessi definirla userei l’aggettivo “enorme”, un oceano immenso che mi ha completamente travolto e portato via.


Oh well, I guess I'm something of a ne'er do well,
even though that's something I could never do well.
I'm on track and keeping.
Oceanside -The Decemberists-

venerdì, settembre 09, 2005

*young and dumb

Piove e ieri sera ero brilla.
Due cose che dovrebbero concorrere attualmente a sfondarmi il cranio di malditesta.
E invece niente.
Niente sensazione scafandro, niente crampi alle gambe, niente metabolismo inceppato.
Mi sento come un benedetto fiorellino di campo, fresca come una viola mammola, e non so se attribuire questo effetto benefico all’alcool di ieri, all’avere trascorso una serata senza pensare nemmeno un minuto alle mie angosce quotidiane, all’ascolto mattiniero dei Lucksmiths che mi fa dondolare la testa mentre preparo la colazione.
Amanda dorme ancora, incredibile quanto possa essere pigra mia sorella. Pensare che le ho aperto la finestra della stanza per farla svegliare.
Io cerco di concentrarmi sulla barbosissima tesina con risultati ridicoli, una settimana intera trascorsa a scrivere cinque paginette scarse.
Nemmeno quando alle elementari la maestra ci aveva costretto a tenere un diario segreto (che poi correggeva lei e allora mi sono sempre chiesta dove fosse il segreto?) avevo trovato difficoltà così grandi ad esprimere il benché minimo concetto.
Sto diventando una troglodita, al pomeriggio guardo perfino i telefilm in tivù.
E’ che in realtà la sensazione che descrive ambarabàciccicoccò nel suo caleidoscopico blog la conosco perfettamente.
-Non avere voglia di fare niente – o anche –Adesso vegeto- sono fasi della vita che ogni tanto arrivano e ti si siedono accanto. Fasi terribilmente indiscrete e testarde, non se ne vanno finchè non le cacci via con le peggio maniere e ti rimetti in moto.
Quindi boh, forse il segreto è di non restare troppo in contemplazione delle proprie dita dei piedi e darsi da fare come matti.
O forse invece bisogna lasciarle passare e magari assecondarle se si pensa sia giusto così.
Io comunque devo andare a girare l’arrosto e svegliare amanda. Anche se di sicuro lei apprezzerebbe maggiormente il contrario.

lunedì, settembre 05, 2005

Mai successo di svegliarvi alla mattina e sentirvi gli indubbi protagonisti di un Truman Show fatto e rifinito per la vostra persona? A me succede spesso ultimamente, mi sveglio e mi trascino fino alla finestra per cercare di sorprendere con lo sguardo un qualche satellite che fluttua su di me giorno e notte e mi riprende in ogni secondo delle mie donchisciottesche battaglie quotidiane. Ma niente. Fuori ormai è iniziato il meraviglioso settembre, cielo nuvoloso, aria fresca da jeans per forza e maglietta a maniche corte.Indecisa dove appendere gli scaccia-sfiga portati alla sottoscritta da D. direttamente dall’India (forse dovrei ingoiarli o appendermeli sulla fronte) prendo baracca e burattini e mi installo nella mia postazione soprannominata “Ehi Tesi!” che purtroppo richiede la presenza del mio portatile tentatore di fianco. Basta poco, una decina di pagine di Derrida, una assurda meditazione su limiti e confini e zac, spinotto bianco e Limewire ricomincia a scaricare l’ennesima abbuffata di canzoni.Ultimamente soffro di bulimia musicale, una canzone qui, una là. E’ che ne ho un bisogno fisico, per prendere fiato, per interrompere queste vorticose spirali di ragionamenti che infestano il mio cervello mentre leggo e rileggo l’onnipresente Edmond Jabès.Inizia a piacermi quest’uomo, anche se mi fa un po’ paura, anche se ogni tanto mi sembra di dovermi avvicinare a lui come a un nonno sempre leggermente incazzato che ti regala una caramella e un attimo dopo ti raccomanda di non rompergli più le balle. Però scrive belle cose, cose in cui ti perdi e non sai mai se ne riemergerai intero o meno. Il bello della filosofia. Il brutto. Bah.Più tardi pranzo con E., che sta così così anche lei, l’estate è stata pessima per la maggior parte delle persone che conosco, bisognerebbe istituire un ufficio reclami, io chiederei indietro un paio di mesi compresi i sabati e le domeniche, e non solo per me.Già le undici.Tardi per continuare a studiare, è il momento perfetto per un caffè in compagnia dei Death Cab For Cutie.
Venghino signori venghino, settembre è iniziato da poco, prendano i posti migliori.

mercoledì, agosto 31, 2005

Un pullman che corre nelle risaie oro.
La testa appoggiata al finestrino, stai perdendo i sensi per l'aria condizionata ma ti tieni sveglia con un volume anormale di musica sparata nelle orecchie direttamente dal lettore mp3.
Due ragazzini ti guardano smarriti con le loro borse da calcio e prendono posto dietro di te.
Non appartieni alla quotidiana fauna del loro pullman.
Perchè lo capisci subito che un pullman è un luogo di incontro quotidiano, come un bar, la gente saluta il conducente chiamandolo per nome e scambia qualche parola di cortesia.
Tu invece hai detto solo buongiorno e tlic-zzz, hai convalidato, hai scelto un posto che rimanesse all'ombra per tutta la durata del tragitto e hai schiacchiato -play- andando ad azzeccare proprio la canzone che faceva per te in quel momento

" Now that I'm so sad and not quite right I could dance all night I could dance all night Shake your rattle-snake skin And become a part of society Wait on down the highway To see how far I'll come a-run a-run run running All that we had salvaged from the fire Was a waste of time (But) what a waste of time " (HOME ON ICE-CLAP YOUR HANDS SAY YEAH)

domenica, agosto 28, 2005

Impressioni di [quasi] Settembre

Armata di una bottiglia di chinotto ormai avidamente trangugiata dentro allo stomaco, amanda sdraiata sul divano guarda le repliche degli mtv awards commentando con fare sarcastico le varie sciacquette del pop di lustrini vestite.
Io seduta al computer con un sorriso così perché siamo quasi a settembre.
E’ che sapete, mancano tre giorni al mio mese preferito.
Me ne sono accorta oggi mentre tornavo a casa in macchina, saltellando felice come una bambina di otto anni.
Settembre vuol dire quella luce speciale che verso sera scolpisce i paesaggi con colori nuovi, indescrivibili, cieli alla wim wenders, maglie con le maniche lunghe, rispolverare tutti i miei cd autunnali, tirare fuori la bici,decidermi a gonfiare le gomme finchè sono in tempo, impegnarmi in qualcosa di intellettualmente serio.
La fine di agosto vuol dire rimanere seduta sul marciapiede di fronte a un grande centro commerciale con il mio migliore amico e ripetergli all’infinito che persona meravigliosa lui sia e quanto sia necessario che non si accontenti di quello che gli accade ma pretenda il meglio.
Ascoltare il suo amore, i suoi sogni, le sue paure e riflettere su come le persone che non hanno rispetto per le lacrime degli altri mi facciano prudere le mani da impazzire.

-I’m trying not to be so antisocial, truth be told, I’m not entirely hopeful, I’ve woken up one too many floors but my favourite was her floor-
[ The boy that never goes out –Lucksmiths-]

-E allora magari alzarsi da quel pavimento e cercare una scala che porti più in alto, dove le cose possono essere migliori, non credi?-

La fine di agosto vuol dire essere felice per e nonostante tutto.
Sentire che ce la posso fare a tornare a spaccare come si deve, che la montagna non è poi troppo ripida e che settembre mi strizzerà l’occhio come al solito e mi coccolerà per bene come sua unica e sfegatata fan.

sabato, agosto 27, 2005

Impressioni di Agosto # 2 (If you’re feeling sinister)


Volevo scrivere un bel post, con un suo perché, un inizio e una fine precisi, ma pretendere che la mia testa produca qualcosa con un benché minimo senso logico, di questi tempi, è assolutamente fuori discussione.
‘cause I feel sinister

Sabato 27, agosto mi fa ciao con la sua manina abbronzata e lentamente subentra quel pungente desiderio che arrivi l’autunno, con il suo bailamme di pensieri, canzoni e attività che ricominciano da capo o proseguono o si interrompono per fare spazio ad altro.

Voce fuori campo: -Hai scritto qualcosa per la tesina?-
Io: -No-
Voce fuori campo: -Hai deciso cosa vuoi fare nei prossimi mesi?-
Io: -No-

Da Giugno io e la mia Voce fuori campo dibattiamo aspramente su tali questioni senza cavarne nulla di utile che possa rassicurare almeno una delle due controparti.
Sono troppo impegnata ad alternare momenti di euforica esaltazione a momenti di contrizione eremitica per potermi dedicare a qualcosa di intelligente, qualcosa del genere di cose che di solito scrivo e produco senza particolari difficoltà.
Solo che adesso è cambiato tutto, sono un po’ annegata in questi mesi estivi, o forse sarebbe meglio dire che sono finita alla deriva, ai margini di quel mondo in cui prima ero costantemente immersa fino al collo.
C’è un’altra poesia di Ferlinghetti, in cui lui immagina
di vedere il mondo dall’alto e l’umanità che galleggia sulla superficie e i morti che ci volano sopra come gabbiani. Bello. Ecco.
Bello forse che spuntino nella mia mente ricordi così, frasi di libri, di persone, immagini.
Meno bello che non crescano soluzioni, ma solo fughe adolescenziali da ogni genere di responsabilità.

V.f.c. : -Eh?-
Io: -Non lo so nemmeno io cosa significhi davvero, non trovo le parole giuste-
V.f.c. : -Di fronte all’obiettivo ti sei spaventata a morte e hai iniziato a fare marcia indietro, guidando come una folle a ritroso dentro te stessa-

Una cosa che sentirsela dire è strana, scriverla è terribile, viverla ancora di più.
Ma poi.
Poi non è che vada così male.
E’ tornata Amanda e si fa davvero tantissima bisboccia insieme. Si recupera lentamente la distanza accumulata in questi mesi estivi di sorti opposte. Senza nemmeno impegnare troppo tempo siamo di nuovo lì,insieme, che passiamo intere giornate a intrecciare comuni intenti.
E poi ho comprato un paio di friulane gialle con cui lancerò una nuova moda calzaturiera.
E poi sono innamorata sempre.
E poi i Lucksmiths mi fanno impazzire, sono cartoline brillanti e sonore dell’estate che prepara i bagagli.
E poi lunedì vado a fare altre foto e magari rimpolpo il portafoglio leggero leggero.
E poi metto a posto le cose, tutte, mi basta solo capire da dove incominciare.

In sottofondo –Guess How Much I Love You- The Lucksmiths
-T-shirt weather- The Lucksmiths
-Frisbee- The Lucksmiths

giovedì, agosto 25, 2005

impressioni di agosto #1


-How to be perfect-
(Padova, Orto Botanico)
Sono lì davanti a un fiore che galleggia con grazia infinita sulla superficie dell'acqua, la sfiora appena, tracciando impercettibili sentieri di acqua trasparente che durano il tempo di un secondo, di uno scatto.
Nemmeno sicura di riuscire a cogliere quel movimento effimero e irreale, talmente è perfetto.
Penso che forse la natura non permetterà che le rubi un'immagine tanto preziosa, me la concederà solo per una manciata di istanti che siano sufficienti a farla imprimere nella mente.
O nemmeno questo.
Finirò per dimenticare il fiore, la delicatezza dei suoi petali, la magia infinita della sua bellezza.
E invece succede che la foto riesca, che i sentieri rimangano, e che resti intatta anche la sensazione che provo di fronte a questa immagine. Di sentirmi sospesa così come mi è successo tante volte, durante questa estate che sembra essere durata più del previsto e al tempo stesso trascorsa in un soffio, mentre guardavo le nuvole che scorrevano da una parte all'altra della mia finestra, del parabrezza, del balcone di un albergo davanti all'adige.
Sigarette, canzoni, libri mai finiti, tesi mai iniziata davvero.
Amanda e io sdraiate sul letto in mutande che guardiamo sky cinema1 come vecchie pensionate.
Qualcuno che pazientemente ascolta la mia voce al telefono per quindici minuti tutti parlati, senza quasi respirare come solo io posso fare.
Scoprire con curiosità e stupore che ci sono persone che non smettono mai di essere meravigliose, lo sono sempre.
Cene venete e vino a fiumi.
Mp3 lungo tutta la Lombardia e il Trentino e il Veneto con il ginocchio che fa tum tum contro i sedili della macchina.
Fiori, alberi, architetture, quadri, Biennale, buio, luce, piedi, scarpe gialle, cani biondi, bambini, contemplazioni, epifanie, tramonti, fulmini, pioggia, macchie di biro sul dorso della mano, disegni abbozzati.

martedì, agosto 16, 2005

"Quei delicati tatuaggi di vita che chiamiamo poesie" dice Lawrence Ferlinghetti ma anche quei delicati tatuaggi di vita che chiamiamo canzoni dico io, martedì 16 agosto, un altro foglietto del calendario a foglietti che non ho ma che ho sempre desiderato si stacca e prende il volo impercettibilmente.
Giovedì o venerdì si parte un pochino, stavolta per davvero.
Biennale, Mart e dintorni, zaino da preparare, lettore mp3 che scoppia di canzoni e mi viene da ridere se penso che fino a due giorni fa ero assolutamente convinta di non essere in grado di produrre nessuna colonna sonora adatta alla mia estate. E invece.

Invece ho una tracklist infinita che gira in random per la testa tutto il giorno, cammino e canticchio in continuazione, cambio il ritmo della marcia, non sto ferma nemmeno sulla sdraio in piscina. Convulsioni musicali dice Amanda.
Se avessi sufficiente musica da ascoltare, se fosse la musica giusta, io credo che potrei andare avanti per migliaia di chilometri e percorrere distanze incredibili senza fermarmi mai, come in trance, in attesa che qualcuno pigi stop e il rumore del mondo si riprenda il suo posto all'interno dei miei padiglioni auricolari.
Che poi il rumore del mondo e le canzoni non siano infine la medesima cosa soltanto parlata in due lingue un po' diverse è ancora tutto da vedere.

"Heavenly blue-eyed roses
seem to whisper to me...
When you smile"
"So why
Why did you believe
All every word I said
Why did you believe
Believe a stranger
A stranger"
"Why do people like stars,
they're so far away
They're always there and safe to look at,
wish upon one
I could have been you in that fantasy,
far away from here"
Nota bene: chi azzecca tutte e tre le citazioni vince una copia omaggio di una mia foto in bikini abilmente ritoccata con photoshop.
Ci si vede gente.

lunedì, agosto 15, 2005

* clap your hands say yeah!

La felicità è fatta di cose piccolissime, microscopiche, da guardare con lenti speciali.
Canzoni di cui innamorarsi e da assaporare fino a quando i piedi non si staccano dal suolo, fotografie dentro una scatola di cartone, sorrisi intensi senza parole, la luce di fine agosto che alle otto di sera dipinge il mondo di arancione e mi disegna iridi nuove, passeggiata del dopo cena in giro per il quartiere deserto con amanda, silhouettes disegnate dai lampioni sui marciapiedi che parlano e parlano e parlano.
L'estate finirà, ma non importa, I say yeah and clap my hands.

giovedì, agosto 11, 2005

* slip inside this house

Alcune decisione definitive:

1) me ne fregherò altamente se i negozi sono tutti chiusi e per andare a prendere un caffè bisogna farsi chilometri a piedi. Io il caffè lo berrò a casa mia, perché intanto è più buono e ce n’è di più. (e chi ha già avuto l’occasione di vedersi offerto un caffè dalla sottoscritta sa cosa significa di più).
2) I libri che avevo precedentemente scelto come materia per la mia tesina mi paiono assolutamente fuori dalla mia portata. Per tanto ho scelto di concentrarmi su questo libricino (che le sue brave 138 pagine le ha anche lui) pieno di cose interessanti e assolutamente incomprensibili. Forse perché mi piace tanto il titolo “Le livre du partage”. Condividere sempre e comunque.

Alcune ipotesi in via di definizione:

1) ieri pensavo che non mi sarebbe dispiaciuto affatto iniziare il discorso con un’analisi filologica dei verbi “assumere” e “affrontare”, oggi sono convinta che operare in questo modo mi proporrebbe agli occhi della commissione come un’insopportabile spocchiosa saccentona. Lo farò comunque.
2) È forse in procinto di aprirsi una parentesi di rock psichedelico nella mia vita, la quale del resto ben si accompagnerebbe con lo stato di totale straniamento che mi accompagna nelle mie ricerche pseudo-filosofiche del momento.
E’ successo che ieri abbia ascoltato i 13th Floor Elevators per la prima volta, ed è successo anche che mi abbiano proprio fatto strippare di brutto. Quasi quasi lanciavo il portatile giù dal balcone.
3) Quando finirò di leggere Rayuela darò un party in cui tutti i presenti dovranno abbigliarsi come i personaggi di questo romanzo totalizzante e totalizzatore. Io naturalmente sarò la Maga che raccoglie i nastri colorati dall’asfalto a fa amicizia con le clochard. Ancora disponibili tra i tanti il ruolo del misterioso Horacio o del viaggiatore immobile Traveler o di Babs o di Rocamadour o di..

Fate sapere.

Una doverosa citazione prima di concludere:
“Se per l’uomo la certezza è un bisogno, in sé è solo una vaga risposta a una penultima domanda, giacchè l’ultima è rimasta in sospeso”
Edmond Jabès –Le livre du partage-

mercoledì, agosto 10, 2005

*I feel like the mother of the world

Dieci Agosto.
Uno, due, pronti, partenza….
No, partenza niente.
Quest’anno estate con i piedi ben piantati nelle risaie che più verdi non si può, nel viale deserto, nelle strade che la sera ci puoi camminare proprio al centro perché tanto non passa nessuno.
D’estate la città si dimentica di essere città e fa finta di essere un deserto, ci si mette d’impegno, fa scomparire le macchine, fa tacere i rumori, si riempie di vento e di silenzio.
Ascolto gli Smog con tanto di occhiali neri modello –sto scrivendo la tesi e sono terribilmente impegnata- attendo la solitudine casalinga per accendermi la prima assolutamente necessaria sigaretta della giornata e poi uscire a consegnare un servizio di foto un po’ strambo fresco di ieri.
Più tardi torna Amanda, i pezzi della famiglia si ricompongono, il puzzle di settembre avanza, e strano a dirsi manco solo io a muovere le pedine sulla scacchiera. Ma per il momento scrivo qualcosa su E. J. mi perdo in considerazioni personali su ciò che è assurdo e ciò che non lo è, sulle parole e sugli spazi bianchi e pondero le varie posizioni giocando con cavalli e regine.
Impressioni di un’estate che non ha fatto altro che sfilarmi accanto anziché travolgermi, sfiorandomi appena con la sua scia di sensazioni a mezz’aria.
Una manciata di canzoni come tanti segnalibri dello stesso libro che da due mesi a questa parte monopolizza la mia attenzione, bilioni di pensieri, qualche volta una tensione allo stomaco nel sapere di dovere fare passi avanti e nel non essere sicura della giusta direzione verso cui indirizzarli.
E poi.
Persone che si allontanano, persone che si sono allontanate, persone che si allontaneranno, persone che se si allontanassero sarebbe proprio un grandissimo guaio.
Nuvole che vanno e vengono, velocissime, dalla finestra della mia stanza all’orizzonte, come nei film.
Io che mi sveglio alle nove, alle sei, alle nove e mezza, alle dieci, alle undici, io con i capelli sconvolti, io mezza morta di freddo perché mi ostino a tenere la finestra spalancata, io che vorrei partire con la mia stanza intera sulle spalle, tutti i libri, le foto, gli oggetti e spostarmi giusto quel tanto che servisse a farmi cambiare prospettiva.
L’estate va, le stelle cadono, i capelli crescono, il caffè è finito e vado a fumare sul balcone.

giovedì, agosto 04, 2005

* a summer wasting

Di nuovo vento oggi.
Io adoro il vento perchè è magico, solleva le cose vecchie e ne porta di nuove, veicola messaggi lontani e li proietta nel futuro, nell'aria che ancora deve arrivare, solleva nebbie, foschie, griugiumi di ogni specie, rende tutto limpido, lucido, chiaro, immediato.
La valigia lì in alto indica che la proprietaria del blog chiude la saracinesca per poco pochino e va a farsi una vacanzina breve brevissima in terra ligure per riprendere un po' di fiato.
A presto.
"I spent the summer wasting
The time was passed so pleasantly
Say cheerio to books now
The only things I'll read are faces"

lunedì, agosto 01, 2005

emoh/home

Primo agosto, recuperata Amanda, di nuovo at home.
Devo assolutamente andare al mare, non ne posso più, questi micro-assaggi di acqua marina, spiaggia e sole mi stanno precipitando in una profonda apatia.
Se non stacco la spina non riesco a mettermi a fare niente di nuovo che non sia ordinare gli oggetti sugli scaffali del bagno per ordine di grandezza o vagare su internet alla ricerca di un master o di una specializzazione che gridino

–Frà, eccomi sono quello che stavi cercando-
L’ho detto ieri che mi sento come Charlotte di Lost in Translation (con la differenza che io devo ancora laurearmi –dicembre- e non a Yale ma a Seattle).
Ho fatto foto ma sono mediocri.
Carine, colorate, mediocri.
Rabbia.
Gironzolavo per le vie di Antibes, nella sua notte gialla fatta di pareti che profumano di mare.
Ed è una notte strana, mai buia abbastanza per nascondersi e restare in un angolo, per quanto tu possa cercare di fuggire e mimetizzarti, il pennello del pittore ti raggiungerà ugualmente proprio lì dove ti sei cacciato, senza via di scampo.
Succede che proprio mentre pensi di essere fuggito dalla folla dei turisti, dalle ragazze che dondolano sulle zeppe colorate, dai ragazzi vestiti da rappers e da una babele di lingue e costumi ti ritrovi di fronte a un ristorante pieno di gente e piatti di pesce che brillano o a un negozio di borse di paglia o ancora ad un incantatore di strada che suona la sua fisarmonica e ti porge il bicchiere.
Succede che io fossi lì con la macchina fotografica al collo e una leggera angoscia di fronte a quella luce tanto chiassosa e irriverente.
Mi sentivo spaiata, un calzino bianco che sventolava accanto ad altre decine di calzini colorati tutti meravigliosamente uniformi.
Sono finita a fare un paio di scatti al mercato coperto, alle persone sedute ai tavolini dei caffè, alle statue di Giacometti dritte sul muretto del museo Picasso.
Niente che mi convincesse davanti all’obiettivo e la sensazione di non essere in grado di sottrarmi al trionfante quadro celebrativo delle splendide notti della costa azzurra.
Rabbia.
Menomale che al ritorno al letto di pietra e al cuscino quadrato di Villeneuve Loubet c’era Lou che mi canticchiava nelle orecchie di non preoccuparmi e di continuare a credere nello sguardo circolare,
perchè il resto, prima o poi, verrà da sè.