giovedì, novembre 20, 2008

una promessa è una promessa







Sì, lo so, il blog era un'altra cosa.

venerdì, novembre 14, 2008

that's all folks

Quando l’essenziale è nato era rosa. 
Un orribile template rosa shocking fornito dalla piattaforma blogger (che spero non si offenda).
Poi è diventato a pallini pastello.
E così credo sia rimasto per la maggior parte del tempo in questi ultimi quattro anni.
Quando l’essenziale è nato venivo dalla suzie home, il mio nondiario delle superiori che poi una volta all’università mi era sembrata ormai una pelle non mia. 
Ci avevo meditato parecchio prima di chiuderla, o meglio abbandonarla tra le onde del web come un relitto senza più ciurma o timone. 
Ogni tanto torno a darci un’occhiata, scopro che qualcuno lascia ugualmente i suoi commenti. 
Scorro la colonnina dei link e penso alle persone di cui ho perso i contatti, a quelle che hanno chiuso il loro blog, a quelle che ci sentiamo su messenger ogni tanto consapevoli che la vita va altrove.
Ripenso alla sensazione di dover chiudere quella parentesi. 
Che avevo rimandato e ricacciato per qualche mese.
E poi un giorno avevo capito di non poter più scrivere in quel modo scanzonato, divertente, leggero, perché ero cambiata, cresciuta, e le cose importanti sembravano altre. Mi sembrava importante parlare davvero di me.
Così era nato l'essenzialeinvisibileagliocchi che come nome sembrava perfetto, l' invisibile agli occhi di tutti prima di quel momento, forse anche ai miei.
Quattro anni che a rileggerli tutti sembrano quattro secoli. 
Con la laurea di mezzo, la Francia, persone che se ne vanno per sempre, persone che tornano, castelli di carte che crollano e si ricostruiscono nel giro di qualche mese, la scuola con i miei asinelli, l'Italia che diventa stretta come un guanto. 
C'è così tanto di me qui.

So che questo atteggiamento sembrerà scarsa coerenza.
Qualche post fa lancio un appello affinché tutti continuino a scrivere sui loro blog e adesso sono qui che annuncio di chiudere questo.
Sicuramente lo è. 
Poco coerente. 
Ma sincero.
Non voglio dover scrivere per obbligo o per il puro senso di colpa di trascurare un progetto che si porta avanti da anni. 
Voglio scrivere con passione e questo è e sarà sempre l’unico motivo per cui ancora a 25 anni mi cimento con raccontini, poesie, bozze di libri più o meno compiute, conscia di rasentare il ridicolo ma fiera di me stessa, di poter dire di avere lasciato su carta o su web qualche parola con una certa importanza.

Non sono brava con gli addii, non sono nemmeno sicura che si possa davvero dire mai addio a qualcuno a qualcosa per quel poco che siamo padroni degli imponderabili fili delle nostre esistenze.
Continuerò a scrivere sicuramente e quando questo accadrà, quando saprò di nuovo cosa voglio dire e perché, sarete i primi/le prime a cui lo farò sapere.
Per il resto ringrazio tutti quelli che sono bazzicati su queste pagine. 
A chi ha lasciato un commento, a chi si è limitato a leggere semplicemente, a chi è diventato un amico, un’amica, a chi mi ha detto la sua, a chi ha fatto diventare questo blog vita e suo malgrado ci è finito dentro.


frà


domenica, novembre 09, 2008

spiragli

Sono quelli che vedo aprirsi in questi giorni.

Deboli, luminosi, fragilissimi spiragli tra una cascata di pensieri e l'altra.
Dopo essere precipitata a terra ricostruisco piano, con calma, i miei confini, i miei desideri, la mia rabbia.

Domani c'è sciopero dei mezzi e immagino che in molti siano incazzati.
Tranne me. Il pensiero di restare a casa mi riempie tutta di uno strano calore, come la possibilità di qualche ora in più senza correre da una parte all'altra, rimanendo esattamente dove sono.

Andai nei boschi perché desidervao vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insgenarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; se si fosse rivelata meschina, volevo trarne tutta la genuina meschinità, e mostrarne al mondo la bassezza; se invece fosse apparsa sublime, volevo conoscerla con l’esperienza, e poterne dare un vero ragguaglio nella mia prossima digressione” 
(sì, è sempre Thoreau)

martedì, novembre 04, 2008

semaineprochaine

Il Lunedì sono stanca, mi vesto con i vestiti sbagliati e mi sento fuori posto tutto il giorno, piove e la gente si urta con gli ombrelli, i fogli di giornali imbevuti d'acqua tappezzano gli scalini della metropolitana. La stazione è frettolosa come sempre, carica di un desiderio collettivo di andarsene o di arrivare il più in fretta possibile.

Il Martedì piove ancora, ho miliardi di fotocopie da fare, cerco di nascondermi dietro la pashmina indaco e a non pensare a niente, per non perdere il treno batto il record olimpionico di Bolt, salgo sul regionale bisognosa di una maschera d'ossigeno, dentro è così caldo che alcuni passeggeri hanno chiaramente perso i sensi e giacciono riversi sulle poltroncine.
Il Mercoledì mi sveglio senza saperlo, non sono cosciente di nulla che accada prima delle otto e mezza quando mi ritrovo in una classe vociante a suggerire alla gente come si scrive Poitiers o Orleans e a non sentirmi assolutamente fiera di ciò che mi accade intorno. Mangio l'insalata di farro nel negozio dove tutti si chiamano coi diminutivi e io non conosco nessuno, la mangio in piedi perché due tizie bionde tinte non spostano le loro enormi borse firmate dal tavolo neanche quando le imploro con lo sguardo. Maledico la mia educazione, sempre più.
Il Giovedì è di nuovo così presto che il mondo non c'è o meglio c'è solo pioggia, l'unico rumore che si sente in tutta la città, una scrosciante rassicurante pioggia monsonica che mi culla mentre dormo sul treno ascoltando l'ultima playlist con il libro di sociologia sulle ginocchia.
Attraverso il solito sciame di aereoplanini elettronici e mi stipo in dieci centimetri cubi nella metro, ma tanto tutto il mondo scende a Cadorna come al solito e basta una fermata per far alzare l'inflazione degli ombrellini da 3 euro a 5.
Il Venerdì dovrei studiare e invece trascorro buona parte della giornata a fingere di riacquistare le forze. Cerco di defibrillarmi con una doccia fredda, mi sdraio sul divano promettendo a me stessa che ci starò solo cinque minuti e invece mi risveglio dopo un paio d'ore. La sera esco e prima delle dieci e mezza sono uno zombie privo di qualsiasi energia, mi sento le tare appese alle palpebre, mi vengono i capillari rossi come willy il coyote.
Il Sabato studio qualcosa, esco con gli amici, suono una chitarra senza mi, bevo la cioccolata con la panna, assaggio il chianti, e penso che questo inverno è troppo caldo, che vorrei del freddo vero, la sensazione di cacciare la faccia nel colletto del cappotto per proteggersi dal vento, i guanti, la pelle che punge.
La Domenica poi, è quasi lunedì.

mercoledì, ottobre 29, 2008

appello

Non so se sia un caso.Fatto sta che in quest’ultimo periodo (che poi sono giorni, settimane e mesi) i miei blog languono. 
I blog delle persone che leggo di più, quelli che sostituiscono il mio infotainment e mi divertono o mi fanno riflettere con cose scritte bene, intelligenti, condivise per la più parte. 
E’ una lettura che mi manca, ve lo devo confessare, e mai tanto come in quest’ultimo periodo.
Anch’io ho forte la tentazione di non scrivere più niente. 
E per forte intendo che ogni tanto apro la pagina di blogger e penso, fanculo, chiudo tutto e chi si è visto si è visto. Scrivere è doloroso, quasi sempre, è quasi sempre un mettersi a nudo e un quasi sempre porsi di fronte a qualcosa che stava meglio sepolto in una non precisata parte dell’inconscio.
Eppure è ancora più forte la mia voglia di scrivere. 
Non so come e non bene perché capiti ma succede sempre che dopo qualche battuta sullo schermo del computer o qualche riga sulla moleskine mi sembra di stare meglio, di essere riuscita a travasare un’ingombrante parte di me stessa momentaneamente altrove.
Tutto questo per dirvi che vorrei avere ancora il privilegio di leggervi tutti/e.
Di qualunque cosa discutiate, politica, pippe mentali, botanica, cucina etnica. 
L’importante è sapere che c’è qualcuno da qualche parte che come me “travasa” una parte di se stesso. 
Sapere che le gabbie non sono ancora tutte chiuse a chiave, che le persone non sono ancora state completamente mangiate dal resto lavoro/scazzi/ingestibilità dell’esistenza.

Questo blog ne ha a sufficienza

In virtù di questo
forse non ci resta che questo.

Miseria, miseria, miseria.

venerdì, ottobre 24, 2008

Carissimi/e.

I fatti degli ultimi giorni, sì stiamo parlando di quei fatti, mi lasciano senza parole. 
Non perché non abbia un'opinione, certo che ne ho una, ma il problema è che mi fa soffrire. 
Se ci penso mi sento le budella contorte. 
Se penso a cose come la mancata integrazione, il razzismo, i soldi a tutti i costi, la corruzione, la furbizia, il raggiro, lo sfruttamento, la maleducazione, il precariato, l'ignoranza.
Se penso che ancora non capisco perché le notizie parlino sempre (a destra e a sinistra) di un cinese, un marocchino, un albanese, un rumeno come se queste persone non avessero un nome e un cognome. 
Se penso alla scuola come l'ho vissuta io, a tutti i ragazzini/ragazzine che vivono la loro infanzia in totale solitudine perché i genitori sono in fabbrica dal mattino alla sera.
Se penso alle lezioni della mia Grande Ricca Università dove la gente finita la lezione butta tutto per terra, fazzoletti, bric di succo, giornali, scontrini, biglietti del treno, dove ti prendono a spallate senza chiedere scusa, dove non ci si saluta mai a meno che non si voglia qualcosa in cambio.
Se penso che ieri al tg5 consigliavano di fare yoga per combattere lo stress quotidiano e avere una vita migliore. Yoga, c***o.
Sono tutte cose che mi stanno fare male nel profondo, che mi fanno scrocchiare le ossa della spalla destra da giugno a questa parte, mi fanno svegliare alle quattro del mattino, mi fanno smettere di guardare la televisione, di leggere i giornali.
Sono stufa di questo paese, posso scriverlo? 
Credo sia il punto.
Ci sono giorni in cui mi ritrovo a buttarmi con passione nello studio di cose sociologiche o filosofiche o altro, sentendo che questo cambierà il mondo o almeno cambierà il mio mondo, mi aiuterà a resistere, mi aiuterà a rendermi conto sempre di quello che succede.
E giorni in cui vorrei non sapere niente di niente, vivere di totale inconsapevolezza, immergermi completamente in una qualche superficialità, per provare l'ebbrezza di sentirmi parte di un tutto sociale e non la solita briciola di colore sbagliato.
Non mi riconosco negli ometti bassi e pelati, né nelle donnine con la messa in piega fresca di parrucchiere che in questi giorni rilasciano dichiarazioni inquietanti come se nulla fosse, come se nessuno fosse più in grado di capire che ci stanno fregando.
Ma non mi riconosco nemmeno in quelli che la mattina presto mi riempiono di volantini sul marxismo-leninismo, rispolverano le magliette del che-guevara e sono semplicemente contro, senza avere un'idea propria, qualcosa in cui credere fortemente e positivamente.
Mi rendo conto che questo atteggiamento sia sbagliato, pessimista, cinico, perché in fondo nemmeno io propongo niente di nuovo.
E' che per il momento va così, davvero.
Sono stanca, stufa, vorrei una corazza di gomma da indossare tutti i giorni per farci rimbalzare contro i pensieri cattivi.

giovedì, ottobre 23, 2008

no comment



No comment

domenica, ottobre 19, 2008

Autumn took my life

Ad un certo punto dell'autunno.

Quasi alla fine di ottobre, ad esempio.
Un sentiero ricoperto di foglie secche e castagne, da affondarci i piedi.
Le frittelle alle mele, gonfie, con lo zucchero a velo sopra. 
La gente cammina, passa, va. 
Nessuno urla ed è meraviglioso. 
Il sole è arancione come il the quando ci spremi il limone al punto giusto.
Vorrei avere una casa con un pontile o con una veranda, in alternativa.
Sedermi lì sul far della sera, guardare le cose che aspettano il buio, ascoltare il rumore di tante piccolissime voci che si fanno sempre più sottili.


mercoledì, ottobre 15, 2008

farewell flower

Sul treno come al solito.

E’decisamente tardi, si capisce da come i pendolari strascicano piedi e bagagli sui binari.

Io sono arrivata un quarto d’ora prima e mi sono seppellita nella mia zozza poltroncina. 

Prima di sprofondare in un universo parallelo e musicale mi perdo a fissare l’architettura della stazione centrale, l’enorme volta di metallo che mi dà l’idea di un grande addio, un abbraccio arrugginito alle persone che fuggono via da milano, come se capisse cosa vuol dire vederla tutti i giorni e ci soffrisse un po’, volesse rimediare alla situazione.

Arriva una vecchia amica che ringrazio il cielo sia lì perchè altrimenti dovrei tentare di tenermi sveglia con i soliti sotterfugi del tipo:


immaginare cosa pensano le altre persone nello scompartimento

immaginare la mia vita raccontata da una voce fuori campo

immaginare video per la canzone che sto ascoltando

immaginare cosa sarà prendere il treno quando farà freddo


Iniziamo una piacevole conversazione dai toni leggeri, del resto sono vestita con la felpa e le scarpe da fricchettona, quelle maledette etnies che tanto avevo voluto e che tanto male ai piedi mi hanno causato prima di diventare il mio scudo contro la pioggia e lo zozzume delle strade urbane. 

Qualche minuto dopo si aggiunge a noi una sua conoscente che non mi pare di aver mai visto prima. 

Parlano di una ragazza che dopo essersi lasciata con il suo ragazzo, ora vive una serie di vicissitudini sentimentali. 

Cado in un gradevole torpore, quello in cui ho trovato una valida alternativa al sonno profondo: ascolto i loro discorsi e mi limito ad annuire o sorridere piena di gratitudine per la loro presenza lì e ora.

Poi a un certo punto mi rendo conto che conosco entrambi i protagonisti della vicenda.

A quanto pare quando si dice che il mondo è piccolo non si tiene conto del fatto che i treni lo sono di più. 


Se esistesse una macchina del tempo credo che mi piacerebbe incontrarmi otto anni fa per ricordare come la pensavo allora. Mi sono venute in mente due cose.

Quarto anno delle superiori sono seduta sulla scala anticendio nell’intervallo, c’è il sole, ho i capelli corti, sono inspiegabilmente felice.

Maggio o giugno di quest’anno, sono in treno, piove e il finestrino sporco di spray è pieno di gocce che lo percorrono in diagonale perfetta, penso a tutte le persone a cui vorrei chiedere scusa.

Così tra una cosa e l’altra arrivo a Seattle, scendiamo dal treno, ci salutiamo, io mi avvio verso casa lungo il percorso stabilito, porta scorrevole della stazione, virata a destra, camminare fino alla stazione dei pullmann e infilare la via. 

Fa un caldo strano per ottobre, i lampioni sono gialli come ad agosto.

savianoroberto

http://www.robertosaviano.it/documenti/9652


Ne parlavo l'altro giorno con mia madre, in una di quelle lunghe discussioni dopo cena, quando la stanchezza sommata a una tazza di the mi permette di dar sfogo a tutto il sgomento nei confronti del paese Italia.
Parlavamo di Gomorra (uno di quei libri che leggi e non puoi fare a meno di parlarne per anni, ti senti in dovere di) e parlavamo di Roberto Saviano appunto e io dicevo, mannaggia lui è eroe alla seconda, perché è giovane (28 anni capite, tre più della sottoscritta) e gli hanno rubato la vita da sotto i piedi, la possibilità di avere affetti, amici, amori, famiglia, di alzarsi la mattina, gli hanno rubato la possibilità di pensare che, nonostante tutto questo granschifo intorno, c'è sempre qualcuno con cui condividerlo e sopportare meglio la batosta.
Questo senza nulla togliere agli eroi di una certa età, sia ben chiaro.
Solo che uno dice, mica è tutta 'sta gran cosa uscire a farsi una birra al pub, affittare un film e guardarlo insieme agli amici, farsi una passeggiata per negozi, andare a vedere un concerto. 
Ci sono cose nella vita che sono più importanti.
Poi però prendete un ragazzo di 28 anni e toglietegli la spensieratezza, la normalità.
Toglietegli la libertà di avere ventotto anni, lasciatelo solo con la compagnia della sua scorta, quegli "angeli custodi" che rischiano la vita per proteggerlo e che però hanno una famiglia, hanno almeno un paio di occhi da guardare e a cui chiedere spiegazioni, conforto, coraggio.
Tutto questo perché? Se lo chiede anche lui, giustamente, si domanda per quale motivo deve vivere così, perché, in fondo, ha scritto solo un libro, un libro che parla della camorra e racconta quelle notizie che uno si aspetterebbe di ricevere da un telegiornale o di leggere su un quotidiano.
Roberto Saviano si chiede cos'ha fatto di male. Ed è incazzato.
Perchè non se lo merita, non si merita un paese che gli dedica un paio di articoli ogni tanto e per il resto del tempo lo lascia solo coi suoi "angeli custodi" a tirare di boxe e far passare le giornate come se in carcere ci fosse lui.
Che cerca di farlo passare come uno che, in fondo, si è fatto i soldi ed è pure andato a Cannes quando in Italia c'è chi fa soldi truffando le banche, ammazzando persone, grattuggiando formaggi ammuffiti e spacciandoli per deliziose ghiottonerie gastronomiche.
Il nostro paese vive oggi paradossi incredibili come fossero solo inquietanti normalità e l'equazione buona azione= plauso + premio non vale più, anzi, viene paradossalmente considerata dimostrazione di poca scaltrezza.
A morte l'imperativo categorico, viva la via del ciò che fa più comodo.
Quindi io mi sento di chiedere scusa a Roberto Saviano. 
Non a nome di altre persone ma a nome mio.
Per tutte le volte che giro la faccia da un'altra parte per non vedere. 
Per tutte le volte che non ho il coraggio di oppormi perché penso a quello che potrei perdere. 
Per le mie paure. 
Perché non sono un eroe.




lunedì, ottobre 13, 2008

worms

Domani non c’è lezione di istituzioni di ontologia.

E’ un corso che mi piace sebbene ci sia di mezzo Heidegger, quello di  “non è proprio essere, è più voglia di qualcosa di buono”.

Istituzioni è un corso che mi piace perché la scorsa volta si è parlato de La nausea di Sartre e mi è tornata in mente la mia cartellina di tecnica su cui avevo trascritto un pezzo tratto da quel magnifico di libro. 

La mia prof di matematica mi aveva chiesto se era la storia di uno che non stava tanto bene. La Nausea capite? 

La mia prof di matematica non era una persona che stimavo molto. Lei nemmeno. 

Vabbè.

Domani quindi salgo a Milano nella tarda mattinata e questo significa che forse riuscirò a sedermi durante il viaggio di andata. 

Oggi l’ho fatto in piedi fino a Magenta ascoltando Laura Veirs e seduta su un pezzo di freepress su uno scalino fino a Centrale ascoltando i Vampire Weekend, che sono fichissimi.

Ho quasi finito Walden, me ne sono tenuta due pagine per stasera, sicchè ho bisogno di pensieri intelligenti per dormire bene.

Oggi al ritorno in metropolitana sono caduta nel circolo vizioso dei germi. 

Ho iniziato a pensare a tutti i germi che avevo in testa, sulle mani, ai germi che correvano sui sedili del treno, su quelli della metro, sul fondo della mia borsa che appoggio ovunque, sul corrimano delle scale all’università. 

Mi sono sentita come Howard Hughes. 

Ho ripensato a quando l’anno scorso mi avevano gentilmente offerto alcuni campioni gratuiti di gel amuchina, in grado, a detta loro, di neutralizzare tutti i germi presenti sul palmo della mano in 15 secondi. 

Cioè roba che potevo passarmi sto fazzolettino sulle mani e operare al torace un altro pendolare in condizioni di assoluto igiene. Ho anche pensato di comprarmelo ma poi avevo solo quattro euro e cinque minuti per trottare verso il treno germinale che mi avrebbe ricondotto a casa tra la nebbia da riso e una pallida luna offuscata anch’essa dai germi.

E’ che non mi sento ancora pronta a portarmi dietro la t-shirt da appoggiare ai sedili del treno, mi fa tanto vecchia intollerante delle devianze del mondo.




"Pareva che non avesse compagni, nell'universo, e che si divertisse così, da solo; 

pareva anche che non avesse bisogno d'altra compagnia che il mattino e l'etere con cui giocava. [...] 

Padrone dell'aria, esso sembrava in relazione con la terra solo per un uovo covato qualche tempo fa nel crepaccio di una roccia scoscesa 

-o era forse il suo nido primitivo costruito nell'angolo di una nube, tessuto con gli ornamenti dell'arcobaleno e del sole al tramonto, e foderato del molle vapore dell'estate, preso dalla terra. 

Oggi il suo nido è su qualche nube scoscesa".


Walden -Vita nei boschi- pg 392

domenica, ottobre 12, 2008

saluti e baci/i nebulosi anni delle superiori

ovvero:

quando il sabato sera ti ritrovi per qualche minuto in mezzo a gente di un secolo fa e ti si chiude la pancia di scatto


Riguardo gli anni delle superiori, periodo che molti indicano nella loro esistenza come età aurea di felicità a manetta e grandi gozzovigliamenti, io posso limitarmi a dire che nonostante tutto mi sono divertita. 

In quel nonostante si nascondono amicizie sbagliate, amori impossibili, struggimenti inutili per il mondo circostante, prolungato ascolto di creep dei radiohead, utilizzo di pantaloni militari, scarpe da ginnastica con spille da balia, frequentazione del liceo scientifico cittadino con annessi e connessi ecc. ecc.

Sebbene da allora sia cresciuta e abbia superato tutta una serie di cose per cui il mio cuore era solito cadere in pezzi, nonostante tutto, accade che, nei luoghi della movida notturna di seattle, circondata da quel panorama di individui che popolava i miei anni delle superiori (compagni, conoscenti, emeriti sconosciuti incrociati nei corridoi e nelle lunghe e ipnotiche vasche sul corso), lo stomaco mi si stringa in una ferrea morsa e improvvisamente mi ritrovi catapultata in quegli anni senza scudo e senza corazza, quando a tutti riusciva di leggere la mia diversità di prospettive senza che me ne accorgessi.

E’ una scemenza da adolescenti lo so, e anche un periodo troppo lungo che necessiterebbe di maggior punteggiatura.

Lo scrivo perché iersera ho interagito con un personaggio di quegli anni che dopo pochi secondi di scialba conversazione ha dato uno sguardo di disapprovazione alle mie scarpe senza tacco, ai miei normalissimi jeans, ha giudicato il mio rimmel un po' sbavato di fine serata, e mi ha congedato semplicemente voltando il suo drink in un'altra direzione.


In altre circostanze l'avrei sicuramente mandata a ca**re. 

Eppure ieri per qualche strana coincidenza cosmica mi sono ritrovata a pensare a quella vita lontana del liceo e a quel binario su cui sarei potuta saltare a piedi pari diventando più happy hour e meno impegnat-iva, emozionandomi per cose altre rispetto a ipotetici collegamenti tra Calvino e Thoreau.

In seconda battuta ho analizzato il fatto che all'università, seppur in un turbine di esseri bipedi lontani da me anni luce, mi pare di indossare un'armatura scintillante di pensieri, letture, sogni, canzoni e storie che impedisce ogni colpo basso, ogni sguardo cattivo e mi fa andare avanti a testa alta.

A contatto con la gente di un secolo fa, però, quest'armatura sembra sgretolarsi e mi sento solo una con le scarpe sbagliate e la cordialità fuori luogo, come se stessi partecipando a una grande festa dove tutti possono fare benissimo a meno della mia presenza, sei solo una persona in più, quello che fai o come vivi non conta nulla.

Gli anni delle superiori per me sono finiti da un pezzo, chiusi tra due parentesi quadre nette e quadrate, quasi tutti i legami e le coordinate cambiate per sempre. 

Non ci sono saluti e baci da regalare ma solo voglia di essere altrove, con gli amici di oggi, le risate di oggi, i vestiti di oggi e l'ultima corazza rimediata.


.




mercoledì, ottobre 08, 2008

Uomini col borsello

Come si sarà immaginato in questi giorni ero a Milano.

Uscivo col buio e con esso rincasavo, per cui non avevo forze materiali per aggiornare il blog.
Siccome oggi però sono uscita col buio e tornata con un minimo di luce eccomi qui a dire le mie impressioni su questi primi giorni della Nuova Grande Università.
E anche se nuova non è più (se il cielo vuole questo è davvero l'ultimo anno) sicuramente continua a essere estranea. 
Pertanto diventerà la Grande Estranea Università, in cui in questi giorni si aggirano miliardi di milioni di matricole griffate in un continuo catwalk che non si ferma mai nemmeno nella pausa pranzo. 
Certo, ho pensato che per un uomo non dev'essere pas mal l'insediamento di tutte queste belle gnocche ancheggianti a ogni angolo di cortile, in un tripudio di fard, cotonature, virtuosismi della piastra, borse giganti in abbinamento ai cellulari in abbinamento ai charms in abbinamento al ciottolato del chiostro.
Solo che io sono donna e, tolto il fatto che trovo alcune mises delle mie colleghe decisamente più adatte a una tangenziale che a una lezione di sociologia, gradirei se non altro vedere un uguale sfilata di magnifici uomini (simone non me ne avere, sto facendo uso di lampante ironia).
Invece nulla.
Porca l'oca se non è vero che gli uomini della G.E.U. hanno più borse di me. 
Borse, borse sì avete sentito bene. Non borselli esistenzialisti, borse militari, cartelle à la Sartre. 
Borse.
Di Gucci, di Vuitton, di Dior.
A volte anche di sbarluccicante vernice.
Roba che ammazza la virilità da Milano fino a Cologno, Bollate e alcuni comuni sotto Lecco.
My Gosh.
Il fronte docenti non se la passa meglio.
In due anni di frequenza è stata una vera e propria panoramica di maglioni a rombi da veri nerz, completi grigi, grigio topo, grigio scuro, abbinati a evidenti riporti bianchi come le nevi della Groenlandia, impermeabili da esibizionisti, pance prominenti, cravatte anni ottanta e scarpe col tacchetto alla Sarkozy.

Quindi lancerei una proposta al ministro della pubblica istruzione: oltre al grembiule, il maestro unico e quelle balle lì non si potrebbero avere anche studentesse con cosce coperte e docenti di migliore aspetto?
In attesa di una sua gentile risposta,
cordiali saluti

frà

mercoledì, ottobre 01, 2008

autoreferenzialità ma neanche troppo

Oggi camminavo per Seattle senza scopo alcuno se non quello di camminare e ascoltare musica. 

E’ una delle libertà che ho deciso di prendermi prima dell’inizio delle lezioni e della milanite e del pendolarismo.

Considerando che ieri l’ho passato a letto bloccata da un bastardissimo dolore alla cervicale, la settimana di libertà ha ancora quattro giorni e mezzo da offrirmi che ho intenzione di trascorrere nel miglior modo possibile ovvero da persona tranquilla

Mi rendo conto che pur avendo gli anni che ho trascorro la maggior parte delle mie giornate in ansia per qualcosa, un obiettivo da raggiungere, un problema da affrontare, una situazione che non va. 

Sempre costantemente di corsa, tesa come un elastico pronto a lanciarsi chissà dove. 

Oppure sono arrabbiata per come va il mondo e come vanno le cose. 

Per la sensazione di totale impotenza, di contare meno di zero nel grande gioco delle parti. Di non poter fare nulla per modificare gli eventi sul serio. 

E' difficile  dire cosa farò da grande (difficile perché sono giunta alla conclusione che per me un lavoro valga l’altro, non ho mire da donna in carriera e non me ne frega nulla di una gratificante vita professionale. Mi basta un lavoro dignitoso che non sia truffare le persone o rubare soldi a qualcuno, per il resto quel che viene viene). 

E’ altrettanto difficile indovinare se riuscirò a trovare davvero quella gigantesca x verso cui direzionare finalmente il mio elastico e saltare. 

Oggi però camminando per Seattle come in una città trasparente, seguendo le note della musica mi sono sentita davvero tranquilla. Nonostante tutto ho ancora la capacità tirarmi fuori, di giudicare se è una cosa è giusta o sbagliata secondo il mio punto di vista, di avere ben chiaro quello che non vorrei essere mai.

Per quanto ti possano rubare pezzi, per quanto ti possano mettere in discussione, per quanto possano sempre finirti altrui bastoni tra le ruote, la coerenza, la convinzione di fare la cosa giusta sono doni importanti e non devono essere sottovalutati.

Mai.

giovedì, settembre 25, 2008

scioperoparole

In questi giorni sono di poche parole. Più affine alle immagini e alle suggestioni che a discorsi veri e propri, con capo e coda. Quindi se vi va trovate le mie foto qui: 

e quelle di Simo qui: 
http://www.flickr.com/photos/mrbubbaz
E a voi l'autunno che effetto fa?Io mi rispondo domani dopo l'esame.Notte!

lunedì, settembre 22, 2008

primogiornodiautunno08

Il primo giorno d'autunno. 

L'esame si avvicina ma io ho ancora voglia di sentirmi leggera. 
Così Simone propone una gita fotografica  in cui senza parlare ci si perde nell'osservazione delle risaie dorate e delle nuvole enormi, lente, velieri nel cielo d'autunno. 
Tra i campi gli unici rumori sono quelli delle mosche e delle rane che saltano da un fosso all'altro.La terra sotto i piedi è secca e percorsa da impercettibili ferite di ruote da trattore.
Periodi difficilissimi arriveranno. 
Arriveranno i regionali, la metropolitana, le code per comprare i libri, il dover trascinare le scarpe da un posto all'altro. 
Oggi però è il primo giorno d'autunno, fa caldo ma nell'aria c'è quella punta frizzantina che racconta di foglie colorate e primi maglioni appoggiati sulle spalle la sera.
Mangiamo l'ultima granita sul viale mentre il sole scompare dietro i tetti delle case e si alza un po' di freddo.
Se avessi una lampada da strofinare esprimerei il desiderio di partire subito e andare a vedere com'è l'autunno in giro per il mondo e cos'altro ha da raccontare.

mercoledì, settembre 17, 2008

Lost

Sono senza internet, senza telefono, senza soldi nel cellulare e non ho la più pallida idea di come farò a consegnare il mio piano di studi entro domani alle 11.30, impedire che mi facciano dare un esame in più, sopravvivere a milano, organizzare una festa di compleanno in maschera entro sabato, ripassare tutto entro la prossima settimana, trovare i soldi per fare il biglietto del treno, spiegare a giulio che le mie dita sulla tastiera non sono accattivanti prede.

Al momento va così, speriamo che la ruota giri.
Incrocini.

mercoledì, settembre 10, 2008

Analisi del periodo

In questo periodo ogni parola mi sembra importante.
Questo periodo è quello che ti sfugge da sotto i piedi se non ci fai attenzione.
In questo periodo vorrei ascoltare musica ma non so quale e quindi tendo l'orecchio al cantiere appena sotto la mia stanza.
Questo periodo è quello in cui devo darmi una mossa. A studiare. A vivere. Tutto.
In questo periodo sogno la mia vita a episodi come se il mio inconscio stesse cercando di farne un telefilm.
Questo periodo è quello in cui vorrei riallacciare qualche rapporto e telefonare e chiedere scusa.
In questo periodo partirei volentieri per un posto tipo la Bretagna.
Questo periodo odora di umido e nuvole e tramonti in slow motion.
In questo periodo sto pensando se tagliarmi o meno i capelli. Seriamente.
Questo periodo è quello in cui probabilmente finirò di leggere Tom Jones senza avere tempo di cominciare a leggere qualcos'altro.
In questo periodo ci sono compleanni, regali da trovare, torte da preparare.
Questo periodo è quello che tutti chiamano settembre.
E ogni anno mi lascia sospesa su un filo altissimo a mille metri di altezza e non so se andare avanti o indietro.

The moment has come to face the truth
I'm wide awake, and so are you
Do you have a clue what this is? (I don't know)
Are you everything that I miss? (I don't hope so)
We'll just have to wait and see (Wait, and see)
If things go right we're meant to be

-Modern Nature- Sondre Lerche



mercoledì, settembre 03, 2008

Comeback cupcakes (le tortine del ritorno)

Mercoledì pomeriggio.
Il tempo si mette al brutto e il mio raffreddore da ritorno spara le ultime cartucce privandomi dell'udito e dell'olfatto. 
Le fotocopie per l'esame anziché diminuire paiono moltiplicarsi. 
Forse è questione di prospettive e di suggestioni personali, ieri mentre mi trascinavo a casa con un paio di pizze da asporto mi è sembrato di sentire rumo
re di gabbiani nel cielo.
Sono qui ma non sono qui, sono qui ma vorrei essere altrove. 
Non tanto per l'essere in vacanza in sé, quanto per l'essere altr-ove, in un dove diverso da questa Seattle ripopolatasi improvvisamente di ragazze in hotpants e uomini lampadati. 
Vorrei un pianeta piccolo fatto su misura.
E così, come tutte le volte in cui mi sento piena di nodi che si attorcigliano come i serpenti sotto i piedi di Indiana Jones mi metto ai fornelli.
Zitta zitta, con i miei appunti, le mie ciotole, la mia pesa scassata e Giulio che infila le zampe nello zucchero a velo.
Misuro, mescolo, centrifugo, cuocio. 
Fuori si scatena un temporale violentissimo.
Ma io sono nel mio piccolo pianeta fatto di vaniglia e pirottini e zucchero a velo. 
Alla fine del mio operato ho prodotto dei cupcakes alla vaniglia con glassa al limone, altresì ribattezzati "le tortine del ritorno" perché spero di guarire dalla sindrome del ritorno, perché il cibo è qualcosa che dà sempre soddisfazione e perché a volte per sentirsi a casa, non è importante essere in un posto piuttosto che in un altro, ma scendere a patti con noi stessi.
E non c'è niente di meglio per corrompere la propria volontà che un dolcetto esageratamente ipercalorico.

P.s. Grazie a Enzo per la cartolina piena di pecore pelose....subito piazzata sul muro di fronte la scrivania.

giovedì, agosto 28, 2008

Ricominciamo?

Mi sono rimessa sui libri.

Senza slancio, senza grinta, con gli occhi mollemente appoggiati ai deliri del materiale per il prossimo esame. 
Non sto scrivendo quasi nulla perché se scrivo penso, se penso mi preoccupo e se mi preoccupo mi viene lo stomaco a mattone. Quindi preferisco trascorrere le ore della giornata in attività che mi permettano di mantenere una soglia di consapevolezza minima tipo suonare la chitarra, guardare soap opera tedesche, bere caffè, lavarmi i capelli.
La televisione è l'ideale per spegnere il cervello.
E se da un lato mi rendo conto che non è buona cosa tenersi spenti e meglio sarebbe uscire a fare una passeggiata o studiare qualcosa di intelligente o dedicarsi a un hobby tipo l'uncinetto, i biscotti, le ceramiche, d'altro canto so per certo che presto arriverà l'autunno dei regionali e rimpiangerò con tutto il cuore questi momenti di dolcissimo nulla in cui abbandonare la propria mente e il proprio corpo.
Sarà che la fine di agosto non è ancora settembre con i suoi splendidi tramonti lisergici, ma solo la fine dell'estate, l'abbronzatura che viene via sotto la doccia e non c'è nivea che tenga.

 

venerdì, agosto 22, 2008

Quando, quando, quando

Quando avresti da preparare un esame ma ti limiti a circondarti di libri aperti cui non rivolgi nemmeno uno sguardo.

Quando un torcicollo bastardo ti colpisce prima a destra, poi a sinistra, poi al centro e ti ritrovi alle tre di notte a cercare rimedi omeopatici su internet.
Quando l'abbronzatura se ne va dalla tua fronte creandoti inestetici tatuaggi maori.
Quando nel tentativo di scaldare un cencio dentro al microonde quasi dai fuoco alla casa (sì lo so che non si fa, ma volevo fare in fretta).
Quando tua madre ti racconta che in un mobilificio vendevano troni come quelli dei programmi della De Filippi.
Quando calienta il sol là in quella playa in cui non sei più.

La crisi di rigetto volge comunque al termine. 
Sebbene il maledetto obtorto collo abbia frenato i miei notevoli progressi con la chitarra (stavo imparando everybody hurts per la gioia dei vicini e simone ha cercato di mostrarmi il barré ma per il momento le mie dita non vogliono saperne) i miei chakra si stanno allineando con quest'atmosfera di autunno e lentezza che già permea la bassa.
Nonostante faccia ancora abbastanza caldo gli abitanti di Seattle già si aggirano con bomber, spolverini e maglioncini intorno al collo, anche alle tre di pomeriggio. 
Certo il rovescio della medaglia sono io che con la mia voglia fuori tempo massimo di canottiere e pantaloncini ho rischiato di restare bloccata a letto strafatta di voltaren. 
Ma, dicevo, Seattle di contro è pronta per l'autunno, cadono le prime foglie, il cielo ha assunto un uniforme color grigio, il popolo si prepara alla stagione delle sagre danzanti e mangianti.
Ho voglia di dolci colline monferrine e che arrivi presto il 29.
Perché esce Kung Fu Panda. 

domenica, agosto 17, 2008

Diario disordinato di un'estate strampalata. Parte I^ e forse unica



La Toscana ha davvero qualcosa di diverso. 

Prima di tutto la gente sembra vivere la propria vita con una tranquillità d’animo difficile da trovare al nord. 

Va in spiaggia col copricostume del mercato pure se ha la porche, ha le borse frigo con i fiorelloni giganti e il palmare, fa kite surf, ha le spiagge per i cani, porta i bambini al miniclub della piscina e non si preoccupa.


I toscani sono estremamente spiritosi e anche perennemente incazzati tra loro per diatribe storiche perse nei tempi dei tempi. E questi non può che renderli persone apprezzabili. 

Scrivono murales boccacceschi o romantici, vanno in spiaggia camminando per chilometri dentro le pinete, parlano strascicati come se qualsiasi frase costasse fatica e quindi dovesse essere soppesata il giusto.


La Maremma è bellissima. All’inizio quando ci arrivi non lo sai. Ma appena cala la notte e dietro il campeggio ti accorgi che non c’è niente per chilometri e chilometri ma sopra la tua testa puoi vedere la via lattea come in una puntata di superquark, inizi a indovinare perché i ricconi snob e chic si sono fatti la villa lì, nascosta dagli alberi.


In Maremma è pieno di sagre. Ogni paese ne organizza circa millecinquecento. In una settimana puoi assaggiare acquacotta, cacciucco, tagliatelle al cinghiale, panzanelle, e goderti i vecchietti che ballano le danze sexy caraibiche e le orcheste che ci danno dentro di bestia.


In Toscana ho fatto dei sogni stranissimi. Ecco questa non è un’informazione di tipo turistico però sono convinta di avere fatto questi sogni proprio perché ero in Toscana. La sera mi addormentavo in un coro di cicale e buffi uccelli notturni e calavo in profonde parti del mio incoscio tirando fuori facce, episodi del passato, allegorie da brivido. La Toscana aiuta l’autopsicanalisi.


In Toscana ho letto Farenheit. Di prima battuta non c’ho capito niente. Però ero in spiaggia e avevo abbozzato solo un timido tentativo intellettuale comprendendo fin da subito che l’equazione estate=stand by cerebrale era valida anche per quest’anno. Quindi sono andata a giocare a racchettoni con mia sorella. Poi siccome c’è stato un giorno in cui mi ero ustionata di brutto e sembravo l’uomo torcia degli x man e dovevo restare fissa sotto l’ombrellone ho ricominciato farenheit e l’ho finito dopo un’oretta. Splendido e triste anche. 


Ho deciso che all’alba delle mie venticinque lune imparerò a suonare la chitarra. Al momento so strimpellare soltanto la canzone del sole e a horse with no name degli america che ha due accordi ma permette comunque di iniziare a tirarsela un pochino. Ora però devo comprare una chitarra. Quindi devo trovarmi un lavoro. Pensavo di mettere un annuncio sul giornale del tipo “giovane automunita esperienza all’estero bilingue laureata triennale cerca lavoro per comprarsi chitarra”.


In Toscana ho visto “Il Giardino dei Tarocchi” di Niki de Saint Phalle e mi sono commossa come al solito per la mia stendhalite congenita. Fortuna che non se è accorto nessuno perché avevo gli occhiali da sole.


Sono stata pure alle vaschette di Saturnia. Che non sono le terme che immagino a pagamento, a foggia di piscina, richiedenti una cuffia per doccia. Le vaschette sono vasche nella roccia naturali, all’aperto, dove sgorga acqua a 37 gradi e mezzo ed è blu ed è gratis. Siamo rimasti lì immersi fino alla punta dei capelli a guardare la luna e le stelle. Wow.


Ho trascorso ben diciotto giorni separata dal mio fedele felino Giulio e mai assenza è pesata così tanto, quando finalmente l’ho riavuto tra i piedi è stato tutto un bacino, uno struscino, una carezzina, un pezzettino di pollo. E’ il mio primo gatto ed è viziato in maniera intollerabile, me ne rendo conto.


Livorno non mi è piaciuta granché, forse perché mi aspettavo altro, qualcosa tipo Genova, o forse perché al mercatino americano non ho trovato il coraggio di chiedere quanto costavano i trucchi per il camouflage.


Quest'estate mi sono dedicata ad attività under 10. 

Ho fatto i castelli di sabbia, mi sono fatta produrre una finta coda da sirena sempre di sabbia, ho sgonfiato un materassino, ho raccolto le conchiglie coi buchini per una collana che non avrò mai tempo di fare.


Della Toscana mi mancherà praticamente tutto. 

Perché solo in vacanza ci si rende conto della fatica fatta nei giorni precedenti e si puntano i piedi contro la fatica che verrà. E anche perché ogni volta che sono al mare sento di essere al posto giusto, in pace con me stessa, a casa.


E poi, per la miseria. Sono a Vercelli da 24 ore fa un freddo boiardo, il meteo scandisce pioggia e temporali a volontà e quelli dell'università mi hanno intasato la posta di moduli per sganciare loro tantissimi soldi. Ha ragione mia madre quando dice che ad andare in ferie più a lungo saremmo tutti più buoni. 

Che ci pensino quelli lì del governo.

lunedì, luglio 28, 2008

Leaving Seattle

Ci sono periodi in cui il nostro corpo cerca di recuperare le energie in modi misteriosi. 

A me ad esempio succede di dormire tantissimo a qualsiasi ora del giorno e contemporaneamente non riuscire a scrivere pressoché nulla. 
Però, poiché mi faceva proprio brutto lasciare il blog così a metà, senza dire una parola, ho deciso di appuntare un ultimo breve aggiornamento prima delle vacanze.
Tra qualche giorno abbandonerò gli orizzonti lattiginosi dell'afa padana alla volta di paesaggi marini e cercherò di scrollarmi di dosso la polvere dell'ultimo mattonissimo anno universitario.
Detto questo auguro a tutti quelli che transitano da queste parti un'estate che si faccia ricordare con piacere e un po' di necessario struggimento.
Buone vacanze regà.


sabato, luglio 19, 2008

Something in the way "he" moves



mercoledì, luglio 16, 2008

This is the end, my old friend

Finito. 
Oggi esame n°12. 
Che è andato bene ma di cui non parlerò, perché richiederebbe un'altra lunga dissertazione su quanto siano ridicoli alcuni meccanismi universitari. 
L'anno accademico per me è finito, non ho più voglia di polemiche, né di treni, né di sveglie alle prime luci dell'alba, né di seppellirmi sotto un mare di appunti e fotocopie. 
Vero che al momento con le facoltà cerebrali prossime allo zero ancora non mi sento totalmente in vacanza. 
Però c'è stato quell'attimo sulla via del ritorno, mentre mi trascinavo nel tragitto stazione-casa che ho sentito una leggerissima brezza estiva sulla faccia. 
Che fosse estate? Chissà. 
Per completare il rituale dell'abbandono dell'impegno culturale ho in programma di andare a vendere al più presto tutti i libri studiati che reputo non facciano altro che infestare la mia scrivania e convertirli in danari da spendere nelle maniere più basse possibili, tipo per ingressi in piscina, o eleganti brunch all'aperto.
 
Tutti sappiamo che, vada come vada, tra una settimana mi lamenterò della mia nullafacenza.
Però promettete di fare finta di niente.
Io in cambio prometto a breve un post con un recuperato filo logico.
Incrocini.

lunedì, luglio 14, 2008

Indignatio!

Leggo Mimì e penso che ce l'hanno rubata sotto al naso.

Per ognuno è stato un pezzo che pensava piccolissimo e insignificante anche perché gli avevano raccontato che crescere è così, bisogna perdere un po' di pezzi per sostituirli con altri più adatti. 
Però non è stato difficile rendersi conto che ci hanno fregato, staccandoci pezzi di cui avremmo sentito una mancanza viscerale, ecco sì, proprio viscerale.
Ci hanno preso qualche grammo di dignità, qualche risata, briciole di spensieratezza, polvere di autoironia, bacche di orgoglio, grani di sicurezza.
In cambio ci hanno dato due semplicissime opzioni.
a) Scegliere il mucchio uniforme, incolore e insapore dei senza-più-pezzi, oppure 
b) remare affannosamente controcorrente insieme ad altri nostalgici-dei-pezzi-mancanti.
Pare ovvio che io mi senta membro della seconda categoria.
Pare ovvio anche perché succede che mi ritrovi a guardare laconicamente le sedicenni in canottiera e minigonna e ricordare di quell'età beata in cui si stava malissimo comunque, ma per dolori pieni di importanza o che almeno sembravano eroici, perché quello contro cui noi giovani-adolscenti-pieni-di-pezzi-pulsanti combattevano non era mai infelicità o malinconie passeggere ma L'Infelicità, La Malinconia. 

Il problema è che forse non siamo stati abbastanza attenti, ci deve essere stato un momento della Grande Fregatura, verso i diciotto, mentre eravamo intenti ad ascoltare i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, i Depeche Mode o qualche altro gruppo che rappresentasse La Rabbia e L'Inadeguatezza.
Il giorno dopo ci siamo svegliati come se nulla fosse, senza sapere che un solo giro di lancette ci aveva trasformato maleficamente in "precari".
Oddio, precari lo siamo sempre stati, se per precari intendiamo in punta di piedi su un filo ondeggiante che qualcuno chiama destino. 
Ma il fatto che la società abbia coniato addirittura un neologismo per definire la nostra generazione è stato come scoprire che Babbo non solo non esisteva più ma aveva anche venduto la sua immagine alla scuderia di Lele Mora.
Precari capite? Sarebbe stato molto meglio essere la generazione mtv, la generazione x, la generazione sms. 
Se non altro generazione non è un termine tanto malvagio, pare quasi si dica "con questi è andata così ma poi con la prossima generazione sarà diverso".
Invece lì "precari", affibbiato in modo codardo ad libitum.
Gente che non trova lavoro e se ne trova uno non è detto che riesca a conservarlo. 
Bel modo di merda di definire qualcuno, scusate, se è permesso dirlo.
E poi così precari, senza nemmeno una parola per tentare di descrivere il peso esistenziale che possono sentirsi sulla testa giovani menti che, mentre il sistema si rovesciava come un calzino e cambiava tutte le regole del gioco, ancora ce la stavano mettendo tutta a impegnarsi in qualcosa, studiare con passione, inseguire obiettivi, coltivare la propria onestà intellettuale.
Oggi l'onestà intellettuale è una barzelletta di quelle che non fanno neanche tanto ridere.
Posso fare un esempio? Posso fare un esempio? 
Faccio un esempio.
Sabato sera incontro ex-conoscente (amica a questo punto non direi) fuori dall'entrata di un cinema. 
La vedo e la saluto (scusate se sottolineo la cosa ma qui a Seattle salutarsi è gesto di pochi sprovveduti). E pure mi avvicino per scambiare due parole (intrepida!). 
Così mentre mi informo gentilmente su che cosa stia facendo della sua vita (stando attenta a non fissare i suoi stivali di pelle bianca per non essere maleducata) mi accorgo che mi sta guardando con compassione. Eh sì, proprio compassione. 
E non solo. Allo sguardo compassionevole si accompagnano anche poche parole di compassione, del genere "sì ti parlo ma con quella giusta distanza che si deve sentire tra noi, perché io sono uscita vincente dagli anni di incipiente consumismo mentre tu l'hai sofferto e basta". (non penso che abbia utilizzato l'aggettivo "incipiente" in nessuna delle sue rappresentazioni mentali, comunque).
Certo lei vestita di hot pants e stivali di pelle bianca, con la piega fresca di parrucchiere, ha già un lavoro di aiuto in uno studio di fisioterapia, dopo aver studiato solo tre anni e manco tropoo assiduamente, e ieri è andata a farsi la lampada per avere la carnagione carbonifera e ha quei maledetti stivali di pelle bianca, già.
Io invece ho una carnagione stokeriana perché mercoledì devo dare il mio dodicesimo esame di quest'anno per cui ho dovuto leggere non meno di 4000 pagine, e anche se ho una media impressionante e un ottimo vocabolario italiano, la società corrente impersonata dalla donnina sbarluccicosa mi giudica sfigata.
Perché per onestà intellettuale non mi metto gli hotpants e gli stivali bianchi per andare a vedere un film alla multisala. Perché  (lo posso dire vero? lo posso dire vero?) mi sentirei un tantinello bagascia.
Ma nessuno racconta com'è il mondo dei nostalgici-dei-pezzi-mancanti, di cosa significa sentirsi terribilmente  donchisciotteschi in ogni situazione, scavare miliardi di tunnel nel profondità del proprio io per trovare un posto dove riuscire finalmente a nascondere quello che di più prezioso ci resta e incrociare le dita perché non lo trovi nessuno.
Finisce che ognuno combatte la sua battaglia in silenzio e ogni tanto ritrova in qualcun'altro lo sguardo e le parole di chi sa davvero cosa vuol dire tutto questo.
Quindi per finire due semplicissime cose:
1. mi scuso per aver utilizzato ben due termini di sporco dissenso all'interno di questo post
2. mimì courage!

Dopo di che, raccolto il cappello, il bastone e il coniglio mi congedo da voi e vado a svenire sul letto in attesa di essere svegliate dalle rimanenti dispense per il ripasso.
Fate sogni d'oro sparuti lettori.