mercoledì, ottobre 29, 2008

appello

Non so se sia un caso.Fatto sta che in quest’ultimo periodo (che poi sono giorni, settimane e mesi) i miei blog languono. 
I blog delle persone che leggo di più, quelli che sostituiscono il mio infotainment e mi divertono o mi fanno riflettere con cose scritte bene, intelligenti, condivise per la più parte. 
E’ una lettura che mi manca, ve lo devo confessare, e mai tanto come in quest’ultimo periodo.
Anch’io ho forte la tentazione di non scrivere più niente. 
E per forte intendo che ogni tanto apro la pagina di blogger e penso, fanculo, chiudo tutto e chi si è visto si è visto. Scrivere è doloroso, quasi sempre, è quasi sempre un mettersi a nudo e un quasi sempre porsi di fronte a qualcosa che stava meglio sepolto in una non precisata parte dell’inconscio.
Eppure è ancora più forte la mia voglia di scrivere. 
Non so come e non bene perché capiti ma succede sempre che dopo qualche battuta sullo schermo del computer o qualche riga sulla moleskine mi sembra di stare meglio, di essere riuscita a travasare un’ingombrante parte di me stessa momentaneamente altrove.
Tutto questo per dirvi che vorrei avere ancora il privilegio di leggervi tutti/e.
Di qualunque cosa discutiate, politica, pippe mentali, botanica, cucina etnica. 
L’importante è sapere che c’è qualcuno da qualche parte che come me “travasa” una parte di se stesso. 
Sapere che le gabbie non sono ancora tutte chiuse a chiave, che le persone non sono ancora state completamente mangiate dal resto lavoro/scazzi/ingestibilità dell’esistenza.

Questo blog ne ha a sufficienza

In virtù di questo
forse non ci resta che questo.

Miseria, miseria, miseria.

venerdì, ottobre 24, 2008

Carissimi/e.

I fatti degli ultimi giorni, sì stiamo parlando di quei fatti, mi lasciano senza parole. 
Non perché non abbia un'opinione, certo che ne ho una, ma il problema è che mi fa soffrire. 
Se ci penso mi sento le budella contorte. 
Se penso a cose come la mancata integrazione, il razzismo, i soldi a tutti i costi, la corruzione, la furbizia, il raggiro, lo sfruttamento, la maleducazione, il precariato, l'ignoranza.
Se penso che ancora non capisco perché le notizie parlino sempre (a destra e a sinistra) di un cinese, un marocchino, un albanese, un rumeno come se queste persone non avessero un nome e un cognome. 
Se penso alla scuola come l'ho vissuta io, a tutti i ragazzini/ragazzine che vivono la loro infanzia in totale solitudine perché i genitori sono in fabbrica dal mattino alla sera.
Se penso alle lezioni della mia Grande Ricca Università dove la gente finita la lezione butta tutto per terra, fazzoletti, bric di succo, giornali, scontrini, biglietti del treno, dove ti prendono a spallate senza chiedere scusa, dove non ci si saluta mai a meno che non si voglia qualcosa in cambio.
Se penso che ieri al tg5 consigliavano di fare yoga per combattere lo stress quotidiano e avere una vita migliore. Yoga, c***o.
Sono tutte cose che mi stanno fare male nel profondo, che mi fanno scrocchiare le ossa della spalla destra da giugno a questa parte, mi fanno svegliare alle quattro del mattino, mi fanno smettere di guardare la televisione, di leggere i giornali.
Sono stufa di questo paese, posso scriverlo? 
Credo sia il punto.
Ci sono giorni in cui mi ritrovo a buttarmi con passione nello studio di cose sociologiche o filosofiche o altro, sentendo che questo cambierà il mondo o almeno cambierà il mio mondo, mi aiuterà a resistere, mi aiuterà a rendermi conto sempre di quello che succede.
E giorni in cui vorrei non sapere niente di niente, vivere di totale inconsapevolezza, immergermi completamente in una qualche superficialità, per provare l'ebbrezza di sentirmi parte di un tutto sociale e non la solita briciola di colore sbagliato.
Non mi riconosco negli ometti bassi e pelati, né nelle donnine con la messa in piega fresca di parrucchiere che in questi giorni rilasciano dichiarazioni inquietanti come se nulla fosse, come se nessuno fosse più in grado di capire che ci stanno fregando.
Ma non mi riconosco nemmeno in quelli che la mattina presto mi riempiono di volantini sul marxismo-leninismo, rispolverano le magliette del che-guevara e sono semplicemente contro, senza avere un'idea propria, qualcosa in cui credere fortemente e positivamente.
Mi rendo conto che questo atteggiamento sia sbagliato, pessimista, cinico, perché in fondo nemmeno io propongo niente di nuovo.
E' che per il momento va così, davvero.
Sono stanca, stufa, vorrei una corazza di gomma da indossare tutti i giorni per farci rimbalzare contro i pensieri cattivi.

giovedì, ottobre 23, 2008

no comment



No comment

domenica, ottobre 19, 2008

Autumn took my life

Ad un certo punto dell'autunno.

Quasi alla fine di ottobre, ad esempio.
Un sentiero ricoperto di foglie secche e castagne, da affondarci i piedi.
Le frittelle alle mele, gonfie, con lo zucchero a velo sopra. 
La gente cammina, passa, va. 
Nessuno urla ed è meraviglioso. 
Il sole è arancione come il the quando ci spremi il limone al punto giusto.
Vorrei avere una casa con un pontile o con una veranda, in alternativa.
Sedermi lì sul far della sera, guardare le cose che aspettano il buio, ascoltare il rumore di tante piccolissime voci che si fanno sempre più sottili.


mercoledì, ottobre 15, 2008

farewell flower

Sul treno come al solito.

E’decisamente tardi, si capisce da come i pendolari strascicano piedi e bagagli sui binari.

Io sono arrivata un quarto d’ora prima e mi sono seppellita nella mia zozza poltroncina. 

Prima di sprofondare in un universo parallelo e musicale mi perdo a fissare l’architettura della stazione centrale, l’enorme volta di metallo che mi dà l’idea di un grande addio, un abbraccio arrugginito alle persone che fuggono via da milano, come se capisse cosa vuol dire vederla tutti i giorni e ci soffrisse un po’, volesse rimediare alla situazione.

Arriva una vecchia amica che ringrazio il cielo sia lì perchè altrimenti dovrei tentare di tenermi sveglia con i soliti sotterfugi del tipo:


immaginare cosa pensano le altre persone nello scompartimento

immaginare la mia vita raccontata da una voce fuori campo

immaginare video per la canzone che sto ascoltando

immaginare cosa sarà prendere il treno quando farà freddo


Iniziamo una piacevole conversazione dai toni leggeri, del resto sono vestita con la felpa e le scarpe da fricchettona, quelle maledette etnies che tanto avevo voluto e che tanto male ai piedi mi hanno causato prima di diventare il mio scudo contro la pioggia e lo zozzume delle strade urbane. 

Qualche minuto dopo si aggiunge a noi una sua conoscente che non mi pare di aver mai visto prima. 

Parlano di una ragazza che dopo essersi lasciata con il suo ragazzo, ora vive una serie di vicissitudini sentimentali. 

Cado in un gradevole torpore, quello in cui ho trovato una valida alternativa al sonno profondo: ascolto i loro discorsi e mi limito ad annuire o sorridere piena di gratitudine per la loro presenza lì e ora.

Poi a un certo punto mi rendo conto che conosco entrambi i protagonisti della vicenda.

A quanto pare quando si dice che il mondo è piccolo non si tiene conto del fatto che i treni lo sono di più. 


Se esistesse una macchina del tempo credo che mi piacerebbe incontrarmi otto anni fa per ricordare come la pensavo allora. Mi sono venute in mente due cose.

Quarto anno delle superiori sono seduta sulla scala anticendio nell’intervallo, c’è il sole, ho i capelli corti, sono inspiegabilmente felice.

Maggio o giugno di quest’anno, sono in treno, piove e il finestrino sporco di spray è pieno di gocce che lo percorrono in diagonale perfetta, penso a tutte le persone a cui vorrei chiedere scusa.

Così tra una cosa e l’altra arrivo a Seattle, scendiamo dal treno, ci salutiamo, io mi avvio verso casa lungo il percorso stabilito, porta scorrevole della stazione, virata a destra, camminare fino alla stazione dei pullmann e infilare la via. 

Fa un caldo strano per ottobre, i lampioni sono gialli come ad agosto.

savianoroberto

http://www.robertosaviano.it/documenti/9652


Ne parlavo l'altro giorno con mia madre, in una di quelle lunghe discussioni dopo cena, quando la stanchezza sommata a una tazza di the mi permette di dar sfogo a tutto il sgomento nei confronti del paese Italia.
Parlavamo di Gomorra (uno di quei libri che leggi e non puoi fare a meno di parlarne per anni, ti senti in dovere di) e parlavamo di Roberto Saviano appunto e io dicevo, mannaggia lui è eroe alla seconda, perché è giovane (28 anni capite, tre più della sottoscritta) e gli hanno rubato la vita da sotto i piedi, la possibilità di avere affetti, amici, amori, famiglia, di alzarsi la mattina, gli hanno rubato la possibilità di pensare che, nonostante tutto questo granschifo intorno, c'è sempre qualcuno con cui condividerlo e sopportare meglio la batosta.
Questo senza nulla togliere agli eroi di una certa età, sia ben chiaro.
Solo che uno dice, mica è tutta 'sta gran cosa uscire a farsi una birra al pub, affittare un film e guardarlo insieme agli amici, farsi una passeggiata per negozi, andare a vedere un concerto. 
Ci sono cose nella vita che sono più importanti.
Poi però prendete un ragazzo di 28 anni e toglietegli la spensieratezza, la normalità.
Toglietegli la libertà di avere ventotto anni, lasciatelo solo con la compagnia della sua scorta, quegli "angeli custodi" che rischiano la vita per proteggerlo e che però hanno una famiglia, hanno almeno un paio di occhi da guardare e a cui chiedere spiegazioni, conforto, coraggio.
Tutto questo perché? Se lo chiede anche lui, giustamente, si domanda per quale motivo deve vivere così, perché, in fondo, ha scritto solo un libro, un libro che parla della camorra e racconta quelle notizie che uno si aspetterebbe di ricevere da un telegiornale o di leggere su un quotidiano.
Roberto Saviano si chiede cos'ha fatto di male. Ed è incazzato.
Perchè non se lo merita, non si merita un paese che gli dedica un paio di articoli ogni tanto e per il resto del tempo lo lascia solo coi suoi "angeli custodi" a tirare di boxe e far passare le giornate come se in carcere ci fosse lui.
Che cerca di farlo passare come uno che, in fondo, si è fatto i soldi ed è pure andato a Cannes quando in Italia c'è chi fa soldi truffando le banche, ammazzando persone, grattuggiando formaggi ammuffiti e spacciandoli per deliziose ghiottonerie gastronomiche.
Il nostro paese vive oggi paradossi incredibili come fossero solo inquietanti normalità e l'equazione buona azione= plauso + premio non vale più, anzi, viene paradossalmente considerata dimostrazione di poca scaltrezza.
A morte l'imperativo categorico, viva la via del ciò che fa più comodo.
Quindi io mi sento di chiedere scusa a Roberto Saviano. 
Non a nome di altre persone ma a nome mio.
Per tutte le volte che giro la faccia da un'altra parte per non vedere. 
Per tutte le volte che non ho il coraggio di oppormi perché penso a quello che potrei perdere. 
Per le mie paure. 
Perché non sono un eroe.




lunedì, ottobre 13, 2008

worms

Domani non c’è lezione di istituzioni di ontologia.

E’ un corso che mi piace sebbene ci sia di mezzo Heidegger, quello di  “non è proprio essere, è più voglia di qualcosa di buono”.

Istituzioni è un corso che mi piace perché la scorsa volta si è parlato de La nausea di Sartre e mi è tornata in mente la mia cartellina di tecnica su cui avevo trascritto un pezzo tratto da quel magnifico di libro. 

La mia prof di matematica mi aveva chiesto se era la storia di uno che non stava tanto bene. La Nausea capite? 

La mia prof di matematica non era una persona che stimavo molto. Lei nemmeno. 

Vabbè.

Domani quindi salgo a Milano nella tarda mattinata e questo significa che forse riuscirò a sedermi durante il viaggio di andata. 

Oggi l’ho fatto in piedi fino a Magenta ascoltando Laura Veirs e seduta su un pezzo di freepress su uno scalino fino a Centrale ascoltando i Vampire Weekend, che sono fichissimi.

Ho quasi finito Walden, me ne sono tenuta due pagine per stasera, sicchè ho bisogno di pensieri intelligenti per dormire bene.

Oggi al ritorno in metropolitana sono caduta nel circolo vizioso dei germi. 

Ho iniziato a pensare a tutti i germi che avevo in testa, sulle mani, ai germi che correvano sui sedili del treno, su quelli della metro, sul fondo della mia borsa che appoggio ovunque, sul corrimano delle scale all’università. 

Mi sono sentita come Howard Hughes. 

Ho ripensato a quando l’anno scorso mi avevano gentilmente offerto alcuni campioni gratuiti di gel amuchina, in grado, a detta loro, di neutralizzare tutti i germi presenti sul palmo della mano in 15 secondi. 

Cioè roba che potevo passarmi sto fazzolettino sulle mani e operare al torace un altro pendolare in condizioni di assoluto igiene. Ho anche pensato di comprarmelo ma poi avevo solo quattro euro e cinque minuti per trottare verso il treno germinale che mi avrebbe ricondotto a casa tra la nebbia da riso e una pallida luna offuscata anch’essa dai germi.

E’ che non mi sento ancora pronta a portarmi dietro la t-shirt da appoggiare ai sedili del treno, mi fa tanto vecchia intollerante delle devianze del mondo.




"Pareva che non avesse compagni, nell'universo, e che si divertisse così, da solo; 

pareva anche che non avesse bisogno d'altra compagnia che il mattino e l'etere con cui giocava. [...] 

Padrone dell'aria, esso sembrava in relazione con la terra solo per un uovo covato qualche tempo fa nel crepaccio di una roccia scoscesa 

-o era forse il suo nido primitivo costruito nell'angolo di una nube, tessuto con gli ornamenti dell'arcobaleno e del sole al tramonto, e foderato del molle vapore dell'estate, preso dalla terra. 

Oggi il suo nido è su qualche nube scoscesa".


Walden -Vita nei boschi- pg 392

domenica, ottobre 12, 2008

saluti e baci/i nebulosi anni delle superiori

ovvero:

quando il sabato sera ti ritrovi per qualche minuto in mezzo a gente di un secolo fa e ti si chiude la pancia di scatto


Riguardo gli anni delle superiori, periodo che molti indicano nella loro esistenza come età aurea di felicità a manetta e grandi gozzovigliamenti, io posso limitarmi a dire che nonostante tutto mi sono divertita. 

In quel nonostante si nascondono amicizie sbagliate, amori impossibili, struggimenti inutili per il mondo circostante, prolungato ascolto di creep dei radiohead, utilizzo di pantaloni militari, scarpe da ginnastica con spille da balia, frequentazione del liceo scientifico cittadino con annessi e connessi ecc. ecc.

Sebbene da allora sia cresciuta e abbia superato tutta una serie di cose per cui il mio cuore era solito cadere in pezzi, nonostante tutto, accade che, nei luoghi della movida notturna di seattle, circondata da quel panorama di individui che popolava i miei anni delle superiori (compagni, conoscenti, emeriti sconosciuti incrociati nei corridoi e nelle lunghe e ipnotiche vasche sul corso), lo stomaco mi si stringa in una ferrea morsa e improvvisamente mi ritrovi catapultata in quegli anni senza scudo e senza corazza, quando a tutti riusciva di leggere la mia diversità di prospettive senza che me ne accorgessi.

E’ una scemenza da adolescenti lo so, e anche un periodo troppo lungo che necessiterebbe di maggior punteggiatura.

Lo scrivo perché iersera ho interagito con un personaggio di quegli anni che dopo pochi secondi di scialba conversazione ha dato uno sguardo di disapprovazione alle mie scarpe senza tacco, ai miei normalissimi jeans, ha giudicato il mio rimmel un po' sbavato di fine serata, e mi ha congedato semplicemente voltando il suo drink in un'altra direzione.


In altre circostanze l'avrei sicuramente mandata a ca**re. 

Eppure ieri per qualche strana coincidenza cosmica mi sono ritrovata a pensare a quella vita lontana del liceo e a quel binario su cui sarei potuta saltare a piedi pari diventando più happy hour e meno impegnat-iva, emozionandomi per cose altre rispetto a ipotetici collegamenti tra Calvino e Thoreau.

In seconda battuta ho analizzato il fatto che all'università, seppur in un turbine di esseri bipedi lontani da me anni luce, mi pare di indossare un'armatura scintillante di pensieri, letture, sogni, canzoni e storie che impedisce ogni colpo basso, ogni sguardo cattivo e mi fa andare avanti a testa alta.

A contatto con la gente di un secolo fa, però, quest'armatura sembra sgretolarsi e mi sento solo una con le scarpe sbagliate e la cordialità fuori luogo, come se stessi partecipando a una grande festa dove tutti possono fare benissimo a meno della mia presenza, sei solo una persona in più, quello che fai o come vivi non conta nulla.

Gli anni delle superiori per me sono finiti da un pezzo, chiusi tra due parentesi quadre nette e quadrate, quasi tutti i legami e le coordinate cambiate per sempre. 

Non ci sono saluti e baci da regalare ma solo voglia di essere altrove, con gli amici di oggi, le risate di oggi, i vestiti di oggi e l'ultima corazza rimediata.


.




mercoledì, ottobre 08, 2008

Uomini col borsello

Come si sarà immaginato in questi giorni ero a Milano.

Uscivo col buio e con esso rincasavo, per cui non avevo forze materiali per aggiornare il blog.
Siccome oggi però sono uscita col buio e tornata con un minimo di luce eccomi qui a dire le mie impressioni su questi primi giorni della Nuova Grande Università.
E anche se nuova non è più (se il cielo vuole questo è davvero l'ultimo anno) sicuramente continua a essere estranea. 
Pertanto diventerà la Grande Estranea Università, in cui in questi giorni si aggirano miliardi di milioni di matricole griffate in un continuo catwalk che non si ferma mai nemmeno nella pausa pranzo. 
Certo, ho pensato che per un uomo non dev'essere pas mal l'insediamento di tutte queste belle gnocche ancheggianti a ogni angolo di cortile, in un tripudio di fard, cotonature, virtuosismi della piastra, borse giganti in abbinamento ai cellulari in abbinamento ai charms in abbinamento al ciottolato del chiostro.
Solo che io sono donna e, tolto il fatto che trovo alcune mises delle mie colleghe decisamente più adatte a una tangenziale che a una lezione di sociologia, gradirei se non altro vedere un uguale sfilata di magnifici uomini (simone non me ne avere, sto facendo uso di lampante ironia).
Invece nulla.
Porca l'oca se non è vero che gli uomini della G.E.U. hanno più borse di me. 
Borse, borse sì avete sentito bene. Non borselli esistenzialisti, borse militari, cartelle à la Sartre. 
Borse.
Di Gucci, di Vuitton, di Dior.
A volte anche di sbarluccicante vernice.
Roba che ammazza la virilità da Milano fino a Cologno, Bollate e alcuni comuni sotto Lecco.
My Gosh.
Il fronte docenti non se la passa meglio.
In due anni di frequenza è stata una vera e propria panoramica di maglioni a rombi da veri nerz, completi grigi, grigio topo, grigio scuro, abbinati a evidenti riporti bianchi come le nevi della Groenlandia, impermeabili da esibizionisti, pance prominenti, cravatte anni ottanta e scarpe col tacchetto alla Sarkozy.

Quindi lancerei una proposta al ministro della pubblica istruzione: oltre al grembiule, il maestro unico e quelle balle lì non si potrebbero avere anche studentesse con cosce coperte e docenti di migliore aspetto?
In attesa di una sua gentile risposta,
cordiali saluti

frà

mercoledì, ottobre 01, 2008

autoreferenzialità ma neanche troppo

Oggi camminavo per Seattle senza scopo alcuno se non quello di camminare e ascoltare musica. 

E’ una delle libertà che ho deciso di prendermi prima dell’inizio delle lezioni e della milanite e del pendolarismo.

Considerando che ieri l’ho passato a letto bloccata da un bastardissimo dolore alla cervicale, la settimana di libertà ha ancora quattro giorni e mezzo da offrirmi che ho intenzione di trascorrere nel miglior modo possibile ovvero da persona tranquilla

Mi rendo conto che pur avendo gli anni che ho trascorro la maggior parte delle mie giornate in ansia per qualcosa, un obiettivo da raggiungere, un problema da affrontare, una situazione che non va. 

Sempre costantemente di corsa, tesa come un elastico pronto a lanciarsi chissà dove. 

Oppure sono arrabbiata per come va il mondo e come vanno le cose. 

Per la sensazione di totale impotenza, di contare meno di zero nel grande gioco delle parti. Di non poter fare nulla per modificare gli eventi sul serio. 

E' difficile  dire cosa farò da grande (difficile perché sono giunta alla conclusione che per me un lavoro valga l’altro, non ho mire da donna in carriera e non me ne frega nulla di una gratificante vita professionale. Mi basta un lavoro dignitoso che non sia truffare le persone o rubare soldi a qualcuno, per il resto quel che viene viene). 

E’ altrettanto difficile indovinare se riuscirò a trovare davvero quella gigantesca x verso cui direzionare finalmente il mio elastico e saltare. 

Oggi però camminando per Seattle come in una città trasparente, seguendo le note della musica mi sono sentita davvero tranquilla. Nonostante tutto ho ancora la capacità tirarmi fuori, di giudicare se è una cosa è giusta o sbagliata secondo il mio punto di vista, di avere ben chiaro quello che non vorrei essere mai.

Per quanto ti possano rubare pezzi, per quanto ti possano mettere in discussione, per quanto possano sempre finirti altrui bastoni tra le ruote, la coerenza, la convinzione di fare la cosa giusta sono doni importanti e non devono essere sottovalutati.

Mai.