mercoledì, giugno 30, 2004

caldissimo. davvero.

Caldissimo. Davvero.
I vestiti appiccicati alla pelle.
Le facce un po' annoiate dei ragazzi e delle ragazze seduti sulle sedie con le braccia aperte. Ascoltano i discorsi noiosissimi di animatori che non sanno nemmeno loro cosa stanno dicendo di preciso. Io faccio le boccacce, tiro fuori la lingua, mi improvviso buffona pur di strappare un sorriso.
Quante persone sono.
Non saprei contarle.
Sono quello che l'ambiente e la situazione richiedono.
Mi adatto, cambio colore come un camaleonte.
E quando mi capita di chiedermi cosa c'è di vero dietro a tutte queste persone diverse, se c'è qualcosa di distinto oppure sono arrivata al punto di essere solo una molteplicità di maschere mi rispondo che è la radice a essere comune.
Che il cuore da cui nascono tutte le parole e i gesti è unico e medesimo.
E che forse più persone siamo meglio riusciamo ad aumentare il nostro potenziale.

martedì, giugno 29, 2004

che serata

Che serata. Se chiudo gli occhi quasi non riesco nemmeno a sognarmela una cosa del genere.
Prendere un'amica che si conosce da sette anni e uscirci. Andare a comprare una bottiglia di vinello rosso che non impegni troppo nè lo stomaco, nè le tasche. Portare con sè un sigaro aromatico dono di una sorella appena tornata dalle vacanze. Scegliere una location adatta come il fiume di notte. Munirsi di spray anti-zanzare. Attraversare il fiume e sedersi sotto il ponte dove gli unici rumori distinguibili sono lo scroscio dell'acqua, il gracidare delle rane, i treni che passano ogni tanto. Luna e stelle assolutamente necessarie come le macchine che sfrecciano sull'altro ponte in lontananza.
E poi mettere in conto il sopraggiungere di una macchina dei caramba che vogliono controllare i documenti.
Considerare il fatto che uno dei suddetti è laureato in Lettere e Filosofia e si mette a interrogarmi su Anassimandro, Eraclito, Talete e Parmenide.
Trascorrere venti minuti buoni a discorrere con costoro.
Tornare a sedersi sotto il ponte e osservare quanto meravigliosi possano essere i riflessi delle luci sull'acqua e le ombre dei gabbiani che planano nell'oscurità.
Se chiudo gli occhi quasi non riesco nemmeno a immaginarla una serata del genere.
Ed è quello che ho vissuto stasera.

Che lunga, lunga giornata.

Che lunga, lunga giornata. Si è messo a fare parecchio caldo, avrò bevuto più o meno 5 mezze naturali, senza contare che la macchinetta si è mangiata 25 centesimi.
Ho scoperto che gli infingardi uomini della manutenzione la ricaricano lasciando degli spazi vuoti per fottere gli utenti fessi. Stavo già pensando di appostarmi dietro la porta aspettando che si presentasse uno di loro e stordirlo con una mazzata per poi impadronirmi della magica chiave passepartout.
Un anno di macchinette gratis. Dovrebbero metterlo come premio per chi ha dato tutti gli esami. Sarebbe bellissimo.
Una sete desertica dicevo, oltre che uno scazzo infinito nell'attendere di dare l'ultimo esame di questo infinito anno accademico. Io odio le attese. Stavo seduta in quest'aula con almeno una ventina di persone che si tiravano paranoie a vicenda. Ho resistito quindici secondi abbondanti e poi sono andata a sedermi in corridoio a ripassare. Considerando che avevo la minigonna e le gambe appoggiate al pavimento credo di avere contratto tutte le specie di funghi epidermici disponibili in ambiente universitario. Arriva il prof e sono sotto esame. Domande, risposte, la mente un po' è lì, un po' è fuori dalla finestra che cammina in mezzo al parcheggio assolato dove i soliti incalliti posteggiatori abusivi si sbracciano nell'indifferenza degli autisti maleducati.
Fortunatamente non cado vittima della sindrome homeriana da cervello che corre via urlando "Ok, io me la squaglio" emi barcameno nel ginepraio di domande sull'Etica di Spinoza. Cerco di dare un taglio personale all'interrogazione con l'utilizzo svariato di formule del tipo "Io penso" "Io ho capito". Sono cose che piacciono.
E via, anche stavolta è andata. E anche stavolta mentre esco dall'aula incontro il solito agente infiltrato CIA pagato per venirmi a dire che ho una dialettica invidiabile.
Vorrei sapere chi sta dietro a tutto questo.
Fuori i nomi.
Nel cortile universitario alcuni studenti giacciono riversi sulle panchine privi di vita. Io mi avvio verso l'ultimo centimetro di ombra. E dopo avere passato l'intera giornata a ragionare di necessità, causa-effetto, sostanza, causa adeguata e immaginazione, la migliore resta quella di un mio amico in merito al tema dell'individualità umana:
"Coito ergo sum".
Stasera birra outside, me la sono meritata ecchecavolo.

lunedì, giugno 28, 2004

L'essenziale è invisibile agli occhi.

L'essenziale è invisibile agli occhi.
E dire che "Il Piccolo Principe" non è assolutamente uno dei miei libri preferiti. Anzi, la prima volta che l'ho letto non mi è nemmeno piaciuto così tanto; però quella frase..."Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi"...Quella frase mi ha colpito subito. Una lampadina che si è accesa nel buio di qualche parte non identificata del mio cervello. Un brivido neuronale.Mi succede abbastanza spesso quando leggo un libro, ascolto una canzone, parlo con qualcuno.
Ho riflettuto a lungo sul fatto di come appunto certe frasi, persone, melodie finiscono irrimediabimente per strapparci ai nostri consueti schermi di ragionamento per sollevarci a un livello superiore.
Ci restituiscono a noi stessi con maggiore verità.
Succede di arrovvellarsi nell'elaborare una data emozione, un sentimento senza riuscire a delinearlo chiaramente.
Stiamo lì come artisti dilettanti col pennello a mezz'aria di fronte alla nostra tela bianca.
Sappiamo perfettamente cosa vorremmo disegnare ma non sappiamo come.
Non riusciamo a trovare la chiave della porta di accesso alla nostra ispirazione.
Così succede che all'improvviso qualcosa o qualcuno lasciano cadere quella chiave nella nostra mano aperta e possiamo finalmente esprimere esattamente quello a cui stavamo pensando. Possiamo andare oltre.
Io non so se sono già riuscita ad andare oltre a questa frase di Antoine De Saint-Exupéry. Ma mi piace molto.
Il presentimento di quello che potrebbe significare. Ho la sensazione che quando l'avrò compresa pienamente, andrò davvero oltre questo stadio di me stessa.
Nel mentre ci nuoto intorno, come un naufrago che compie circonferenze sempre più strette intorno alla sua scialuppa di salvataggio.