lunedì, luglio 28, 2008

Leaving Seattle

Ci sono periodi in cui il nostro corpo cerca di recuperare le energie in modi misteriosi. 

A me ad esempio succede di dormire tantissimo a qualsiasi ora del giorno e contemporaneamente non riuscire a scrivere pressoché nulla. 
Però, poiché mi faceva proprio brutto lasciare il blog così a metà, senza dire una parola, ho deciso di appuntare un ultimo breve aggiornamento prima delle vacanze.
Tra qualche giorno abbandonerò gli orizzonti lattiginosi dell'afa padana alla volta di paesaggi marini e cercherò di scrollarmi di dosso la polvere dell'ultimo mattonissimo anno universitario.
Detto questo auguro a tutti quelli che transitano da queste parti un'estate che si faccia ricordare con piacere e un po' di necessario struggimento.
Buone vacanze regà.


sabato, luglio 19, 2008

Something in the way "he" moves



mercoledì, luglio 16, 2008

This is the end, my old friend

Finito. 
Oggi esame n°12. 
Che è andato bene ma di cui non parlerò, perché richiederebbe un'altra lunga dissertazione su quanto siano ridicoli alcuni meccanismi universitari. 
L'anno accademico per me è finito, non ho più voglia di polemiche, né di treni, né di sveglie alle prime luci dell'alba, né di seppellirmi sotto un mare di appunti e fotocopie. 
Vero che al momento con le facoltà cerebrali prossime allo zero ancora non mi sento totalmente in vacanza. 
Però c'è stato quell'attimo sulla via del ritorno, mentre mi trascinavo nel tragitto stazione-casa che ho sentito una leggerissima brezza estiva sulla faccia. 
Che fosse estate? Chissà. 
Per completare il rituale dell'abbandono dell'impegno culturale ho in programma di andare a vendere al più presto tutti i libri studiati che reputo non facciano altro che infestare la mia scrivania e convertirli in danari da spendere nelle maniere più basse possibili, tipo per ingressi in piscina, o eleganti brunch all'aperto.
 
Tutti sappiamo che, vada come vada, tra una settimana mi lamenterò della mia nullafacenza.
Però promettete di fare finta di niente.
Io in cambio prometto a breve un post con un recuperato filo logico.
Incrocini.

lunedì, luglio 14, 2008

Indignatio!

Leggo Mimì e penso che ce l'hanno rubata sotto al naso.

Per ognuno è stato un pezzo che pensava piccolissimo e insignificante anche perché gli avevano raccontato che crescere è così, bisogna perdere un po' di pezzi per sostituirli con altri più adatti. 
Però non è stato difficile rendersi conto che ci hanno fregato, staccandoci pezzi di cui avremmo sentito una mancanza viscerale, ecco sì, proprio viscerale.
Ci hanno preso qualche grammo di dignità, qualche risata, briciole di spensieratezza, polvere di autoironia, bacche di orgoglio, grani di sicurezza.
In cambio ci hanno dato due semplicissime opzioni.
a) Scegliere il mucchio uniforme, incolore e insapore dei senza-più-pezzi, oppure 
b) remare affannosamente controcorrente insieme ad altri nostalgici-dei-pezzi-mancanti.
Pare ovvio che io mi senta membro della seconda categoria.
Pare ovvio anche perché succede che mi ritrovi a guardare laconicamente le sedicenni in canottiera e minigonna e ricordare di quell'età beata in cui si stava malissimo comunque, ma per dolori pieni di importanza o che almeno sembravano eroici, perché quello contro cui noi giovani-adolscenti-pieni-di-pezzi-pulsanti combattevano non era mai infelicità o malinconie passeggere ma L'Infelicità, La Malinconia. 

Il problema è che forse non siamo stati abbastanza attenti, ci deve essere stato un momento della Grande Fregatura, verso i diciotto, mentre eravamo intenti ad ascoltare i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, i Depeche Mode o qualche altro gruppo che rappresentasse La Rabbia e L'Inadeguatezza.
Il giorno dopo ci siamo svegliati come se nulla fosse, senza sapere che un solo giro di lancette ci aveva trasformato maleficamente in "precari".
Oddio, precari lo siamo sempre stati, se per precari intendiamo in punta di piedi su un filo ondeggiante che qualcuno chiama destino. 
Ma il fatto che la società abbia coniato addirittura un neologismo per definire la nostra generazione è stato come scoprire che Babbo non solo non esisteva più ma aveva anche venduto la sua immagine alla scuderia di Lele Mora.
Precari capite? Sarebbe stato molto meglio essere la generazione mtv, la generazione x, la generazione sms. 
Se non altro generazione non è un termine tanto malvagio, pare quasi si dica "con questi è andata così ma poi con la prossima generazione sarà diverso".
Invece lì "precari", affibbiato in modo codardo ad libitum.
Gente che non trova lavoro e se ne trova uno non è detto che riesca a conservarlo. 
Bel modo di merda di definire qualcuno, scusate, se è permesso dirlo.
E poi così precari, senza nemmeno una parola per tentare di descrivere il peso esistenziale che possono sentirsi sulla testa giovani menti che, mentre il sistema si rovesciava come un calzino e cambiava tutte le regole del gioco, ancora ce la stavano mettendo tutta a impegnarsi in qualcosa, studiare con passione, inseguire obiettivi, coltivare la propria onestà intellettuale.
Oggi l'onestà intellettuale è una barzelletta di quelle che non fanno neanche tanto ridere.
Posso fare un esempio? Posso fare un esempio? 
Faccio un esempio.
Sabato sera incontro ex-conoscente (amica a questo punto non direi) fuori dall'entrata di un cinema. 
La vedo e la saluto (scusate se sottolineo la cosa ma qui a Seattle salutarsi è gesto di pochi sprovveduti). E pure mi avvicino per scambiare due parole (intrepida!). 
Così mentre mi informo gentilmente su che cosa stia facendo della sua vita (stando attenta a non fissare i suoi stivali di pelle bianca per non essere maleducata) mi accorgo che mi sta guardando con compassione. Eh sì, proprio compassione. 
E non solo. Allo sguardo compassionevole si accompagnano anche poche parole di compassione, del genere "sì ti parlo ma con quella giusta distanza che si deve sentire tra noi, perché io sono uscita vincente dagli anni di incipiente consumismo mentre tu l'hai sofferto e basta". (non penso che abbia utilizzato l'aggettivo "incipiente" in nessuna delle sue rappresentazioni mentali, comunque).
Certo lei vestita di hot pants e stivali di pelle bianca, con la piega fresca di parrucchiere, ha già un lavoro di aiuto in uno studio di fisioterapia, dopo aver studiato solo tre anni e manco tropoo assiduamente, e ieri è andata a farsi la lampada per avere la carnagione carbonifera e ha quei maledetti stivali di pelle bianca, già.
Io invece ho una carnagione stokeriana perché mercoledì devo dare il mio dodicesimo esame di quest'anno per cui ho dovuto leggere non meno di 4000 pagine, e anche se ho una media impressionante e un ottimo vocabolario italiano, la società corrente impersonata dalla donnina sbarluccicosa mi giudica sfigata.
Perché per onestà intellettuale non mi metto gli hotpants e gli stivali bianchi per andare a vedere un film alla multisala. Perché  (lo posso dire vero? lo posso dire vero?) mi sentirei un tantinello bagascia.
Ma nessuno racconta com'è il mondo dei nostalgici-dei-pezzi-mancanti, di cosa significa sentirsi terribilmente  donchisciotteschi in ogni situazione, scavare miliardi di tunnel nel profondità del proprio io per trovare un posto dove riuscire finalmente a nascondere quello che di più prezioso ci resta e incrociare le dita perché non lo trovi nessuno.
Finisce che ognuno combatte la sua battaglia in silenzio e ogni tanto ritrova in qualcun'altro lo sguardo e le parole di chi sa davvero cosa vuol dire tutto questo.
Quindi per finire due semplicissime cose:
1. mi scuso per aver utilizzato ben due termini di sporco dissenso all'interno di questo post
2. mimì courage!

Dopo di che, raccolto il cappello, il bastone e il coniglio mi congedo da voi e vado a svenire sul letto in attesa di essere svegliate dalle rimanenti dispense per il ripasso.
Fate sogni d'oro sparuti lettori.




giovedì, luglio 03, 2008

l'estate di seattle

Caldo e umidità, pioggia a tratti. 

Pagine, migliaia, impilate in ordine sparso sulla scrivania.
Matite consumate al centimetro, evidenziatori scarichi, occhi aperti nella notte sul soffitto.
Locke.
Capelli troppo lunghi per i miei standard, cambio di stagione negli armadi, ventilatori che ronzano malinconici nella sera.
Estate, Seattle del Piemonte e forse, dico forse, meno zanzare del solito.
Giulio gioca con una piuma di piccione e viene a rifugiarsi sotto le lenzuola perché ha paura dei tuoni.
Locke.
La sveglia suona sempre troppo presto.
Tutt'intorno nel quartiere è un continuo demolire, costruire, martelli pneumatici, colate di cemento, qualcuno chiama Antonio in continuazione.
Uragani passeggeri, mio padre dimentica il finestrino dell'auto abbassato.
Locke.
Il sedile è zuppo, il tappettino è zuppo e anche il mio sedere a dirla tutta.
Ciabattine di gomma demodé acquistate al magazzino cinese. Comodissime.
Ho voglia di insalata di mare. 
Di partite a carte. 
Di stuoie di paglia rotte.
Di Locke invece no.