Visualizzazione post con etichetta pendolarity. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pendolarity. Mostra tutti i post

martedì, novembre 04, 2008

semaineprochaine

Il Lunedì sono stanca, mi vesto con i vestiti sbagliati e mi sento fuori posto tutto il giorno, piove e la gente si urta con gli ombrelli, i fogli di giornali imbevuti d'acqua tappezzano gli scalini della metropolitana. La stazione è frettolosa come sempre, carica di un desiderio collettivo di andarsene o di arrivare il più in fretta possibile.

Il Martedì piove ancora, ho miliardi di fotocopie da fare, cerco di nascondermi dietro la pashmina indaco e a non pensare a niente, per non perdere il treno batto il record olimpionico di Bolt, salgo sul regionale bisognosa di una maschera d'ossigeno, dentro è così caldo che alcuni passeggeri hanno chiaramente perso i sensi e giacciono riversi sulle poltroncine.
Il Mercoledì mi sveglio senza saperlo, non sono cosciente di nulla che accada prima delle otto e mezza quando mi ritrovo in una classe vociante a suggerire alla gente come si scrive Poitiers o Orleans e a non sentirmi assolutamente fiera di ciò che mi accade intorno. Mangio l'insalata di farro nel negozio dove tutti si chiamano coi diminutivi e io non conosco nessuno, la mangio in piedi perché due tizie bionde tinte non spostano le loro enormi borse firmate dal tavolo neanche quando le imploro con lo sguardo. Maledico la mia educazione, sempre più.
Il Giovedì è di nuovo così presto che il mondo non c'è o meglio c'è solo pioggia, l'unico rumore che si sente in tutta la città, una scrosciante rassicurante pioggia monsonica che mi culla mentre dormo sul treno ascoltando l'ultima playlist con il libro di sociologia sulle ginocchia.
Attraverso il solito sciame di aereoplanini elettronici e mi stipo in dieci centimetri cubi nella metro, ma tanto tutto il mondo scende a Cadorna come al solito e basta una fermata per far alzare l'inflazione degli ombrellini da 3 euro a 5.
Il Venerdì dovrei studiare e invece trascorro buona parte della giornata a fingere di riacquistare le forze. Cerco di defibrillarmi con una doccia fredda, mi sdraio sul divano promettendo a me stessa che ci starò solo cinque minuti e invece mi risveglio dopo un paio d'ore. La sera esco e prima delle dieci e mezza sono uno zombie privo di qualsiasi energia, mi sento le tare appese alle palpebre, mi vengono i capillari rossi come willy il coyote.
Il Sabato studio qualcosa, esco con gli amici, suono una chitarra senza mi, bevo la cioccolata con la panna, assaggio il chianti, e penso che questo inverno è troppo caldo, che vorrei del freddo vero, la sensazione di cacciare la faccia nel colletto del cappotto per proteggersi dal vento, i guanti, la pelle che punge.
La Domenica poi, è quasi lunedì.

mercoledì, ottobre 15, 2008

farewell flower

Sul treno come al solito.

E’decisamente tardi, si capisce da come i pendolari strascicano piedi e bagagli sui binari.

Io sono arrivata un quarto d’ora prima e mi sono seppellita nella mia zozza poltroncina. 

Prima di sprofondare in un universo parallelo e musicale mi perdo a fissare l’architettura della stazione centrale, l’enorme volta di metallo che mi dà l’idea di un grande addio, un abbraccio arrugginito alle persone che fuggono via da milano, come se capisse cosa vuol dire vederla tutti i giorni e ci soffrisse un po’, volesse rimediare alla situazione.

Arriva una vecchia amica che ringrazio il cielo sia lì perchè altrimenti dovrei tentare di tenermi sveglia con i soliti sotterfugi del tipo:


immaginare cosa pensano le altre persone nello scompartimento

immaginare la mia vita raccontata da una voce fuori campo

immaginare video per la canzone che sto ascoltando

immaginare cosa sarà prendere il treno quando farà freddo


Iniziamo una piacevole conversazione dai toni leggeri, del resto sono vestita con la felpa e le scarpe da fricchettona, quelle maledette etnies che tanto avevo voluto e che tanto male ai piedi mi hanno causato prima di diventare il mio scudo contro la pioggia e lo zozzume delle strade urbane. 

Qualche minuto dopo si aggiunge a noi una sua conoscente che non mi pare di aver mai visto prima. 

Parlano di una ragazza che dopo essersi lasciata con il suo ragazzo, ora vive una serie di vicissitudini sentimentali. 

Cado in un gradevole torpore, quello in cui ho trovato una valida alternativa al sonno profondo: ascolto i loro discorsi e mi limito ad annuire o sorridere piena di gratitudine per la loro presenza lì e ora.

Poi a un certo punto mi rendo conto che conosco entrambi i protagonisti della vicenda.

A quanto pare quando si dice che il mondo è piccolo non si tiene conto del fatto che i treni lo sono di più. 


Se esistesse una macchina del tempo credo che mi piacerebbe incontrarmi otto anni fa per ricordare come la pensavo allora. Mi sono venute in mente due cose.

Quarto anno delle superiori sono seduta sulla scala anticendio nell’intervallo, c’è il sole, ho i capelli corti, sono inspiegabilmente felice.

Maggio o giugno di quest’anno, sono in treno, piove e il finestrino sporco di spray è pieno di gocce che lo percorrono in diagonale perfetta, penso a tutte le persone a cui vorrei chiedere scusa.

Così tra una cosa e l’altra arrivo a Seattle, scendiamo dal treno, ci salutiamo, io mi avvio verso casa lungo il percorso stabilito, porta scorrevole della stazione, virata a destra, camminare fino alla stazione dei pullmann e infilare la via. 

Fa un caldo strano per ottobre, i lampioni sono gialli come ad agosto.

lunedì, ottobre 13, 2008

worms

Domani non c’è lezione di istituzioni di ontologia.

E’ un corso che mi piace sebbene ci sia di mezzo Heidegger, quello di  “non è proprio essere, è più voglia di qualcosa di buono”.

Istituzioni è un corso che mi piace perché la scorsa volta si è parlato de La nausea di Sartre e mi è tornata in mente la mia cartellina di tecnica su cui avevo trascritto un pezzo tratto da quel magnifico di libro. 

La mia prof di matematica mi aveva chiesto se era la storia di uno che non stava tanto bene. La Nausea capite? 

La mia prof di matematica non era una persona che stimavo molto. Lei nemmeno. 

Vabbè.

Domani quindi salgo a Milano nella tarda mattinata e questo significa che forse riuscirò a sedermi durante il viaggio di andata. 

Oggi l’ho fatto in piedi fino a Magenta ascoltando Laura Veirs e seduta su un pezzo di freepress su uno scalino fino a Centrale ascoltando i Vampire Weekend, che sono fichissimi.

Ho quasi finito Walden, me ne sono tenuta due pagine per stasera, sicchè ho bisogno di pensieri intelligenti per dormire bene.

Oggi al ritorno in metropolitana sono caduta nel circolo vizioso dei germi. 

Ho iniziato a pensare a tutti i germi che avevo in testa, sulle mani, ai germi che correvano sui sedili del treno, su quelli della metro, sul fondo della mia borsa che appoggio ovunque, sul corrimano delle scale all’università. 

Mi sono sentita come Howard Hughes. 

Ho ripensato a quando l’anno scorso mi avevano gentilmente offerto alcuni campioni gratuiti di gel amuchina, in grado, a detta loro, di neutralizzare tutti i germi presenti sul palmo della mano in 15 secondi. 

Cioè roba che potevo passarmi sto fazzolettino sulle mani e operare al torace un altro pendolare in condizioni di assoluto igiene. Ho anche pensato di comprarmelo ma poi avevo solo quattro euro e cinque minuti per trottare verso il treno germinale che mi avrebbe ricondotto a casa tra la nebbia da riso e una pallida luna offuscata anch’essa dai germi.

E’ che non mi sento ancora pronta a portarmi dietro la t-shirt da appoggiare ai sedili del treno, mi fa tanto vecchia intollerante delle devianze del mondo.




"Pareva che non avesse compagni, nell'universo, e che si divertisse così, da solo; 

pareva anche che non avesse bisogno d'altra compagnia che il mattino e l'etere con cui giocava. [...] 

Padrone dell'aria, esso sembrava in relazione con la terra solo per un uovo covato qualche tempo fa nel crepaccio di una roccia scoscesa 

-o era forse il suo nido primitivo costruito nell'angolo di una nube, tessuto con gli ornamenti dell'arcobaleno e del sole al tramonto, e foderato del molle vapore dell'estate, preso dalla terra. 

Oggi il suo nido è su qualche nube scoscesa".


Walden -Vita nei boschi- pg 392

mercoledì, ottobre 08, 2008

Uomini col borsello

Come si sarà immaginato in questi giorni ero a Milano.

Uscivo col buio e con esso rincasavo, per cui non avevo forze materiali per aggiornare il blog.
Siccome oggi però sono uscita col buio e tornata con un minimo di luce eccomi qui a dire le mie impressioni su questi primi giorni della Nuova Grande Università.
E anche se nuova non è più (se il cielo vuole questo è davvero l'ultimo anno) sicuramente continua a essere estranea. 
Pertanto diventerà la Grande Estranea Università, in cui in questi giorni si aggirano miliardi di milioni di matricole griffate in un continuo catwalk che non si ferma mai nemmeno nella pausa pranzo. 
Certo, ho pensato che per un uomo non dev'essere pas mal l'insediamento di tutte queste belle gnocche ancheggianti a ogni angolo di cortile, in un tripudio di fard, cotonature, virtuosismi della piastra, borse giganti in abbinamento ai cellulari in abbinamento ai charms in abbinamento al ciottolato del chiostro.
Solo che io sono donna e, tolto il fatto che trovo alcune mises delle mie colleghe decisamente più adatte a una tangenziale che a una lezione di sociologia, gradirei se non altro vedere un uguale sfilata di magnifici uomini (simone non me ne avere, sto facendo uso di lampante ironia).
Invece nulla.
Porca l'oca se non è vero che gli uomini della G.E.U. hanno più borse di me. 
Borse, borse sì avete sentito bene. Non borselli esistenzialisti, borse militari, cartelle à la Sartre. 
Borse.
Di Gucci, di Vuitton, di Dior.
A volte anche di sbarluccicante vernice.
Roba che ammazza la virilità da Milano fino a Cologno, Bollate e alcuni comuni sotto Lecco.
My Gosh.
Il fronte docenti non se la passa meglio.
In due anni di frequenza è stata una vera e propria panoramica di maglioni a rombi da veri nerz, completi grigi, grigio topo, grigio scuro, abbinati a evidenti riporti bianchi come le nevi della Groenlandia, impermeabili da esibizionisti, pance prominenti, cravatte anni ottanta e scarpe col tacchetto alla Sarkozy.

Quindi lancerei una proposta al ministro della pubblica istruzione: oltre al grembiule, il maestro unico e quelle balle lì non si potrebbero avere anche studentesse con cosce coperte e docenti di migliore aspetto?
In attesa di una sua gentile risposta,
cordiali saluti

frà

mercoledì, luglio 16, 2008

This is the end, my old friend

Finito. 
Oggi esame n°12. 
Che è andato bene ma di cui non parlerò, perché richiederebbe un'altra lunga dissertazione su quanto siano ridicoli alcuni meccanismi universitari. 
L'anno accademico per me è finito, non ho più voglia di polemiche, né di treni, né di sveglie alle prime luci dell'alba, né di seppellirmi sotto un mare di appunti e fotocopie. 
Vero che al momento con le facoltà cerebrali prossime allo zero ancora non mi sento totalmente in vacanza. 
Però c'è stato quell'attimo sulla via del ritorno, mentre mi trascinavo nel tragitto stazione-casa che ho sentito una leggerissima brezza estiva sulla faccia. 
Che fosse estate? Chissà. 
Per completare il rituale dell'abbandono dell'impegno culturale ho in programma di andare a vendere al più presto tutti i libri studiati che reputo non facciano altro che infestare la mia scrivania e convertirli in danari da spendere nelle maniere più basse possibili, tipo per ingressi in piscina, o eleganti brunch all'aperto.
 
Tutti sappiamo che, vada come vada, tra una settimana mi lamenterò della mia nullafacenza.
Però promettete di fare finta di niente.
Io in cambio prometto a breve un post con un recuperato filo logico.
Incrocini.

lunedì, maggio 12, 2008

*L'innocenza

L'innocenza.

Ritrovare l'innocenza.
L'imperativo categorico dell'immaginazione: "devi immaginare"
L'innocenza è quella cosa lì che crediamo di sapere tutti e anche una canzone per me bellissima.
L'innocenza è il gusto dell'irrealtà. 
Siamo innocenti quando siamo piccoli, quando ancora abbiamo un'idea del mondo tutta nostra e viviamo ogni novità con sorpresa anziché farci venire una ruga in più sulla fronte. 
Esercitare l'innocenza fissando la luce attraverso le foglie degli alberi e i papaveri che crescono vicino ai binari come in una pubblicità del mulino bianco.
L'innocenza è quella cosa che mi fa sentire fiera, quella minuscola particella tutta bianca e stupore che mi circola nel sangue e ogni tanto penso davvero e profondamente sia la parte più importante di me, quella che mi tiene in vita in un certo modo, che mi fa vedere ancora le cose a colori.
L'innocenza è un riff di chitarra che sa moltissimo di afa estiva e di lunghi sguardi attraverso.
Forse non sarò mai niente nella vita ma di una cosa sono sicura.
L'unico modo di essere fiera di me stessa è cercare quell'innocenza continuamente.


mercoledì, maggio 07, 2008

*Movie ending romance

Al ritorno in treno il cielo sembra un quadro di Magritte.

Sprofondata nel gelido sedile del regionale ascolto i miei pensieri succedersi lenti uno dopo l'altro, come in dissolvenza. Mi bombardo di musica che, altrimenti, il rischio è quello di svegliarsi a Torino. 
C'è nel cielo prima dell'estate qualcosa che ha a che fare con tutte le estati della nostra vita. Quante volte tornando a casa la sera, sentendo le rondini fischiare e il rumore di stoviglie dalle finestre aperte abbiamo capito che era quasi estate.
C'è stata l'estate dei sorrisi riflessi nei finestrini delle macchine e l'estate lontana. L'estate dei bambini vocianti e l'estate del dolore sottopelle.
Dell'impressione di avere vissuto tante vite ho già scritto più qui che altrove.
Ancora ascolto canzoni di qualcuna di quelle estati e sento risvegliarsi in me sensazioni che il tempo ha profumato in modo diverso.
Il cielo prima dell'estate parla sempre di promesse e di sogni, a dispetto di tutto il resto.
Domani è il mondo che verrà e per sapere se sarà migliore o meno non è altro da fare che non abbandonarsi alla corrente.
A Magenta la testa si abbatte sul sedile e non sento più nulla. Mi sveglio appena in tempo per scendere a Vercelli. Le foglie brillano, le ragazzine che non sono più io passeggiano con un gelato in mano.

*And look at me now. 
These lines on my face betray me, 
They're deeper lately. 
Take a look at these bags under my eyes.

Maths and Physics Club

mercoledì, aprile 30, 2008

everywhere I look around

Fuori grigio e io cazzeggiocazzeggiocazzeggio.

Principalmente gioco con lastfm, decidendo se una canzone mi piace o no dopo trenta secondi scarsi. Principalmente lascio che la testa si abbandoni a tutta la pesantezza di tre ripetute sveglie mattutine alle ore 6.30, ora che si era già detto qui non appartiene al mondo dei vivi, appartiene a una specie di intramondo con colori, suoni e conversazioni ad alto tasso surreale. In fin dei conti ho delle perline di malinconia che mi rotolano per le pareti dello stomaco. 
Ma si tratta di quei solletici passeggeri dovuti un po' al tempo, un po' perchè a dormire in treno mi è venuto il torcicollo, un po' perchè da due giorni ricordo la trama di un libro senza ricordarmene il titolo. 
Domani altra grigliata scaccia tristezza. 
Maggio avanza signori e signore ma i maglioni pesanti sono ancora tutti lì e i libri accumulati di nuovo in giro per la stanza e i fogli ovunque. 
Sulla via del ritorno ho raggiunto l'apice del ridicolo guardando fuori dal finestrino le risaie umide che più umide non si può e autocitandomi con tre versi mentali di una poesia che avevo scritto, forse al liceo o no, forse,semplicemente in sogno.
La primavera è così: scombussola, tira fuori le robe che stavano sotto terra, soffia nuvole ove più le pare, mi induce all'acquisto di magliette con le mezzemaniche.
L'ho detto che la testa era pesante.
Quello che non ho detto é che avrei scritto in modo totalmente nonsense.
So sorry.

giovedì, aprile 24, 2008

*mi manca il sole di bari

Proporrò la cancellazione del 24 aprile dal calendario.

Il rapido succedersi di microsfighe in ancor più rapida sequenza nella giornata di oggi mi ha indotto a credere che il 24 aprile ce l'abbia con me. E di brutto pure.
Stamane la sveglia suona alle sei e mezza e mi risveglia da uno stato di dolce e piacevole coma onirico. Ero in un sogno bellissimo, un vasto magazzino vintage in cui provavo improbabili camicioni optical sotto lo sguardo benevolo di una commessa che assomigliava un po' a irene pivetti. La sveglia suona, il mio cuore va in shock come tutte le mattina ma sono in piedi, non c'è dubbio che l'essere umano con la faccia da rana che è riflesso nello specchio sono io.
Faccio colazione, ripasso gli arabi, al farabi, al kindi, al jazeera. 
Non ho voglia di prendere il treno, ho malditesta ma, penso, passerà.
Invece non passa a magenta cerco di esorcizzare le voci stridule delle due adolescenti brufolose sedute davanti a me che da una quarantina di minuti narrano le loro prodezze erotiche con dovizia di particolari. Ho malditesta, questa è una cosa su cui di solito riderei, ma invece mi girano tantissimo le palle e faccio quell'espressione da vecchietta acida e incazzosa alzando il volume della musica. Ma niente, le vocette perforanti arrivano anche lì.
Scendo a Centrale che è un delirio di trolley. Per un attimo pare proprio l'epico sfondo di una battaglia tra due eserciti i paladini del trolley e gli studenti pendolari che anzichè partire per mete esotiche stanno andando a lezione. Quanto vorrei essere dall'altra parte della barricata.
Scendo in metropolitana e mi accorgo subito che qualcosa non va; i vagoni sono vuoti la gente si agita minacciosa. "S'è rotto" il treno. Bisogna prendere il servizio sostitutivo. Come nome non è un granchè e nemmeno nella realtà trattasi di bus in cui sono già stipate circa 224 persone come blocchi del tetris. A me tocca fare il pezzo orizzontale appaiata a un gigante di due metri e più che mi ruba l'ossigeno.
Arrivo a Cadorna dopo 55minuti di bus. Del tipo che se andavo in monopattino, bendata e con un cagnetto che mi azzannava le caviglie facevo prima. Ho perso la prima ora di lezione, ho malditesta, il tizio del bar vuole mettermi il limone nel caffè.
Trascorro altre tre ore in università e poi filo sul treno.
Mi aspetta la spesa per la grigliatona di domani.
eh sì sono stanca morta.
Ma tanto non sarò da sola.
Tanto non dovrò fare 20 minuti di coda al bancomat per prelevare.
Tanto non mi accorgerò di essere senza benzina nel corso di una deviazione per le campagne casalesi che mi ha portato in paesini maori.
Tanto non dovrò fare un'altra coda di trenta minuti schiacciata contro la parete di una macelleria a fissare lingue di vitello, cuori e polmoni.
Tanto avrò tutto il tempo di fare la doccia e rilassarmi.
Tanto non dovrò ricevere centocinquanta telefonate e farne altrettante scoprendo che l'auricolare in macchina mi distrae più del cellulare.
E invece sì, tutto fino all'ultimo briciolo di sfiga è per me.
Arrivata a casa scopro che domani i miei amici mailanesi (milanesi) arriveranno alle dieci e non alle undici perchè non ci sono treni.
Ma non ci sarà mai più un altro 24 aprile. Farò una petizione, lo sciopero della fame, un calendario nudo. No al 24 aprile.
E chissà che coi tempi che corrono non finiscano per togliere anche il giorno successivo.

*scritta presente su un pilastro in stazione centrale

mercoledì, aprile 09, 2008

lluvia (si scriverà così?)

Oggi in treno pensavo a una scemenza.

Ovvero alle goccioline di pioggia che cadono sopra i treni e si fanno trasportare da una parte all'altra, attraversano diverse città e arrivano a cadere in un punto completamente diverso da quella che avrebbe dovuto essere la loro traiettoria.
E' una bella cosa, sfuggire poeticamente al proprio destino.
Ho fissato per un po' quelle che stavano appiccicate al mio finestrino e ne ho individuata una che è rimasta lì per un'oretta buona e poi è stata spazzata via da un treno che arrivava in un altra direzione. Mi sono venuti in mente le gocce di Federigo Garcia Lorca.
Vi copio il pezzo qui, che è bello:
 "Gocce. Occhi di infinito che guardano il bianco infinito che le generò [...] son poeti dell'acqua che han visto e meditano ciò che la folla dei fiumi ignora".


martedì, marzo 04, 2008

Fatti non foste per viver come bruti

Le persone che frequentano la specialistica di filosofia in genere sono persone poco serene.
Cioè, anche se non lo danno a vedere, anche se fanno di tutto per dimostrarsi entusiaste di "testi" (frasi tipo "E' un testo bellissimo" "Ho studiato su questo testo" "E' un testo che merita"), di "approfondimenti" di "papers" (parola incredibilmente simile al termine italiano papere), nutrono nel loro cuore una profonda frustrazione per aver fatto una scelta universitaria un po' del cazzo.
E passatemi questo cazzo che è detto con tutto il rispetto per coloro che, eccezionalmente, esimono da questo contesto.
Io sto parlando di persone generali che frequentano corsi in generale.
Gli specialisti di filosofia.
Che già essere specialistici di qualcosa in filosofia è secondo me una contraddizione in termini.
E' come dire "ho tutte le risposte del trivial anche quelle che devono ancora essere scritte".
Non si può.
Gli eroici cavalieri della sophia dei nostri giorni non se la passano molto bene.
I massimi rappresentanti della categoria sono un ex fiamma della parietti, la presunta fiamma di una certa veronica lario, la brambilla e naruto.
E poi c'è quell'insidiosa consapevolezza.
Gli specialisti di oggi sanno che dopo anni trascorsi a spaccarsi la testa su minuziosi rompicapo logici, a camminare sospesi sul filo di alte questione metafisiche, a studiare heidegger (perchè heidegger lo studiano tutti, è epidemico) le loro prospettive di trovare un lavoro, che li possa ripagare economicamente e prestigiosamente delle loro fatiche, sono le stesse che berlusconi perda le elezioni.
Diciamocelo, nel migliore dei casi tra un paio d'anni, saranno tutti iscritti alla sssissss (mai capite quante esse) e poi catapultati nel mondo delle supplenze precarie a cercare di spiegare la regola del -cia e -gia a bambini iperattivi.
Nessuno di loro domanderà una spiegazione sull'argomento ontologico di sant'anselmo.
In molti cercheranno di bersagliarli con articoli di cancelleria.
Gli specialisti lo sanno ma fanno finta di niente, e ogni volta che quella puntina di frustrazione si fa fastidiosa la cacciano giù con una piedata, la nascondono sotto un volume di hegel, le spruzzano il vetril.
Solo che, come Freud ci insegna, l'inconscio è qualcosa di poco controllabile e sicuramente non domabile da un detergente spray: pertanto quella rabbia nascosta finisce per emergere sotto forma di un inspiegabile antagonismo con gli altri.
La competizione è spietata e agisce attraverso meccanismi spietati: si sorride poco e lo si fa principalmente nei confronti di quelle persone che si giudicano intellettualmente inferiori o inevitabilmente necessarie per ottenere appunti; si parla solo ed esclusivamente di filosofia prima della lezione, dopo, a pranzo, al cesso, in coda per il caffè.
La vita universitaria diventa una summa di sotterfugi, complotti e nervosismi, alla ricerca di una soddisfazione che cancelli il proprio disappunto interiore e che non verrà certamente dalla sopraffazione di altri.
Inutile dire che così si perde il bello della filosofia.
E che gli ultimi due anni di riflessioni varie su questo mondo sempre più spiegazzato e fuori controllo potrebbero trasformarsi persino in qualcosa di molto simile al rimpianto.

Però non prendete questo come uno sfogo.
Io sono una pura osservatrice e non subisco gli attacchi feroci di nessuno.
Però osservo e un po' mi dispiaccio e anche se l'ideale di una setta dei poeti estinti appare irraggiungibile mi basterebbe vedere qualcuno che mangia il suo panino al salame e parla del salame, di quanto è buono e basta.

venerdì, febbraio 29, 2008

Folle fantasia della mente

La metropolitana si trasforma in un pontile di legno un po' alla dawson's creek, con tanto di ninfee, paperette e sole primaverile.
No, non ho fumato niente, solo chiuso gli occhi qualche secondo con la testa piena di musica per cancellare la stanchezza che già di prima mattina mi martella la testa mentre vado a lezione attraversando un traffico di persone incredibilmente serie e incredibilmente rinchiuse nel proprio micromondo, chi sprofondato nella lettura dei vari metrocityleggo, chi impegnato a esibirsi in una performance musicale alla ricerca di qualche spicciolo, chi con lo sguardo perso nel vuoto, chi a leggere ken follett e chi come me con le sue brave cuffiette in esposizione a significare che probabilmente in quel momento è sintonizzato a una frequenza in cui il mondo è una folle fantasia della mente.
Il mondo folle fantasia della mente non è niente male.
Oltre al pontile uno può immaginarsi un pic-nic sull'erba, di essere iscritto a medicina, di stare andando a ricevere un oscar e di non essersi svegliato alle cinque e mezzo del mattino.
In effetti alle cinque e mezza del mattino il mondo reale sembra una folle fantasia della mente senza bisogno di una colonna sonora musicale o di tenere gli occhi chiusi: gli oggetti galleggiano e non si ha chiara percezione nè del proprio corpo nè di ciò che si sta facendo.
L'automatismo è un meccanismo affascinante, i gesti sono precisi ma del tutto incoscienti.
E poi il cielo è lilla, le persone grigie o bianche, i treni ventosi e gli alberi trattenuti.
Il pontile invece è tranquillo.
Ci resto per qualche secondo, lancio un sasso nell'acqua e aspetto che i suoi cerchi concentrici si dissolvano lentamente lasciando la superficie intatta.
Poi apro gli occhi e mi alzo.
Appena in tempo per non perdere la fermata.

mercoledì, dicembre 05, 2007

7 a.m.



Alle 7 di mattina il mondo è perfetto.

Sì è vero, sto correndo per prendere l'n-esimo regionale, e sono pur sempre le sette, e se avessi facoltà di volere sceglierei di rimanere nel mio caldo giaciglio il più a lungo possibile a sognare di posto molto lontani e molto felici, e so benissimo che il mercoledì è pur sempre il mercoledì, quella giornata stronza che si piazza a metà settimana e mi succhia via l'anima peggio dei dissennatori di Harry Potter, e che forse avrei dovuto studiare medicina e nascere in Svezia, alta, bionda e affettivamente legata ai Krisprolls.

Però giuro che il mondo è innegabilmente perfetto in quel momento lì, mentre scatto una fotografia prima della corsa finale al binario, non c'è virgola che potrei cambiare, voce che vorrei aggiungere, non c'è niente che potrebbe spegnermi gli occhi in quel secondo assoluto. Ginsberg diceva (in una delle poche poesie che mi sia mai riuscito di imparare a memoria) che il mondo, a dispetto della sua totale dolorosa imperfezione, che il mondo ha una bellissima anima.

Ora, io non sono sicura di avere ancora un'idea precisa su quello che sto studiando da tre anni a questa parte (consolante, vero?) e ho come la sensazione che non l'avrò mai. Però mi succede a volte di provare uno stupore inspiegabile per le cose, che siano cieli strabilianti la mattina presto o pipposissime teorie filosofiche su come (forse) dovrebbero (probabilmente) andare le cose(ammesso che esistano).

Ed è bello, innegabilmente, come la perfezione del mondo alle sette di mattina.

Non faccio che piangere adesso.

Ho pianto tutta la strada quando sono uscito dal Wobby Hall di Seattle.

Ho pianto ascoltando Bach.

Ho pianto guardando i fiori felici nel mio cortile,

ho pianto alla tristezza degli alberi di mezza età.

La felicità esiste lo sento.

Ho pianto per la mia anima,

ho pianto per l'anima del mondo.

Il mondo ha una bellissima anima.

Dio appare per essere visto e per essere pianto.

Cuore traboccante di Paterson.

Allen Ginsberg

giovedì, novembre 29, 2007

Coniglietti e anatre

Giulio fa capolino da dietro lo schermo del computer per qualche coccola extra e qualche tentativo di sgraffignarmi le dita mentre pigio sulla tastiera.
Abbiamo appena finito di guardare insieme lo spot dei coniglietti colorati che mi piace tantissimo
http://www.youtube.com/watch?v=yj0-bCWZOfo e consultato qualche sito di ricette di biscotti per natale.
Oh certo, avrei da studiare.
Miliardi di pagine di argomenti più svariati, da Freud a Tommaso d'Aquino, da Duhem a Leopardi e invece stasera cazzeggio impunemente, senza il minimo senso di colpa, lontano da tutte quelle cose che mi farebbero venire probabilmente maldipancia.
Anzi sto organizzando la mia minifuga dalla realtà che consiste nell'interrompere la programmazione di ogni singolo istante della mia vita nel dettaglio, altrimenti finisce che divido il mio esistere in unità di tempo come hugh grant in about a boy.
E hugh grant non era felice. Aveva bisogno di vedere un bambino che tirava una pagnotta in testa a un'anatra per sentirsi meglio.
Io ho visto i coniglietti. Ho visto la pancia bianca e rossa del mio gatto che dormiva sdraiato sul divano. Ho visto il cielo a milano per la prima volta dopo settimane. Ho ricominciato a leggere e a leggere i pensieri della gente quando sono in treno. Ho ascoltato due ragazzi rom vestiti di stracci suonare il violino da far venire i brividi. Ho lasciato la mia lattina di minute maid ace a una signora che mi chiedeva una moneta che non avevo. Mi sono ricordata l'id di flickr.
A volte capita di dimenticare password, nomi di accesso e buona parte di se stessi.
E io oggi festeggio perchè mi sembra di averli ritrovati tutti e tre.

giovedì, novembre 22, 2007

Ossi di seppia

Al ritorno in treno, stipata come un tacchino nei miei 30cm cubi di spazio, ascolto un bambino uruguayano che spiega alla mamma nel suo italiano dolcissimo che cos'è una seppia.
-E' un parente dei pesci, vive sotto la sabbia- e poi le racconta l'alfabeto fino alla "r" che lui pronuncia "ru" e -tutti i miei compagni mamma dicono rrrrrrrrrrrrrrrrr come le tigri!-
Dopo un paio di minuti improvvisa un mantello da supereroe con una copia di City e gioca tranquillo finchè è ora di scendere.
Tutt'intorno a lui le persone guardano distratte le impronte delle mani sui finestrini o si infilano gli auricolati perdendosi in conversazioni senza fine sul tempo e sui treni che sono sporchi e su quel collega di lavoro insopportabile e cercano, in generale, di sentirsi meno sole.
Dal canto mio sto leggendo sul giornale che le mie prospettive di lavoro sono rimandate a un nebuloso 2012, forse a quel momento là ci saranno anche le astronavi e le colonie su orione e la gente piangerà meno lacrime nella pioggia.
La condomina che in ascensore mi vede trafficare con i libri nella borsa domanda con aria stupita
-Ma vai ancora a scuola?-
e a me viene da risponderle che sì, faccio ancora la 2a elementare, non riesco a imparare la per e la diviso.
Tempi splendidi quelli della seconda elementare.
A quest'ora si preparavano i lavoretti di Natale, altro che esami, precariato e belle balle.