sabato, luglio 31, 2004

Diario di una vacanza (Tre)

E’ mezzogiorno e sto preparando i bagagli dalle ore nove.
Forse era meglio se chiamavo la tecno-traslochi e davo loro l’indirizzo del mio domicilio estivo aspettandoli a braccia conserte.
Ad ogni modo volevo fare un saluto prima di levarmi definitivamente dalle palle per circa un mesetto.
[Sempre che non trovi un internet point da qualche parte (pregate che non accada)].
Che dire?
C’è sempre qualcosa da dire.
Una considerazione che facevo ieri è che quest’estate sta passando troppo in fretta. Probabilmente devo trovare il modo di annoiarmi seriamente per qualche giorno e recuperare il tempo perduto. Forse potrei fare un secondo tentativo di lavorare a maglia (il primo è fallito due anni fa quando per l’ennesima volta mi sono accorta di avere creato un buco grosso come la mia testa all’interno della preziosa sciarpa che tessevo da un mese) o giocare al solitario per 48 di seguito. O magari mi abbono alla settimana enigmistica che è un altro di quei passatempi stracciamaroni ideali per comprendere il vero senso del trascorrere della stagione estiva.
Invece ho portato con me un intero zaino di libri da leggere.
Andrò in vacanza con Fitzgerald, Kerouac, Ginsberg, Suskind, Conrad e il compianto Terzani (di cui quasi non ho il coraggio di finire il libro).
Ho lasciato giù un’altra decina di volumi dopo essermi resa conto che il mio zaino da montagna non stava chiuso e forse avevo leggermente esagerato.
E poi tanto comprerò sicuramente qualcosa mentre sono in giro quindi meglio puntare sull’essenziale.
Il relax è d’obbligo. Mangerò fino a scoppiare, berrò estathe a tutto spiano, mi crogiolerò al sole, dormirò come un ghiro e cercherò di trascorrere almeno una settimana riducendo al limite il rapporto con gli altri esseri umani.
Devo smaltire un’indigestione di umanità e tensione, sarà un mese che mi tremano le mani come se avessi il parkinson, ho accumulato adrenalina sufficiente a fare strippare
un free-climber sul bruco mela.
Però ci tenevo a salutare tutti prima di andare via. Perché quando si parte per un viaggio non si sa mai come si torna.
Magari mi faccio platino e mi metto a vendere pentole e sogni in tivù. Magari mi abbronzo così tanto da ottenere cittadinanza magrebina.
Magari mi riesce l’acchiappo con Bobo Vieri (brrr..) e finalmente posso permettermi la specializzazione à Paris senza troppe rinunce.
Chissà.
E voi passate buone vacanze né.
A presto.

venerdì, luglio 30, 2004

Diario di una vacanza (Due)

E se domenica si parte per una vacanza vera (un mese di ferie di cui infernali giorni dieci in famiglia) oggi ho fatto una vacanza finta.
Finta non nel senso negativo del termine, anzi mi ci sono pure divertita parecchio, nonostante qualche piccolo inconveniente (tamponamenti, pioggia, fine delle sigarette) la giornata resta indimenticabile.
La meta dell’allegra cumpa della spocchia è la valsesia, famosa per il meteo clemente e le rarissime piogge (ah, ah, ah).
Qualcuno di voi ricorderà la faccenda del mio polso metereopatico che anche stavolta non sbaglia.
Al mattino appena sveglia lo sento dolorante ma fingo indifferenza e mi appresto alla lauta colazione scacciapensieri consistente in una tazza di the star (penso sinceramente una delle qualità di the più disgustoso in circolazione) e numero 1 biscotto al cioccolato (partiamo domenica ma la spesa non si fa più da lunedì per economizzare; domani mattina mi vedrò costretta a mordicchiare dei cipollotti sott’olio la cui presenza in frigo vanta una tradizione millenaria).
Scendendo le scale insieme ad Arbore incappo in un’ingombrante donna la cui fama di provetta iettatrice si estende fino ai confini dell’universo conosciuto.
–Oh no, mille anni di sventura- esclamo ridendo ignara del fatto che di lì a un’ora saranno effettivamente cazzi amari per tutti.
In prossimità di una delle rotonde che conducono alla valle incantata, un uomo dall’aria assente (di cui non riusciremo mai a tracciare un profilo psicologico completo: semplice pirla o deficitario di parecchi tacche del quoziente intellettivo?) tampona il posteriore della nostra macchina facendosi scoppiare entrambi gli air-bag e rompendosi il parabrezza.
Forse da piccolo voleva diventare uno stunt-man.
Il bagaglio del nostro mezzo di locomozione risulta irrimediabilmente scassato e occorre l’urgente acquisto di un elastico in modo che il cane labrador accucciato in esso non sia costretto a seguirci di corsa alla prima curva.
Tale spiacevole episodio ci costringe a una sosta forzata a bordo strada di abbondanti quaranta minuti.
Io dopo aver rotto il mio braccialetto da due euro comprato in un banchetto missionario ed essermi abbondantemente rotta le palle (lo stunt-man mancato è davvero un imbecille) prendo meco il piccolo cagnetto Labrador e mi avvio all’emozionante esplorazione dell’antistante parcheggio del supermercato.
Una macchina di truzzi passa e strombazza.
Cielo, anche qui.
Risolti questi piccoli grandi problemi risaliamo in sella all’automobilina un po’ così e raggiungiamo la meta prefissata.
Il caldo è angosciante.
Forse il sentiero sembra più duro di quello che è perché ciascuno di noi trasporta circa 30 chili tra cibarie e sostanze dissetanti.
Menomale che non abbiamo avuto tempo di fare un’ulteriore spesa. E chissà quando andremo in campeggio. Ho come il sentore che nelle tende ci dormiranno la pasta e i cibi in scatola mentre noi trascorreremo le notti a raccontare barzellette sconce davanti al falò.
Finalmente ci piazziamo di fronte a questa chiesetta campestre per un pic-nic all’inglese a base di salame di tonno (un piatto tipico della valsesia), pizza e barrette di kinder cioccolato più completamente liquefatte il tutto annaffiato da abbondante estathe ed Heinekken.
Dopo pranzo il prato è tutto per noi donne che ci lanciamo in interminabili partite a Uno sotto gli pseudonimi di Miss MirabiTrino, Miss Valsesia e Miss Panissa.
Inutile ricordare che la mia vittoria risulta schiacciante.
Gli uomini esplorano la boscaglia e al loro ritorno narrano di avere visto un pastore del luogo montare il suo cane.
Io non do loro molta corda mentre Miss Valsesia e Miss MirabiTrino appaiono fortemente turbate.
Si va giù senza pietà di tiramisù il cui dolce peso affaticherà gli stomaci della pluspart.
E’ il momento dei giochi demenziali: da “lo schiaffo del soldato” a “Le papere delle papere fan quaqquero” raggiungiamo gravi livelli di infantilismo.
Lo stesso cielo pare incattivirsi e si riempie di nuvolosi neri.
Qualcuno dice “piove” e non viene considerato.
Poi si mette a piovere davvero e giusto il tempo di infilarsi gli zaini, raccogliere immondizie varie e inforcare la via del ritorno e torna il sereno.
Comunque.
Il ritorno è a tratti goliardico a tratti assonnato.
Combattiamo la stanchezza con musica e stronzate varie, per poco non mi lancio fuori dall’abitacolo quando i miei malefici compagni di viaggio intonano “Come mai” degli 883.
Verso le otto arrivo a casa. Varcata la soglia la voce di mia madre risuona tonante. “Devi fare le valigie”. Neanche il tempo di disfare lo zaino. Mi infilo nella doccia e ciondolo in accappatoio da un armadio all’altro nel tentativo di estrarne l’indispensabile.
Però bella giornata. Sul serio.



mercoledì, luglio 28, 2004

Diario di una vacanza (Uno)


Domenica si parte, oggi è mercoledì e stamattina mentre ero ancora distesa sul letto in un dormiveglia (più dormi che veglia) mia madre mi chiedeva con insistenza quali magliette mettere in valigia. E che ne so. Io odio fare le valigie. O porto tutto o non porto niente. E in ogni caso le faccio sempre all’ultimo momento.
Ad esempio l’ultima volta che sono andata in montagna ho preparato lo zaino mezz’ora prima di andare via e non ho portato niente.
Cinque giorni di t-shirt a righe bianche e rosse comprata alla fiera di maggio due anni fa al prezzo di cinque euro, maglione blu di cotone pesante prodotto dalle mani di mia madre quando aveva 26 anni (macchiato di sugo al ragù la prima sera) e jeans sporchi di tempera gialla, fango,polenta concia e malta.
Una vera chiccheria.
Ho pure dimenticato lo spazzolino da denti e menomale che un’anima pia è andata a comprarmene uno in paese altrimenti mi toccava utilizzare degli aghi di pino.
D’altro canto il mio abbigliamento survivor ben si adattava all’ alloggio a me affidato.
Una piccola cella frigorifera (unica stanza dell’enorme baita che ci ospitava a non ricevere mai per nessun motivo il più piccolo raggio di sole) dalla cui finestra potevo godere della vista di una parete rocciosa ricca di muschi e licheni preistorici oltre che della piacevole colonna sonora di un pascolo di chiassose mucche che bazzicava il prato antistante.
La temperatura della stanza oscillava tra i -40 e i -60 gradi (la prima notte alcuni minacciosi orsi polari si sono impadroniti del mio sacco a pelo e hanno cercato di scacciarmi a zampate), il lavandino privo di acqua calda distillava direttamente polaretti nei nuovi gusti di erba cipollina e camoscio d’oro e la lampadina appesa a un lato della parete era irrimediabilmente fulminata. Quattro giorni senza corrente elettrica e acqua calda forgiano lo spirito e il corpo.
Io non so come ho fatto a non prendermi una broncopolmonite.
Anzi sì.
Prima di andare a dormire ho scoperto che un festival di grappe e superalcolici vari aiuta a mantenere una temperatura corporea interna sufficiente a non correre il rischio dell’ibernazione.
Così ne ho approfittato.


sabato, luglio 24, 2004

mrs. tambourine

Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me,I'm not sleepy and there is no place I'm going to.
Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me,In the jingle jangle morning I'll come followin' you.
 
E' una strana sensazione svegliarsi a mezzogiorno dopo un mese e più di levatacce mattutine, anche se comunque alle sette meno un quarto ero in piedi a mettere in salvo i vasi sul balcone prima che si scatenasse un temporale violentissimo.
Che ridicole io e mia sorella in pigiama che ci affrettavamo (ma considerando l'incredibile lentezza di due persone appena sveglie forse non è il verbo più adatto) ad alzare veneziane e ritirare biancheria come due consumate casalinghe cinquantenni. Ho fatto colazione con dell'ottima insalata di riso e un disgustoso pappone di ricotta e cioccolato nella speranza di riacquistare energie. Ma non c'è niente da fare, qui l'unica è dormire per almeno 24 ore di fila. Ma non oggi che è ancora una giornata di quelle con 200.ooo cose da fare.
Eh,sì.
Piove un po' e il mio polso metereopatico (regalo di una passeggiata in montagna sui 3000 metri) fa sapere che il tempo non si sistemerà ancora per qualche ora.
Io adesso come adesso ho voglia di pioggia, ciabatte e film blockbuster. I
nvece sarà meglio che vada a grattare via i resti del provolone dolce dalla griglia prima che la casa inizi a emanare un fetore da stalla alpina.

giovedì, luglio 22, 2004

quasi finita

Quasi finita. Cinque settimane di volontariato ti cambiano la vita.
Prima di tutto perchè succede spesso che io abbia l'impressione di non avere più una vita mia.
Zero tempo per uscire, per amici , per leggere, per andare a zonzo. Tempo scarso anche per dormire e mangiare. Abitudini quotidiane stravolte, orari impossibili. Trascorrere intere giornate sotto gli occhi di qualcuno che chiede qualcosa. L'insistenza quasi sfacciata con cui gli adolescenti comunicano i propri bisogni è favolosa e invidiabile.  
Bisogno di essere guardati, ascoltati, compresi, aiutati.
Senza mezzi termini, senza filtri.
Bisogno di essere amati incondizionatamente.
Che alla fine non scompare mai, solo che crescendo si finisce per nasconderlo.
Dovremmo un po' tutti tornare come i miei bimbi che mi urlano "Gnocca alè".
Se non altro perchè mi sentirei molto lusingata.



martedì, luglio 13, 2004

Never seek to tell thy love...

Fico. Stamattina mentre aspettavo assonnata di dare il mio penultimo esame di informatica (a livello di ipotesi dato che non so come sia andato) mi sono divertita a curiosare nei documenti salvati su desktop. E' divertente cadere vittime di questa sindrome da fatti altrui. Comunque il primo documento che ho aperto titolava "Manoscritto Rossetti" e riportava una poesia di William Blake che alle superiori mi era piaciutissima...

Never seek to tell thy love
Love that never told can be;
For the gentle wind does move
Silently, invisibly.

I told my love, I told my love,
I told her all my heart;
Trembling, cold, in ghastly fears–
Ah, she doth depart.


Soon as she was gone from me
A traveller came by;
Silently, invisibly–
O, was no deny.

L'ho riletta cinque o sei volte e ho dovuto rinunciare all'idea di ricopiarla sul foglio per l'esame. Menomale che c'è internet però. E comunque tutto qui, volevo condividere questa cosa con qualcuno, ci sono un sacco di momenti della mia vita che ritengo talmente preziosi da ritenerli sprecati se li conservo unicamente e gelosamente per me.
Per il resto io domani parto per qualche giorno, buona serata.

lunedì, luglio 05, 2004

domenica mattina

Appuntato domenica mattina. Postato oggi per mancanza di tempo.
Esco a piedi insieme ai Pixies per fare un giro al mercatino dell’antiquariato, l’uomo col banchetto di libri e il cappellino Esso molto anni ’80 mi sorride da lontano ben sapendo che gliene svaligerò buona parte.
Sette libri per sette euro, ormai sono una sua cliente abituale, potrebbe ben considerarsi il mio pusher di cultura che ogni domenica mi rifornisce della giusta dose di polverosi volumi dal profumo di cantina.
Mi allontano con una busta enorme che mi strappa i tendini delle braccia e valuto l’ipotesi di trascorrere il pomeriggio impegnata in un intenso training di lettura al chiostro.
La giornata estiva è così così ma il tempo meteorologico interiore è piuttosto sereno.
Solo ieri qualche nuvola passeggera, mentre parcheggiavo la macchina ho alzato gli occhi e ho visto qualcuno di cui quasi non ricordavo l’esistenza materiale, tanto tempo era passato dall’ultima volta in cui c’eravamo incontrati.
Dopo avere valutato l’ipotesi di alzarmi e andare a fare un saluto, mi sono sentita incredibilmente stupida e sono rimasta incollata al sedile.
Ho aspettato che scomparisse dietro all’angolo riflettendo su come ci siano delle persone con le quali, nonostante un’affinità praticamente elettiva, non si riesce mai ad instaurare un rapporto che non sia talmente complicato da risultare alla fine insostenibile.
Ma niente, alla fine succede e nessuno sa bene perché.
E sia. Torno a farmi trascinare dalle note di “Here comes your man” mentre aspetto la chiamata familiare al desco.