Ad un certo punto dell'autunno.
domenica, ottobre 19, 2008
Autumn took my life
mercoledì, ottobre 15, 2008
farewell flower
Sul treno come al solito. E’decisamente tardi, si capisce da come i pendolari strascicano piedi e bagagli sui binari. Io sono arrivata un quarto d’ora prima e mi sono seppellita nella mia zozza poltroncina. Prima di sprofondare in un universo parallelo e musicale mi perdo a fissare l’architettura della stazione centrale, l’enorme volta di metallo che mi dà l’idea di un grande addio, un abbraccio arrugginito alle persone che fuggono via da milano, come se capisse cosa vuol dire vederla tutti i giorni e ci soffrisse un po’, volesse rimediare alla situazione. Arriva una vecchia amica che ringrazio il cielo sia lì perchè altrimenti dovrei tentare di tenermi sveglia con i soliti sotterfugi del tipo: immaginare cosa pensano le altre persone nello scompartimento immaginare la mia vita raccontata da una voce fuori campo immaginare video per la canzone che sto ascoltando immaginare cosa sarà prendere il treno quando farà freddo Iniziamo una piacevole conversazione dai toni leggeri, del resto sono vestita con la felpa e le scarpe da fricchettona, quelle maledette etnies che tanto avevo voluto e che tanto male ai piedi mi hanno causato prima di diventare il mio scudo contro la pioggia e lo zozzume delle strade urbane. Qualche minuto dopo si aggiunge a noi una sua conoscente che non mi pare di aver mai visto prima. Parlano di una ragazza che dopo essersi lasciata con il suo ragazzo, ora vive una serie di vicissitudini sentimentali. Cado in un gradevole torpore, quello in cui ho trovato una valida alternativa al sonno profondo: ascolto i loro discorsi e mi limito ad annuire o sorridere piena di gratitudine per la loro presenza lì e ora. Poi a un certo punto mi rendo conto che conosco entrambi i protagonisti della vicenda. A quanto pare quando si dice che il mondo è piccolo non si tiene conto del fatto che i treni lo sono di più. Se esistesse una macchina del tempo credo che mi piacerebbe incontrarmi otto anni fa per ricordare come la pensavo allora. Mi sono venute in mente due cose. Quarto anno delle superiori sono seduta sulla scala anticendio nell’intervallo, c’è il sole, ho i capelli corti, sono inspiegabilmente felice. Maggio o giugno di quest’anno, sono in treno, piove e il finestrino sporco di spray è pieno di gocce che lo percorrono in diagonale perfetta, penso a tutte le persone a cui vorrei chiedere scusa. Così tra una cosa e l’altra arrivo a Seattle, scendiamo dal treno, ci salutiamo, io mi avvio verso casa lungo il percorso stabilito, porta scorrevole della stazione, virata a destra, camminare fino alla stazione dei pullmann e infilare la via. Fa un caldo strano per ottobre, i lampioni sono gialli come ad agosto.
domenica, ottobre 12, 2008
saluti e baci/i nebulosi anni delle superiori
ovvero: quando il sabato sera ti ritrovi per qualche minuto in mezzo a gente di un secolo fa e ti si chiude la pancia di scatto
Riguardo gli anni delle superiori, periodo che molti indicano nella loro esistenza come età aurea di felicità a manetta e grandi gozzovigliamenti, io posso limitarmi a dire che nonostante tutto mi sono divertita.
In quel nonostante si nascondono amicizie sbagliate, amori impossibili, struggimenti inutili per il mondo circostante, prolungato ascolto di creep dei radiohead, utilizzo di pantaloni militari, scarpe da ginnastica con spille da balia, frequentazione del liceo scientifico cittadino con annessi e connessi ecc. ecc.
Sebbene da allora sia cresciuta e abbia superato tutta una serie di cose per cui il mio cuore era solito cadere in pezzi, nonostante tutto, accade che, nei luoghi della movida notturna di seattle, circondata da quel panorama di individui che popolava i miei anni delle superiori (compagni, conoscenti, emeriti sconosciuti incrociati nei corridoi e nelle lunghe e ipnotiche vasche sul corso), lo stomaco mi si stringa in una ferrea morsa e improvvisamente mi ritrovi catapultata in quegli anni senza scudo e senza corazza, quando a tutti riusciva di leggere la mia diversità di prospettive senza che me ne accorgessi.
E’ una scemenza da adolescenti lo so, e anche un periodo troppo lungo che necessiterebbe di maggior punteggiatura.
Lo scrivo perché iersera ho interagito con un personaggio di quegli anni che dopo pochi secondi di scialba conversazione ha dato uno sguardo di disapprovazione alle mie scarpe senza tacco, ai miei normalissimi jeans, ha giudicato il mio rimmel un po' sbavato di fine serata, e mi ha congedato semplicemente voltando il suo drink in un'altra direzione.
In altre circostanze l'avrei sicuramente mandata a ca**re.
Eppure ieri per qualche strana coincidenza cosmica mi sono ritrovata a pensare a quella vita lontana del liceo e a quel binario su cui sarei potuta saltare a piedi pari diventando più happy hour e meno impegnat-iva, emozionandomi per cose altre rispetto a ipotetici collegamenti tra Calvino e Thoreau.
In seconda battuta ho analizzato il fatto che all'università, seppur in un turbine di esseri bipedi lontani da me anni luce, mi pare di indossare un'armatura scintillante di pensieri, letture, sogni, canzoni e storie che impedisce ogni colpo basso, ogni sguardo cattivo e mi fa andare avanti a testa alta.
A contatto con la gente di un secolo fa, però, quest'armatura sembra sgretolarsi e mi sento solo una con le scarpe sbagliate e la cordialità fuori luogo, come se stessi partecipando a una grande festa dove tutti possono fare benissimo a meno della mia presenza, sei solo una persona in più, quello che fai o come vivi non conta nulla.
Gli anni delle superiori per me sono finiti da un pezzo, chiusi tra due parentesi quadre nette e quadrate, quasi tutti i legami e le coordinate cambiate per sempre.
Non ci sono saluti e baci da regalare ma solo voglia di essere altrove, con gli amici di oggi, le risate di oggi, i vestiti di oggi e l'ultima corazza rimediata.
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mercoledì, settembre 03, 2008
Comeback cupcakes (le tortine del ritorno)
giovedì, agosto 28, 2008
Ricominciamo?
Mi sono rimessa sui libri.
mercoledì, marzo 26, 2008
h.b.
mercoledì, marzo 19, 2008
Umpf.
Parliamo un po' di me.
venerdì, febbraio 29, 2008
Folle fantasia della mente
La metropolitana si trasforma in un pontile di legno un po' alla dawson's creek, con tanto di ninfee, paperette e sole primaverile.
No, non ho fumato niente, solo chiuso gli occhi qualche secondo con la testa piena di musica per cancellare la stanchezza che già di prima mattina mi martella la testa mentre vado a lezione attraversando un traffico di persone incredibilmente serie e incredibilmente rinchiuse nel proprio micromondo, chi sprofondato nella lettura dei vari metrocityleggo, chi impegnato a esibirsi in una performance musicale alla ricerca di qualche spicciolo, chi con lo sguardo perso nel vuoto, chi a leggere ken follett e chi come me con le sue brave cuffiette in esposizione a significare che probabilmente in quel momento è sintonizzato a una frequenza in cui il mondo è una folle fantasia della mente.
Il mondo folle fantasia della mente non è niente male.
Oltre al pontile uno può immaginarsi un pic-nic sull'erba, di essere iscritto a medicina, di stare andando a ricevere un oscar e di non essersi svegliato alle cinque e mezzo del mattino.
In effetti alle cinque e mezza del mattino il mondo reale sembra una folle fantasia della mente senza bisogno di una colonna sonora musicale o di tenere gli occhi chiusi: gli oggetti galleggiano e non si ha chiara percezione nè del proprio corpo nè di ciò che si sta facendo.
L'automatismo è un meccanismo affascinante, i gesti sono precisi ma del tutto incoscienti.
E poi il cielo è lilla, le persone grigie o bianche, i treni ventosi e gli alberi trattenuti.
Il pontile invece è tranquillo.
Ci resto per qualche secondo, lancio un sasso nell'acqua e aspetto che i suoi cerchi concentrici si dissolvano lentamente lasciando la superficie intatta.
Poi apro gli occhi e mi alzo.
Appena in tempo per non perdere la fermata.
lunedì, novembre 19, 2007
Maybe I'm The Grinch
Come al solito, quando i lacci si stringono troppo e le dita incespicano sull’ennesimo bottone, qualcosa con i denti si ribella dentro me, mi ritorna il mal di schiena e quell’irresistibile desiderio di stare in silenzio la maggior parte del tempo, così finisco per immaginare qualcuno che racconta la mia storia mentre torno a casa in macchina, con la fronte appoggiata al finestrino e guardo le stelle che domandano sempre e non rispondono mai, e fuori è sottozero e mi viene in mente quel film tristissimo che forse ho visto un paio di anni fa -la mia vita senza me- che non mi era neanche piaciuto, ma l’avevo visto ugualmente per il titolo, mi sembrava volesse dire tante cose e invece era il solito pippone strappalacrime con tanto di pioggia (piove sempre in quei film lì, però piove bene, con le gocce romantiche, mica le piogge acide che mi accolgono i lunedì mattina a milano e che mi scioglieranno il cranio prima o poi).
Oggi ricevo l’ennesima mail che recita “La ringraziamo per la fiducia accordataci inviandoci il suo manoscritto” “Abbiamo letto con interesse il suo manoscritto” “La lettura del suo manoscritto ci ha convinto che non siamo gli editori che fanno al caso suo” (minchia rispondono proprio tutti) e mi sembrano passati anni luce da quel momento lì, e da tanti altri in effetti, e ripenso ai miei amati ammassi di cartacce che conservo in uno scatolone blu e penso che mi piacerebbe avere il tempo di finire quelle cose lì per me, proprio come è stato all’inizio -scrivere solo per me- e scusate se lo dico qui sul blog, magari fa brutto però è la verità.
Inoltre, se qualcuno gentilmente volesse spiegarmi perché ca**o hanno già messo le luminarie natalizie per le strade che non è manco dicembre, a me questo fatto genera ANSIA, finisce che ci toglieranno anche la malinconia del Natale e delle strade deserte a una certa ora della sera mentre il vento gelido ti taglia la faccia a metà e ti fa sentire la protagonista di qualche novella di Cechov. Sono già lì da una settimana, le slitte intermittenti, le stelle comete , le scritte buonnnnatale.
Vi prego facciamo qualcosa, un referendum, una campagna, una lettera a Berlusconi.
Non si può andare avanti così, mi girano le palle.
lunedì, ottobre 29, 2007
Quella sera a casa di Carlo
I treni portano via le persone, alcune le trasportano, altre le riportano, altre le fanno andare lontano.
La stazione centrale è molto bella quando stai tornando a casa ed è già buio, ci sono quei terribili schermi pubblicitari ovunque che si illuminano tutti insieme e formano una cosa bella, una specie di magia, di gioco di specchi, la gente cammina su e giù per i binari e si prepara a tappezzare gli scompartimenti dei treni con le sue copie di leggo,city, metro, e-polis. Io in treno non mi lamento mai della gente che puzza, c'è un sacco di gente che lo fa e non si accorge di avere le pezze sotto le ascelle per la gran corsa alla ricerca di un posto dove poter allungare le gambe.
Il mio professore di storia del giornalismo ha detto che non bisognerebbe leggere la free press, a morte la free press, e io all'inizio non la leggevo poi ho capito che leggere l'oroscopo sul megaschermo della metropolitana era ancora più triste, così adesso arrivo all'università e so tutti degli eventi di cronaca più scabrosi con dovizia di particolari, c'ho anch'io la mia copia di free press.
Sto studiando tanto. Studio perfino nella pausa pranzo, studio seduta sulla panchina di pietra con la ragazza con gli occhiali miumiu che manda i messaggini con il cellulare e fruga nella borsa gucci da cui estrae un portachiavi di gucci con delle chiavi di gucci e la sua copia di free press.
Mi distraggo pochissimo. A lezione sono incredibilmente concentrata, non mi metto mai a guardare fuori dalla finestra, non gioco con il cellulare, non disegno gli impiccati sul quaderno come facevo alla triennale.
I miei neuroni culturali si stanno riattivando tant'è che sono già quattro puntate che indovino le parole misteriose dell'eredità mentre consumo la cena, e sono sempre stata una pippa per 'ste cose enigmistiche.
Così ho pensato di telefonare a Carlo Conti e chiedergli se potevo andare da lui una sera a cena e poteva farmi tutte le domande che voleva ma poi doveva rispondere a un mio unico quesito:
considerando che vado a scuola con profitto da quando ho sei anni non sarebbe ora che mi si dicesse che posso smettere di studiare e adoperarmi in un lavoro dignitoso, una cosa che mi consenta di vivere non sdraiata su una panchina di pietra della stazione centrale?
Solo per chiedere,nè.
domenica, settembre 30, 2007
Toffismi
L'autunno quest'anno mi è piombato addosso.
Ecco non so come sia andata la faccenda per le altre persone ma a me è proprio caduto in testa, a mò di tegola, mentre ero ancora candidata al disimpegno estivo e mi godevo le giornate poco impegnative e rimandavo le decisioni impegnative a un futuro lontanissimo di civiltà robotiche e inquinamento cosmico.
Poi l'autunno è arrivato tutto insieme, pioggia nebbia, grigio, ansia da università, ansia da occupazione, necessarie e vincolanti scelte esistenziali, maldischiena, freddo, freddo, desiderio che qualcuno mi regali un gettone per fare ancora un giro sul brucomela prima di scendere.
Dove sono finiti gli ultimi due anni? Cos'ho fatto? Dov'ero? Perchè non ho continuato subito a studiare? Perchè pur essendomi fatta un mazzo quadro ho ottenuto pochissimi soldi e nessuna gratificazione di sorta?
Sono domande a cui non so rispondere e l'autunno è lì con il suo bloc-notes che ticchetta nervosamente la penna stilografica e incalza.
Sono sicura che settembre sia durato tre giorni quest'anno.
Tra pochetto inizio altri due anni di università.
Certezze non ce ne sono, il cavallo sembra buono ma l'orizzonte è pieno di lampi peggio di Twister.
Io mi sento come Helen Hunt quando resta appesa ai tubi delle condutture di una fattoria del Midwest nel cuore di un tornado gigantesco.
Solo che lei sapeva, per esigenze di copione, che il vento era finto e i tuoni pure.
Con me è diverso. Questa è la sporca realtà.
Ma, a parte tutto (un tutto grande, che se ne potrebbe parlare per settimane) ho deciso che a questo punto l'unica cosa veramente furba da fare è appendermi ai tubi con tutte le forze e cercare di non volare via.
Poi probabilmente dopo il tornado arriverà un'inondazione e finirò comunque per diventare un piccolo insignificante titolo di coda che lotta per non essere schiacciato da chi conta davvero.
Nel frattempo meglio credere in qualcosa che mollare la presa e abbandonarsi a un vento tempestoso e spietato che di logico non ha proprio niente.
lunedì, settembre 03, 2007
Talk to me
Credo che il mio gatto mi capisca.
Nel senso di "ascoltare/comprendere/elaborare".
Non prendetemi per pazza nè per gattofila di vecchia data, il mio gatto ce l'ho da un paio di settimane appena. Certo adesso mi sembra impossibile ricordare come fosse la mia stanza prima che la sua faccia spuntasse dalle tende. O che qualcuno si lisciasse la cosa sul mio cuscino.
Ci sono momenti in cui giuro che capisca tutto quello che gli sto dicendo.
E viceversa.
Ieri notte miagolava perchè non voleva che andassi a dormire e lo lasciassi solo.
-Giulio è un film orribile e c'è pure Sandra Bullock che tenta di fare la fattona e Sandra Bullock è cozza e la odio perchè ha fatto un film in cui Keanu Reeves la amava-
-Miao-
-Va bene, solo mezz'oretta ancora però, dopo me ne frego se miagoli, mezz'ora di Sandra Bullock e poi a nanna-
-Miao-
Poi giù a ronfarmi sul collo, perchè il maledetto si addormenta con tutto la felina pancia sopra la mia gola e quasi subito inizia a sognare e ad agitarmi le zampe davanti agli occhi.
Io parlo con il mio gatto e mica gli dico solo amorestellinatesorocucù, gli racconto come sto e cosa mi passa per la testa in questi lunghi noiosissimi pomeriggi di settembre.
Certo è piccolo e ogni tanto gli piace ficcarmi le unghie nel braccio senza motivo.
O forse lo fa per pareggiare i conti con i discorsi che gli propino.
Oggi ad esempio gli ho spiegato che quando qualcuno ti fa un regalo difficilmente è all'altezza delle tue aspettative, e questo settembre di ferie forzate sta scorrendo via con fatica incredibile e una certa buona dose di malinconia.
Giulio lo sa, glielo leggo nelle iridi verdissime che mi osservano silenziose.
Mi appoggia una zampa sulla faccia, fa le fusa e ci addormentiamo insieme sulla sigla di un telefilm tedesco.
Sto trascorrendo settembre sdraiata su un divano, ca***.
martedì, luglio 03, 2007
pippa-post
Quest’estate così diversa da tutte le altre.
Gli autobus sferragliano a un passo da me e vanno oltre, qualcuno mi scambia per una studentessa, forse intuendo che presto lo sarò di nuovo.
Il treno attraversa lentissimo un indefinito numero di risaie verdi. Dovevo portare il lettore mp3 e invece perdo gli occhi nel paesaggio, che tanto a quell'ora lì nello scompartimento stanno dormendo tutti.
Il problema è che sono arrivata al momento dell'uscio e della porta. Quello in cui c'è una porta davanti a te, devi bussare ed entrare e invece perdi tempo e ti guardi le spalle, sperando che qualcosa ti colpisca forte la testa o ti trascini via.
All’ufficio orientamento studenti mi imbottisco di volantini e domande senza entusiasmo.
Io ero una persona intelligente, io ero una che dava sempre tutti gli esami al primo appello e studiava forte e sodo. Io mi sono laureata con un cazzutissimo voto su un cazzutissimo autore.
Io parlavo delle lingue straniere, abbastanza bene da avere amici stranieri.
Io imparavo le cose in fretta, io scrivevo bene.
Adesso sono solo incazzata col mondo.
Perché per quanto mi chieda dove ho sbagliato, la risposta è che non si poteva fare altrimenti che crederci.
E passerà, come tutte le cose cui ci si abitua, arriva il momento in cui uno smette di farsi domande e accetta le situazioni e basta.
O magari si sfoga sul suo blog con un bel pippone tipo questo.
martedì, dicembre 12, 2006
aspettando di capire se ci sarà un natale come si deve
lunedì, novembre 06, 2006
La Piccola Isolazionista
Sistema riavviato quindi.
Con difficoltà da non sottovalutarsi in quanto esistono e sono presenti al mondo (o almeno nel mio) periodi in cui pensi che sei giù e te ne vuoi tirare fuori subito senza capire che il tuo essere giù ha un significato molto profondo, (forse).
In questi casi la procedura standard consiste nel formattarsi per qualche giorno e attendere il tempo necessario prima di installare nuovi programmi.
Detto in parole spicce, si tratta essenzialmente di inabissarsi, nascondersi, prendere polvere, assumere atteggiamenti apa/socio patici.
Essere cozze.
Così ha fatto la sottoscritta e ha finito per guadagnare, oltre che un discreto numero di ore sul divano a sperimentare il fenomeno delle giornate che non passano mai, ottime letture di tutto rispetto.
Dopo il j'accuse di Saviano è stata la volta di Michael Cunningham (Le ore, meraviglioso, da cui hanno tratto un film che non ho visto, in cui credo ci sia Nicole Kidman, e mi domando fortemente perchè spesso pur non avendo visto un film mi ricordo attori e trama, dev'essere una sorta di reminescenza platonica) e Il Piccolo Isolazionista di Labranca, libro triste e geniale consigliabile se coltivate nel vostro cuore una punta di ostinato cinismo (che maschera in realtà una sconcertante malinconia per un eldorado di cui non avete mai fatto parte).