Visualizzazione post con etichetta ho visto cose che voi umani manco le potete immaginà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ho visto cose che voi umani manco le potete immaginà. Mostra tutti i post

giovedì, aprile 24, 2008

*mi manca il sole di bari

Proporrò la cancellazione del 24 aprile dal calendario.

Il rapido succedersi di microsfighe in ancor più rapida sequenza nella giornata di oggi mi ha indotto a credere che il 24 aprile ce l'abbia con me. E di brutto pure.
Stamane la sveglia suona alle sei e mezza e mi risveglia da uno stato di dolce e piacevole coma onirico. Ero in un sogno bellissimo, un vasto magazzino vintage in cui provavo improbabili camicioni optical sotto lo sguardo benevolo di una commessa che assomigliava un po' a irene pivetti. La sveglia suona, il mio cuore va in shock come tutte le mattina ma sono in piedi, non c'è dubbio che l'essere umano con la faccia da rana che è riflesso nello specchio sono io.
Faccio colazione, ripasso gli arabi, al farabi, al kindi, al jazeera. 
Non ho voglia di prendere il treno, ho malditesta ma, penso, passerà.
Invece non passa a magenta cerco di esorcizzare le voci stridule delle due adolescenti brufolose sedute davanti a me che da una quarantina di minuti narrano le loro prodezze erotiche con dovizia di particolari. Ho malditesta, questa è una cosa su cui di solito riderei, ma invece mi girano tantissimo le palle e faccio quell'espressione da vecchietta acida e incazzosa alzando il volume della musica. Ma niente, le vocette perforanti arrivano anche lì.
Scendo a Centrale che è un delirio di trolley. Per un attimo pare proprio l'epico sfondo di una battaglia tra due eserciti i paladini del trolley e gli studenti pendolari che anzichè partire per mete esotiche stanno andando a lezione. Quanto vorrei essere dall'altra parte della barricata.
Scendo in metropolitana e mi accorgo subito che qualcosa non va; i vagoni sono vuoti la gente si agita minacciosa. "S'è rotto" il treno. Bisogna prendere il servizio sostitutivo. Come nome non è un granchè e nemmeno nella realtà trattasi di bus in cui sono già stipate circa 224 persone come blocchi del tetris. A me tocca fare il pezzo orizzontale appaiata a un gigante di due metri e più che mi ruba l'ossigeno.
Arrivo a Cadorna dopo 55minuti di bus. Del tipo che se andavo in monopattino, bendata e con un cagnetto che mi azzannava le caviglie facevo prima. Ho perso la prima ora di lezione, ho malditesta, il tizio del bar vuole mettermi il limone nel caffè.
Trascorro altre tre ore in università e poi filo sul treno.
Mi aspetta la spesa per la grigliatona di domani.
eh sì sono stanca morta.
Ma tanto non sarò da sola.
Tanto non dovrò fare 20 minuti di coda al bancomat per prelevare.
Tanto non mi accorgerò di essere senza benzina nel corso di una deviazione per le campagne casalesi che mi ha portato in paesini maori.
Tanto non dovrò fare un'altra coda di trenta minuti schiacciata contro la parete di una macelleria a fissare lingue di vitello, cuori e polmoni.
Tanto avrò tutto il tempo di fare la doccia e rilassarmi.
Tanto non dovrò ricevere centocinquanta telefonate e farne altrettante scoprendo che l'auricolare in macchina mi distrae più del cellulare.
E invece sì, tutto fino all'ultimo briciolo di sfiga è per me.
Arrivata a casa scopro che domani i miei amici mailanesi (milanesi) arriveranno alle dieci e non alle undici perchè non ci sono treni.
Ma non ci sarà mai più un altro 24 aprile. Farò una petizione, lo sciopero della fame, un calendario nudo. No al 24 aprile.
E chissà che coi tempi che corrono non finiscano per togliere anche il giorno successivo.

*scritta presente su un pilastro in stazione centrale

sabato, novembre 17, 2007

il migliore dei mondi possibili

Il blog langue.
Che è triste da una parte e un'allitterazione stupenda da un'altra.
I motivi per cui non scrivo più (e non scrivo proprio, neanche gli sms) sono molteplici:
poco tempo, studio che non è mai abbastanza, quando ho quei quattro minuti liberi mi viene l'ansia scrittoria e allora lascio perdere perchè ho giurato a me stessa che non avrei mai aggiornato un blog solo per occupare dello spazio virtuale.
I miei ultimi due mesi sono stati essenzialmente mesi di treno e metro.
Su e giù, attraverso gli stessi paesaggi, ad ammettere che ci deve essere qualcosa di sociopatico nella beata tranquillità che ricavo da questi lunghi viaggi in totale solitudine, immersa nel disordine musicale e mentale delle mie orecchie.
E poi c'è la metro, che è un mondo nel mondo, ma è un mondo che mi piace perchè si vedono cose belle che non ti immagineresti mai, la varia umanità in tutta la sua sincera incoerenza,
il nigeriano che aiuta la sciura milanese con le stampelle e la faccia di botox a sedersi e le lascia il posto, bambini cinesi che tornano a casa da scuola con i loro italianissimi compagni e parlano tutti di dragon ball, una mamma filippina con una gigantografia del suo matrimonio sotto un braccio e un bebè tutto rosa sotto l'altro, il super manager che si cava la monetina dalla tasca e la lascia sorridendo a uno strampalato suonatore di fisarmonica con la cassa di amplificazione improvvisata nello zaino; e poi a fianco le ragazze gucci-vuitton che tengono gli occhiali da sole anche sottoterra, la modella anoressica che batte il tempo tra una fermata e l'altra perchè deve assolutamente fumare, quelli che lo sai per certo che scenderanno a brera, e quelli che ostentano il sacchetto di cavalli come fosse la cosa più importante del mondo.
Tutti, fondamentalmente molto simili.

Vieni, vieni in città
che stai a fare in campagna?
Se tu vuoi farti una vitadevi venire in città.
Com’è bella la città com’è grande la città
com’è viva la città com’è allegra la città.
Piena di strade e di negozie
di vetrine piene di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce.
Con le réclames sempre più grandi
coi magazzini le scale mobili
coi grattacieli sempre più alti
e tante macchine sempre di più.
Giorgio Gaber

martedì, maggio 29, 2007

La follia della donna

Non hai mai pensato a un tatuaggetto.

La tua amica sfoggia un tatuaggetto.

Corri, corri a farti un tatuaggetto

d'improvviso hai bisogno di

un tatuaggetto, un tatuaggetto, un tatuaggetto.

(Elio e le Storie Tese, La follia della donna)


Lunedì scorso era il penultimo giorno di mensa e io consumavo il mio pasto tranquilla, finalmente consapevole che ci sono cose cui si può porre rimedio, tipo cambiare una gomma alla macchina, ricaricare il cellulare, perdere qualche chilo e cose totalmente irrimediabili come le relazioni finite, gli anni felici della propria gioventù e l'impotenza di fronte al mitologico caos della mensa di smallville. E tra una pallina di mollica schivata e una forchetta sequestrata a qualcuno che ne stava facendo uso improprio (nello specifico una fionda con cui bersagliare i commensali con tonno e fagiolini) osservavo ruminante la folla multiforme e agitevole dei gremlins in piena attività.
I bimbi di prima sono quelli che l'apparenza inganna, piccoli piccoli urlano come scimme tropicali e parlano sempre tutti insieme per essere sicuri di non capirsi. Ecco perchè in mancanza di un dialogo costruttivo, opinioni contrastanti e idee opposte vengono risolte tramite coppini, pugni e docce di budino al cioccolato.
Le bimbe di prima sono, nel complesso, brave, si siedono vicine, mangiano educatamente, sono vestite monella vagabonda e si permettono al massimo una timida risatina con la mano davanti alla bocca. Sono quelle che ti chiedono il permesso di andare in bagno e che al ritorno ti annunciano che alcuni maschi di prima stanno giocando a sputarsi e ruttare.
I bimbi di seconda si dividono in bimbi di seconda ghermiti da ragazze di terza e bimbi di seconda dannatamente agitati e principali fautori delle lotte col pane e con le posate.
I bimbi di seconda non ghermiti hanno superato lo stadio della lotta corpo a corpo dei bimbi di prima e si cimentano nella costruzione di armi rudimentali con le materie prime a loro disposizione: plastica, platesse surgelate, pane. Sono quelli che tutti i lunedì vengono a chiedermi se è vero che li porterò a giocare al parchetto davanti alla scuola. E sono quelli che tutti i lunedì si sentono rispondere di no.
Le bimbe di seconda trascorrono il tempo della mensa a parlare di riccardoscamarcio3msc e tentano invano di ammaliare i loro coetanei con gridolini isterici. Ma essi sono troppo impegnati in strategie d'attacco e conflitti alimentari.
I ragazzi di terza si divertono a suggerire ai bimbi di prima e seconda improbabili modi di combattere la noia tra una portata e l'altra, come ad esempio deformare bottiglie di acqua minerale e provocarsi trauma cranici reciproci divertendosi un mondo.
E poi ci sono le ragazze di terza, quelle che meriterebbero un post a parte, quelle che il prof di artistica dice "almeno sappiamo che si cambiano le mutande tutti i giorni".
Tali fanciulle sfoggiano abbigliamente da raccordo anulare alle tre di notte, con slip in bella vista, pance trippose esibite con fierezza, magliette aderenti e atteggiamenti da ghetto superstar.
Ora, a modo loro sono anche simpatiche, io ci ho fatto supplenza un paio di volte e dopo un primo momento in cui minacciavamo di ricoprirmi di deodorante, le avevo alla cattedra a raccontarmi dei loro folli amori per i bimbi di seconda.
Ed è qui che scatta il tatuaggetto, l'ultima moda delle predatrici: scrivere con il pennarello indelebile il nome della propria preda sul braccio, nel migliore dei casi, o sulle proprie terga nel peggiore.
Così mentre sei lì che ti divori la tua scialba insalata di carote e tonno, al posto dell'edificante lettura di un quotidiano ti diletti con la scioccante scritta
"R. ti amo tanto, io e te 3msc, tvukdb, sei tropo figo" pittata da un fianco all'altro sull'epidermide , a pochi centimetri dalle ingombranti natiche di una ragazza di terza.
E ti viene l'irresistibile tentazione di alzarti in piedi con la penna rossa e andare a correggere l'ennesimo errore di ortografia.
Menomale che manca poco.

lunedì, maggio 28, 2007

Armageddon




In questi ultimi apocalittici giorni di scuola accade di tutto.
Guardando laconica il parco del lunedì mattina, vedo piovere non solo gocce d'acqua ma anche righelli, astucci e gomme da masticare.
La fine della scuola è un po' la fine del mondo, le poche regole che eri riuscita a imporre si sbriciolano come stuzzicadenti sotto la zampata gozzillesca delle vacanze alle porte.
Tanto per fare un esempio, stamattina, nella classe di Prince, tenere a bada il cugino di Satana era come cercare di ammaestrare una tigre della malesia digiuna da giorni.
L'alunno N. correva come una pallina impazzita da un lato all'altro dell'aula rovesciando al suo passaggio astucci, banchi, zaini e righelli e cercando di segare un braccio a un compagno con una riga da disegno.
A nulla sono valsi i miei richiami: è a fine della scuola, le note non servono più, difatti N. mi ha risposto "Scriva pure che non me ne frega niente, anche sul registro eh". Purtroppo però la sua furia incontenibile mi impediva di dettare quelle poche e scialbe nozioni sugli stati europei al resto della classe, di per sè già in assetto sommossa.
Così infine, in barba a qualsiasi convenzione di Ginevra, mi sono avvicinata al suo zaino e ho requisito l'unica cosa a cui N. tenga veramente, ancora più che a sua madre: la sciarpa del Milan.
Tale sciarpa era già sfuggita a un sequestro la scorsa lezione, quando N. stava cercando di strozzarci il vicino di banco interista. I suoi occhi tradiscono finalmente un punto debole.
"Quella è la mia sciarpa, lei non si deve permettere!"
Per tutta risposta mi infilo la suddetta sciarpa milanista sotto un'ascella.
"Poichè tu ti permetti di fare qualunque cosa durante le mie lezioni, credo di poter fare anch'io un piccolo strappo alla regola del rispetto. Che dici?"
Dopo cinque mesi di lezioni insieme per la prima volta N. è senza parole.

(Anche se domani sono quasi sicura che mi farà un culo così)

sabato, maggio 19, 2007

rimembranze



...rimembri ancor
quel tempo della tua vita mortale
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?




La scuola va terminando, i giorni si fanno più dolci, i gremlins più agitati, e i primi ricordi di questi cinque mesi di follia iniziano ad affollarsi nella mente.

Come la gita ad esempio, di cui non ho mai detto qui, perchè ci sono esperienze che hanno bisogno di meditazione, elaborazione e superamente.


LA GITA



Il ritrovo per la gita è una calda mattina di aprile verso le ore 7.30.
Alcuni alunni per l'eccitazione devono aver trascorso la notte nel parco antistante la scuola, difatti, al mio arrivo, bivaccano in parte sul castello di legno, in parte sdraiati su alcune panchine.
Dopo aver ammonito i presenti che chi ha intenzione di cimentarsi in cori da stadio sul pullman prima delle 9.30 prenderà una nota sul registro perchè mi sono svegliata alle 5.30, mi attacco alla macchinetta del caffè e bevo un numero indefinibile di espressi, che mi consenta di tenere sollevate le palpebre di almeno 15 gradi .

I gremlins fin da subito si dimostrano più adorabili del solito, offrendomi tic tac ai nuovi gusti mango e frutto della passione e facendomi ascoltare qualche canzone truzza dal lettore mp3.
I tentativi di immortalarmi in qualche atteggiamento buffo e scomposto da prof assonnata si sprecano, a causa degli infidi telefonini. Mi sento un po' Nina Moric e decido di giocarmi la carta del non ho nulla da nascondere, prestandomi volontariamente a qualche scatto, consapevole che presto finirò deformata da abili smanettatori di photoshop. Si parte.


Ci sono quasi tutti: Bombo, il bambino paffutello che cerca di attirare l'attenzione degli altri estraendo dallo zaino oggetti esotici come un lettore dvd portatile (e pensare quando in gita ci andavo io con il walkman scalcagnato e le pile scariche), Mogwli (stranamente sedato dalla visione di Madagascar sul lettore di Bombo), le ragazze dal cerchietto glitterato truccate come signore della notte (che dopo quindici minuti stanno già scrivendo forsennatamente messaggini sul cellulare a quelli seduti dietro), i ragazzi a delinquere (simpatici mascalzoni che vanno a occupare l'ultima fila e si defibrillano a vicenda con pugni sui genitali), l'altra classe (cioè quella di cui io conosco bene solo i due individui cui faccio alternativa alla religione, ovvero l'Emorroissa e Cosmico, il bambino che ride sempre perchè trova le parole divertenti e spesso mi confessa di immaginarsi cose buffe, tipo un professore che entra vestito da peluche e banchi al gusto di caramelle gommose), le colleghe titolate, la collega con cui invece posso parlare liberamente perchè anche lei membro del P.A.R.I.A. (Precarie Assolutamente Reiette Inevitabilmente Antipatiche) e Marilyn Manson, il prof di religione, colui che non smetterà per un solo secondo della gita di urlare le peggio parolacce mai sentite ai ragazzi, dispensando generosi calci in culo a destra e a manca, come neanche in una rissa tra hooligans.
Imbocchiamo l'autostrada e mi stupisco della genuina correttezza dei gremlins: nessun coro, qualcuno ogni tanto si erge dal suo sedile per chiamare un compagno e dirgli una battuta, assiduo ascolto di lettori mp3 e scambio di video per il cellulare.
Marilyn però pare nella sua giornata peggiore e si impadronisce del microfono del pullman per minacciare gli astanti con un poderoso "Zitti, brutti co*****i!" che mi spazza dalla prima fila al vetro dell'ultima.
Naturalmente essendo membro del P.A.R.I.A. non posso fare altro che fingere indifferenza, a quello, e ai numerosi improperi che verranno dopo.
Forse è solo che la mattina lo mette di cattivo umore. Forse più tardi si tranquillizzerà. Forse.

Arriviamo nella ridente cittadina di M. con estrema puntualità.
Appena scesi dal pullman i gremlins vorrebbero espletare le loro funzioni fisiologiche di base: bere, fare pipì, mangiare i crackers olive e capperi.
Fortuna vuole che siamo stati parcheggiati davanti a un gigantesco Spizzico.
Quando già qualche bambino sta per varcare la porta del santuario dei suoi desideri del momento, Marilyn urla di proseguire, perchè ci sarà tempo per pisciare in seguito.
Sembra di stare sul set di Full Metal Jacket. Vabbè.

Chiudo la fila con la mia collega precaria, entrambe consce del fatto che sarà una lunga giornata. Arrivati di fronte al duomo della città, Marilyn inizia una pallosissima spiegazione storica su rituali ecclesiastici dei secoli passati e futuri.
La scolaresca è stata naturalmente piazzata col sole negli occhi, e i pochi martiri che decidono di seguire le elucubrazioni storiche perdono la vista dopo pochi secondi.
La stragrande maggioranza dei gremlins invece si dimena in preda a fortissimi stimoli di minzione. Iniziamo a temere il peggio: qualcuno potrebbe calarsi i pantaloni e rilasciare i sui acidi ureici sui preziosi sanpietrini del piazzale radical-chic.
Sotto i fiammeggiamenti occhi di Marilyn io e la collega raccogliamo i gremlins a rischio, circa una trentina, e ci avviamo alla ricerca di un bar che non sia quello del piazzale radical-chic con il caffè a 4 euro e 80 e i divani di pelle bianca. Il cameriere, elegantissimo, con i bottoni della livrea scintillanti sotto il sole di mezzogiorno, ci guardava schifato di lontano.
Quando tutto sembra perduto, troviamo un piccolissimo bar che viene immediatamente intasato dai ragazzini. Bevo altri quattro o cinque caffè per ammortizzare i sensi di colpa. Mi verrà un infarto. In tal caso magari mi dedicheranno una targhetta sulla porta del bagno.
Fermo due ragazzini nell'atto di comprare mentos e cocacola con cui provocare geyser indesiderati e facciamo ritorno al Duomo.

Ciò che accade lì dentro è affare del Signore, quindi non vi narrerò delle prodezze dei gremlins arrampicati a postriboli, altari, inginocchiatoi, icone, statue, vecchie oranti, nè vi narrerò dei loro tentativi di sfondare le coperture di vetro-plastica dell'antico pavimento della basilica, e nemmeno dell'epico "Zitti mer**!" pronunciato da Marilyn in piedi sull'altare.

La successiva tappa è un minuscolo e grigissimo museo contenente lanterne dorate a forma di uccellino (che scatenano l'ilarità dei più) e orribili arazzi parietali. Ecco io so che non dovrei dirlo, ma proprio non riesco a capire come una cosa del genere possa interessare dei ragazzini di seconda media. Proseguiamo con una lunga marcia di circa due ore sotto il sole rovente di un meraviglioso parco, pieno di angolo ellenici e bucolici, con maestosi cigni, erba color pastello, ombrose piante secolari da cui ci teniamo ben distanziati.
Il luogo scelto da Marilyn per il pranzo è posto ai margini del parco, là dove le acque dei laghetti artificiali si fermano formando una serie di puzzolenti paludi acquitrinose, con cigni fangosi e aggressivi che abbaiano famelici schioccando le fauci.

E' la mia prima gita dalla parte dei prof, e posso sedermi con loro, anche se più tardo rimpiangerò amaramente questo privilegio. L'argomento principale del nostro convivio difatti è la stupidità dei gremlins, il loro essere totalmente privi di una qualunque buona qualità, cosa che del resto non stupisce dato le famiglie da cui provengono: si sprecano i commenti pesanti su genitori, madri di dubbia reputazione, padri operai, famiglie di ignoranti ecc ecc.
Fatico a digerire il mio panino speck e brie, la voglia di conficcare le posate nel braccio dei miei commensali sarebbe tanta. La realtà è che non si può. La realtà è che non capisco perchè persone che hanno un tale odio nei confronti di ragazzetti di dodici anni abbiano scelto liberamente di averci a che fare. Certo che i gremlins frantumano la uallera. Certo che spaccano i maroni. Ma io ai miei bambini voglio bene, anche a quelli che si lanciano l'astuccio mentre cerco di spiegare qualcosa su federico barbarossa. Sono bambini che diamine, non hanno ancora superato l'età in cui una persona diventa stronza per sua consapevole scelta personale. Come invece deve essere accaduto ai titolati lì presenti.


Dopo il pranzo ci dirigiamo ad assistere alle prove di un campionato di auto da corsa. Fa caldo, gli spalti sono roventi, le auto sfrecciano monotone una dopo l'altra. Al terzo passaggio una delegazione di gremlins mi si avvicina per domandarmi se c'è la possibilità di andare a giocare a calcio nel parcheggio del pullman. "Prof, qui è una palla, abbiamo buttato via i soldi".
Quanto vorrei dar loro il permesso. Marilyn è furente e raduna i ragazzini a calci e pugni.
Risaliamo sul pullman dopo soli venti minuti. Il ritorno è surreale.

I ragazzini vociano tranquilli, le colleghe guardano me e l'altra P.A.R.I.A. in cagnesco, perchè non abbiamo più proferito parola dopo il piacevole pranzo insieme. La sosta in autogrill dura quaranta minuti. "Così i ragazzini possono comprare un ricordino" commenta Marilyn.
Dopo dieci minuti i gremlins sono già tutti fuori a farsi gavettoni di gatorade all'arancia carota e limone mentre i professori stanno terminando gli acquisti di prosciutti di parma e baci di alassio.

Le risaie scintillano verdi e azzurre. Qualche gremlins dorme, qualcuno osserva il paesaggio fuori dal finestrino e saluta con la mano camion e pullman. "Smettetela di saluta brutte teste di c***o!".

Io sono seduta con lo stomaco sottosopra e la rabbia di non poter dire niente.

Di non poter prendere da parte il professor Marilyn e chiedergli se si rende conto di quanto male fa a questi ragazzi dando loro un esempio sbagliato, quello del rispetto guadagnato con le botte e con gli urlacci.
Scendendo dal pullman richiamo un paio di ragazzini che si stanno lanciando gli zaini. Questi poi si avvicinano e mi chiedono "Prof, ma perchè non fa anche lei come il prof Marilyn e quando facciamo casino ci mena?".

"Perchè io ho stile ragazzi".


E se anche non avrò mai un contratto a tempo determinato, almeno la mia dignità di persona adulta non me la leva nessuno.

lunedì, maggio 07, 2007

Blade Runner (è tempo di mensa)


Se solo tu potessi vedere quello che ho visto io con questi tuoi occhi! (Roy)

Blade Runner, 1982, di Ridley Scott


Ovvero a frequentare la mensa del piccolo Istituto di Smallville uno inizia a credere che cose come le colonie extramondo siano possibili e in alcuni casi fortemente auspicabili.
La mensa è un salone piccolo e stretto dalla capienza massima di quaranta persone. Il soffitto, di un paio di metri appena, rappresenta la soluzione architettonica ideale per un popolo di puffi o di lillipuziani ma diventa totalmente inadatto a ospitare ragazzoni di terza media alti come un armadio a tre ante o, più in generale, circa cento bambini ipercinetici, vocianti e affamati.


I gremlins arrivano in mensa correndo giù per le scale, un po' come si fa in quei programmi giapponesi alla mai dire banzai, o ai tempi di ok è il prezzo è giusto di iva zanicchi quando partiva la sigla del "gioca con noi, l'alunno S. da Smallville!". Il mio compito sarebbe quello di smistarli sei per volta indirizzandoli a tavoli diversi ma l'impresa si rivela impossibile dal momento che tutti vogliono tenere il posto a qualcuno di un'altra classe possibilmente nel tavolo più lontano da quello dei prof. In mensa accadono cose che voi umani non potreste immaginare: i bambini, dopo essersi avventati sulle tavolate come cavallette d'Egitto, danno subito il via a un festival pirotecnico di formaggio grattuggiato, molliche di panne e bucce di mandarino. Al momento della distribuzione del primo e del secondo sciamano verso le cuoche, assediandole minacciose con più piatti di plastica per mano, specie quando c'è la pizza. Il cibo non viene masticato nè tagliato con forchetta e coltello. Lo si ingoia per intero per poter trascorrere il resto del tempo dedicandosi a più amene attività. In soli quattro mesi di mensa ho visto parrucche di spaghetti al ragù, fitte piogge di fagiolini e legumi vari, naumachie da tavolo a tavolo, duelli all'ultimo sangue con le posate di plastica, croccanti tappeti di briciole di pane e piatti sminuzzati da abili manine distruttrici.


I gremlins,con la capacità polmonare di pavarotti, placido (e certe volte anche domingo) danno sfoggio della loro estensione vocale con cori da stadio tra i più svariati e pittoreschi: c'è il sempreverde "M. culo e culo chi non lo dice" e il gettonatissimo "Se veniamo di lì se veniamo di lì" e il resto lo conoscete tutti. Altro che pay-t: alla mensa di smallville si possono vivere, minuto per minuto, le emozioni da curva sud di un derby tipo roma-lazio. O anche di una rivolta delle carceri, dove però i bicchieri anzichè fatti tintinnare contro le sbarre, vengono accartocciate sulla testa dei compagni di pranzo.


Le prime volte è stata dura, devo ammetterlo. Discendendo le scale mi sembrava di lasciare alle spalle un mondo moderno, civilizzato e razionale in cui un urlaccio o la minaccia di una nota sul diario avevano ancora il loro porco potere. Laggiù invece tutto era lecito e legittimo: infilarsi fagiolini nelle orecchie per attirare l'attenzione dei commensali, fare il gioco della bottiglia senza aver controllato che il tappo fosse chiuso, guerreggiare con i mandarini che manco il carnevale di ivrea, palleggiare le arance sulle spalle come una foca di acqualand, invitarmi a ballare per farsi perdonare di aver spalmato il compagno di robiola osella come fosse una bruschetta.


"Prof, così è più gustoso"


Dopo tutte queste mense del lunedì, seduta al mio tavolo dei professori, zitti, incarogniti e intenti a seguire bizzarre diete, osservo ancora tutto questo con stupore e disincanto, tutti questi bambini iperattivi e ipereccitati che accorrono a me lamentandosi di compagni che hanno loro sputato nel piatto, leccato la fetta di pizza o rovesciato un finocchio nel bicchiere d'acqua; e penso che in fondo...


...tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia...


È tempo di mensa.


domenica, aprile 29, 2007

Magic moments

Ad un certo punto dell'anno scolastico arriva il momento della foto di classe.
Di solito è quel giorno in cui sei arrivata a scuola vestita così bene che hai letto negli occhi della gente intorno la tacita domanda "Ma le sarà andata via la luce in casa a questa?".
E dire che i miei look lavorativi solitamente spopolano tra il personale ausiliario della scuola di smallville.
C'è la mattina in cui mi presento alla porta con uno stile gitano da cugina povera di Joaquin Cortez e quella in cui interpreto un casual da diciottenne così che le bidelle prima di aprirmi mi sottopongono a riconoscimento vocale.
Come dimenticare poi quel giorno in cui la segretaria mi ha fermato in mezzo al corridoio ordinandomi con tono perentorio di seguirla in segreteria.
Già pensavo a un richiamo disciplinare o a una terribile dimenticanza burocratica ; invece la signora, tutta civettuola, mi fa i complimenti per il mio abbigliamento e mi chiede quali sono i negozi che frequento "Che poi lei è così carina che sta bene con tutto!".
Cacchio, per un attimo mi sono sentita mejo de Nicole Kidman.
Credo di essere arrossita e avere bofonchiato qualcosa tipo un po' di lì e un po' di là, dimostrando la mia totale inattitudine a diventare un'icona di stile.
La mattina della foto di classe ogni dubbio era fugato di fronte ai miei improponibili abbinamenti.
Essendomi svegliata alle sei del mattino per il terzo giorno di seguito, dopo una serie di nottate insonni per completare la stesura di un articolo su Jacques Derrida e la decostruzione del terrorismo, non mi è riuscito di cercare niente di più che un paio di jeans e 'na maglietta mattone, cercando di ingentilirli con una collana dal gusto fieradisenigallia.
Menomale che la segretaria aveva preso le ferie, altrimenti perdevo la stima di quell'unica persona in Smallville.
C'è da dire in mia difesa che nessuno sapeva dell'evento fotografico; nemmeno le ragazzine che, dopo una soffiata della bidella del piano, hanno iniziato a chiedermi:
1) a che ora c'era la foto di classe (e giù a rispondere che non ne sapevo niente altrimenti mi sarei messa un vestito che rendesse giustizia alla mia età e non mi facesse apparire una diciassettenne incazzata col sistema)
2) se sapevo a che ora c'era la foto di classe (di solito i gremlins sono soliti chiedere tutto due volte; quando gli si risponde facendo loro notare che lo si era già fatto in precedenza si limitano a sbarrare gli occhi terrorizzati da questa inquietante prospettiva)
3) se potevo lasciarle andare in bagno a pettinarsi (faccio notare loro che la foto potrebbe essere anche all'ultima ora e quindi, con l'intervallo di mezzo, ogni tentativo di acconciatura si rivelerebbe vano)
4) se potevo andare a chiedere alla preside di spostare la sessione di foto l'indomani (eh, magari)
5) se la foto la facevo anch'io (e qui, più che affetto per la prof, ci ho letto la consolazione femminile di posare accanto a una vestita veramente male, in modo da far passare in secondo piano la propria imperfezione).
Concluso momentaneamente il capitolo "dubbi, quesiti e perplessità sulla foto di classe" stavo cercando di spiegare le teorie illuministe di Cesare Beccaria quando bussa alla porta il vicepreside e mi chiede cortesemente di uscire un attimo.
E qui scatta il secondo momento fatidico della vita scolastica.
Le prove dell'evacuazione.
"Ecco, tra poco suonerà una tromba (ma che è? Dungeons & Dragons?) e sarà il segnale del finto-incendio. Voi non dovete dire ai ragazzi che ci sarà l'evacuazione ma raccomandatevi che stiano in fila per due, non lascino oggetti di valore in classe ed escano dalla porta di sinistra".
Mentre il brav'uomo ci spiegava per filo e per segno il mefistofelico piano della finta evacuazione, nel mio cervello sfilavano le immagini apocalittiche di cosa sarebbe potuto succedere dopo il suono di una tromba, in classi in cui anche un astuccio che cade costituisce un valido movente per dare inizio a una rievocazione della presa della Bastiglia.
Pertanto non appena rientrata in aula spiego alla classe che ci sarà una prova di evacuazione, che per loro sarà però una prova di educazione: nessuno dovrà urlare, picchiarsi, lanciare alcunchè, pena una simultanea verifica di analisi logica.
Nel successivo quarto d'ora mi viene chiesto almeno una decina di volte quando si svolgerà la prova di evacuazione. Finalmente la tromba suona, si apre la caccia alla volpe, incolonno i miei e scendiamo in cortile dove tira un freddissimo vento temporalesco.
Le classi si mischiano tutte insieme e la prova di evacuazione diventa un incontrollabile intervallo in cui invano i docenti perdono parte delle loro corde vocali per richiamare il gregge.
Io il mio ce l'ho in pugno con lo spauracchio dell'analisi logica e, difatti, nemmeno gli ovini più movimentati si allontanano troppo dal punto di raccolta.
Basta un urlo di richiamo e torniamo in classe, davvero educatamente.
L'ora di lezione è terminata e inizio a sperare di poter scampare alla temibile foto.
Trascorro i successivi cinquanta minuti di compresenza con i miei reietti del cuore: Mowgli (bambino ufficiosamente disconosciuto dalla mamma, uno che avrebbe bisogno di un sostegno affettivo pazzesco) e Tarzan (ragazzino marocchino, ultimo di sette e dico sette sorelle, all'inizio dell'anno solito prodursi in rumori gutturali e urla sataniche, dopo un tema su Blade e l'esercito dei vampiri siamo diventati grandi amici).
Io a questi bambini qui voglio proprio bene, tant'è che mi sbatto a propinare loro schede su schede di recupero e quando Tarzan mi chiede se "antiquato" vuol dire "vecchio" mi si stringe il cuore. Certo tra un mese sarà tutto finito, io sarò di nuovo in stand-by lavorativo e loro in
stand-by cerebrale ma almeno potremmo dire di aver vissuto un'intensa storia didattica.
Suona la campanella e proprio mentre mi accingo a raccogliere il mio solito fiume di fogli, appunti, quaderni, registri e squagliarmela in grande stile vengo carpita dalla ferrea mano della prof di scienze che annuncia "Andiamo a fare la foto".
L'idilliaco sfondo per i ritratti dei gremlins è il parchetto di fronte alla scuola, già luogo di ritrovo di molti alunni di prima media che vengono a fumarci le sigarette rubate ai genitori "Ma facciamo solo qualche tiro prof".
Il dado è tratto, lo scatto compiuto, e la mia faccia da quarta ora immortalata per sempre negli annali della scuola di Smallville.
"Poi ci fa le dediche prof?"
"Io su di voi potrei scrivere un romanzo..."

lunedì, aprile 16, 2007

L' Emorroissa



Ormai mi sono abituata alla mia duplice natura scolastica.
Quella di prof generalmente stimata dagli alunni cui mi sono affezionata, e come supplente generalmente schifata dal resto del personale docente, bidelle comprese.
Sono cose cui appunto si fa l'abitudine, come prendere il caffè nell'ora buca il lunedì pomeriggio, prima di tuffarmi nella correzione delle solite quattromila verifiche cui sottopongo con costanza i gremlins.
Quand'ecco che scendendo le scale sento urla lancinanti provenire dalla bidelleria, proprio accanto alla macchinetta del caffè. Si direbbe stiano squartando qualcuno con un coltello da macellaio. Avvicinandomi scopro che si tratta dell'alunna S., a cui faccio alternativa alla religione il venerdì. Il professore che le compete mi rivolge il solito sguardo inebetito e dice che "Devono essere dolori mestruali". Poi lo chiede anche all'alunna S. che rotolandosi sul pavimento urla con voce indemoniata "Sì, ho male alle ovaieeeeeeeeeeeeeeeee". Nell'impossibilità di darle medicine le propongo un the caldo e mentre glielo porgo dalla macchinetta il professore è scomparso, la solita bidella simpatica come un granchio attaccato al mignolo chiude la porta "perchè le urla danno fastidio" e mi ritrovo in bidelleria sola con l'emorroissa e un'amica corsa a prestarle aiuto.
Trascorro una buona mezz'ora a calmare l'alunna S., assicurandole che non morirà e che deve cercare di stare seduta su un divano anzichè lucidare il pavimento al posto della bidella antipatica. Trema tutta come una foglia e quando le fitte sono più forti mi pianta qualche unghia nel braccio. E a me scatta la coccola in automatico, davanti a bambini e bambine che piangono difficilmente riesco a non sciogliermi come un barattolo di nutella al sole.
La cortese signora del personale ausiliario rientra solo un secondo per recuperare un mazzo di chiavi e le chiedo se per caso ha una cannuccia o un cucchiaino: la risposta è un grazioso no con sottinteso "ma che cacchio di idee ti vengono?" e una porta sbattuta. Parente della Rott?
Io l'emorroissa e l'aiutante ci alziamo e migriamo in sala insegnanti, così mentre S. si stende sul divanetto le sistemo una giacca sulla pancia, le slaccio i jeans iperaderenti e la cintura strizzante.
La mamma dovrebbe venirla a prendere ma S è preoccupata perchè la macchina serve al papà per il lavoro e non vorrebbe aver creato problemi.
Scopro che ha già sofferto di dolori forti ma "la mamma non va in farmacia perchè non sa parlare italiano e chiedere che medicina deve prendere. Quando sto male mi fa bere le tisane ma non mi passa". Le scrivo un paio di nomi di antidolorifici su un foglietto, assicurandomi che non sia allergica a niente. Nel mentre entra una prof che osservando S. esclama "Eh, tutte 'ste scene per i dolori mestruali, li abbiamo avuti tutte eh!". Il successivo sguardo è per me e comprendo al volo che significa "Non dovresti andare dietro a tutte le paranoie di queste ragazzine, non si fa".
Quando mancano dieci minuti alla fine dell'ora la mamma di S. viene a prelevarla e mi sorride per ringraziarmi. Io torno in aula insegnanti e la guardo andare via dopo aver imballato un paio di volte con l'auto.
Sì, forse non è giusto. Forse o si aiutano tutti o non si aiuta nessuno.
E coccolare una bambina di seconda media è viziarla ed è un'alunna e non si dovrebbe fare.
Ma io quando succedono queste cose mi sento più una mamma che una suppl.
E penso sia meglio dare un vizio invece di insegnare menefreghismo e indifferenza in una società che lascia tutti soli, con i loro problemi, le loro miserie e le loro difficoltà.
La solidarietà è sempre una buona soluzione.
Con tutte le volte che la S. mi ha aiutato tante volte a compilare il registro ci mancava solo che non le tenessi un po' le gambe sulle ginocchia!

giovedì, aprile 05, 2007

Love is in the air


Gli ultimi giorni di scuola sono trascorsi nel tentativo di spiegare qualcosa ai gremlins impegnati nei loro complicati rituali d'amore.
Mi sono sentita un po' vecchia e un po' stagionata, a vedere le ragazzine ricopiare con l'uniposka dorato il nome dell'amato centinaia di volte sul diario e i ragazzini chiedermi di andare in bagno armati di bianchetto per aggiornare i loro amori a parete (grazie moccia, un giorno la scuola italiana ti darà un rullo da pittore e organizzerà per te un tour punitivo per rimediare a ciò che hai fatto).
Spero solo che nessuno cancelli un Prof M. sei figa! dipinto un paio di settimane fa e di cui vado molto orgogliosa. Come lo so? Una soffiata nell'intervallo da parte di un paio di giuda che mi hanno fatto i complimenti dicendo che "Sa prof, di solito ci vogliono quattro o cinque mesi, lei è qui da gennaio e già ha la sua scritta". Mi aumenteranno anche lo stipendio? Speriamo.
Tornando all'ormone impazzito dei miei studenti, volevo farmi partecipi delle vicissitudini di Bubble Soap, colei che all'interno del suo cranio ha una miriade di minuscole bollicine rosa che frizzano e scoppiano producendo scie multicolori.
Ho idea che ogni qualvolta le pongo una domanda di qualsiasi tipo, le sue connessioni neuronali inizino a cantare all'unisono "Vola mio minipony, vooolaaa".
Di solito si limita a sorridermi e dire che non sa rispondere perchè "La D. mi stava passando un bigliettino prof, adesso prometto che sto attenta".
Nonostante il suo alto tasso di frivolezza, non riesco proprio a farmela stare antipatica e le sue stucchevoli confessioni mi suscitano un'inspiegabile indulgenza; credo di non avere mai incontrato in vita mia nessuno che incarnasse meglio tutti i difetti dell'adolescenza femminile in un colpo solo.
Le prime avvisaglie della sua personalità frou-frou si manifestano in un lontano giorno di febbraio.
Trascino con me in un'ora di supplenza-compresenza in IIId Bubble Soap e altre amiche appartenenti al MENSA (quella scolastica però) per recuperare precedenti disastrosi compiti in classe. Le tre friggono come uova in padella e si lanciano in ridolini convulsi dicendo che in IIId non possono fare il compito, che c'è un tipo "che poi le spieghiamo prof, è una storia da pazzi!".
Fingo indifferenza, le metto alla cattedra e consegno i compiti. Per il resto dell'ora Bubble & friends si contorcono sulle sedie come serpi, si sussurrano emozionate scemenze all'orecchio, scrivono bigliettini e si guadagnano la loro ennesima insufficienza grave da parte della sottoscritta. Bubble mi avvicina per rendermi partecipe della loro storia da pazzi

"L'ha visto M. no? Non pensa che sia un figo pazzesco? Adesso deve scegliere tra me e D. e io non ce la faccio prof, non riesco a fare niente, lui è bellissimo. E sa prima sono stata un anno con l'alunno T (il fatto che lo chiami per cognome non mi fa presagire una grande storia d'amore) ma poi l'ho lasciato e ho cancellato il suo nome dal mio astuccio, solo che lui ha scritto sul banco che mi ama ancora ma io adesso sono presa per M, poi se non mi sceglie vediamo cosa fare".
:-O

Inutile dire che la primavera ha sortito effetti devastanti sulla povera Bollicina di Sapone che arrossisce e sussulta ogni volta che un compagno di sesso maschile le chiede qualcosa, fosse pure l'evidenziatore perchè gli si è scaricato. Nell'estremo tentativo di sottrarsi agli ostacoli del cuore proprio ieri vieni alla cattedra a chiedermi se può accomodarsi accanto a me
"Perchè prof, sento T che mi guarda la schiena e non ce la faccio".
Così ho aggiunto una sedia, soprannominato l'alunno T. occhi di fuoco e consigliato a Bubble di farsela passare perchè proprio non mi sembrava uomo da perderci la testa.
Lei mi ha guardato fiduciosa e ho finito di spiegare la rivolozione industriale.
Ma già sulla cattedra atterrava un bigliettino lanciato dall'alunna V. (dotata di pessima mira) all'alunno D seduto in prima fila.

Love is in the air.

lunedì, aprile 02, 2007

Scenari inquietanti (ipse dixit)

Alunno A.:

"La Croazia è un paese povero e l'allevamento è praticato dai bovini".