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venerdì, ottobre 24, 2008

Carissimi/e.

I fatti degli ultimi giorni, sì stiamo parlando di quei fatti, mi lasciano senza parole. 
Non perché non abbia un'opinione, certo che ne ho una, ma il problema è che mi fa soffrire. 
Se ci penso mi sento le budella contorte. 
Se penso a cose come la mancata integrazione, il razzismo, i soldi a tutti i costi, la corruzione, la furbizia, il raggiro, lo sfruttamento, la maleducazione, il precariato, l'ignoranza.
Se penso che ancora non capisco perché le notizie parlino sempre (a destra e a sinistra) di un cinese, un marocchino, un albanese, un rumeno come se queste persone non avessero un nome e un cognome. 
Se penso alla scuola come l'ho vissuta io, a tutti i ragazzini/ragazzine che vivono la loro infanzia in totale solitudine perché i genitori sono in fabbrica dal mattino alla sera.
Se penso alle lezioni della mia Grande Ricca Università dove la gente finita la lezione butta tutto per terra, fazzoletti, bric di succo, giornali, scontrini, biglietti del treno, dove ti prendono a spallate senza chiedere scusa, dove non ci si saluta mai a meno che non si voglia qualcosa in cambio.
Se penso che ieri al tg5 consigliavano di fare yoga per combattere lo stress quotidiano e avere una vita migliore. Yoga, c***o.
Sono tutte cose che mi stanno fare male nel profondo, che mi fanno scrocchiare le ossa della spalla destra da giugno a questa parte, mi fanno svegliare alle quattro del mattino, mi fanno smettere di guardare la televisione, di leggere i giornali.
Sono stufa di questo paese, posso scriverlo? 
Credo sia il punto.
Ci sono giorni in cui mi ritrovo a buttarmi con passione nello studio di cose sociologiche o filosofiche o altro, sentendo che questo cambierà il mondo o almeno cambierà il mio mondo, mi aiuterà a resistere, mi aiuterà a rendermi conto sempre di quello che succede.
E giorni in cui vorrei non sapere niente di niente, vivere di totale inconsapevolezza, immergermi completamente in una qualche superficialità, per provare l'ebbrezza di sentirmi parte di un tutto sociale e non la solita briciola di colore sbagliato.
Non mi riconosco negli ometti bassi e pelati, né nelle donnine con la messa in piega fresca di parrucchiere che in questi giorni rilasciano dichiarazioni inquietanti come se nulla fosse, come se nessuno fosse più in grado di capire che ci stanno fregando.
Ma non mi riconosco nemmeno in quelli che la mattina presto mi riempiono di volantini sul marxismo-leninismo, rispolverano le magliette del che-guevara e sono semplicemente contro, senza avere un'idea propria, qualcosa in cui credere fortemente e positivamente.
Mi rendo conto che questo atteggiamento sia sbagliato, pessimista, cinico, perché in fondo nemmeno io propongo niente di nuovo.
E' che per il momento va così, davvero.
Sono stanca, stufa, vorrei una corazza di gomma da indossare tutti i giorni per farci rimbalzare contro i pensieri cattivi.

mercoledì, luglio 16, 2008

This is the end, my old friend

Finito. 
Oggi esame n°12. 
Che è andato bene ma di cui non parlerò, perché richiederebbe un'altra lunga dissertazione su quanto siano ridicoli alcuni meccanismi universitari. 
L'anno accademico per me è finito, non ho più voglia di polemiche, né di treni, né di sveglie alle prime luci dell'alba, né di seppellirmi sotto un mare di appunti e fotocopie. 
Vero che al momento con le facoltà cerebrali prossime allo zero ancora non mi sento totalmente in vacanza. 
Però c'è stato quell'attimo sulla via del ritorno, mentre mi trascinavo nel tragitto stazione-casa che ho sentito una leggerissima brezza estiva sulla faccia. 
Che fosse estate? Chissà. 
Per completare il rituale dell'abbandono dell'impegno culturale ho in programma di andare a vendere al più presto tutti i libri studiati che reputo non facciano altro che infestare la mia scrivania e convertirli in danari da spendere nelle maniere più basse possibili, tipo per ingressi in piscina, o eleganti brunch all'aperto.
 
Tutti sappiamo che, vada come vada, tra una settimana mi lamenterò della mia nullafacenza.
Però promettete di fare finta di niente.
Io in cambio prometto a breve un post con un recuperato filo logico.
Incrocini.

lunedì, luglio 14, 2008

Indignatio!

Leggo Mimì e penso che ce l'hanno rubata sotto al naso.

Per ognuno è stato un pezzo che pensava piccolissimo e insignificante anche perché gli avevano raccontato che crescere è così, bisogna perdere un po' di pezzi per sostituirli con altri più adatti. 
Però non è stato difficile rendersi conto che ci hanno fregato, staccandoci pezzi di cui avremmo sentito una mancanza viscerale, ecco sì, proprio viscerale.
Ci hanno preso qualche grammo di dignità, qualche risata, briciole di spensieratezza, polvere di autoironia, bacche di orgoglio, grani di sicurezza.
In cambio ci hanno dato due semplicissime opzioni.
a) Scegliere il mucchio uniforme, incolore e insapore dei senza-più-pezzi, oppure 
b) remare affannosamente controcorrente insieme ad altri nostalgici-dei-pezzi-mancanti.
Pare ovvio che io mi senta membro della seconda categoria.
Pare ovvio anche perché succede che mi ritrovi a guardare laconicamente le sedicenni in canottiera e minigonna e ricordare di quell'età beata in cui si stava malissimo comunque, ma per dolori pieni di importanza o che almeno sembravano eroici, perché quello contro cui noi giovani-adolscenti-pieni-di-pezzi-pulsanti combattevano non era mai infelicità o malinconie passeggere ma L'Infelicità, La Malinconia. 

Il problema è che forse non siamo stati abbastanza attenti, ci deve essere stato un momento della Grande Fregatura, verso i diciotto, mentre eravamo intenti ad ascoltare i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, i Depeche Mode o qualche altro gruppo che rappresentasse La Rabbia e L'Inadeguatezza.
Il giorno dopo ci siamo svegliati come se nulla fosse, senza sapere che un solo giro di lancette ci aveva trasformato maleficamente in "precari".
Oddio, precari lo siamo sempre stati, se per precari intendiamo in punta di piedi su un filo ondeggiante che qualcuno chiama destino. 
Ma il fatto che la società abbia coniato addirittura un neologismo per definire la nostra generazione è stato come scoprire che Babbo non solo non esisteva più ma aveva anche venduto la sua immagine alla scuderia di Lele Mora.
Precari capite? Sarebbe stato molto meglio essere la generazione mtv, la generazione x, la generazione sms. 
Se non altro generazione non è un termine tanto malvagio, pare quasi si dica "con questi è andata così ma poi con la prossima generazione sarà diverso".
Invece lì "precari", affibbiato in modo codardo ad libitum.
Gente che non trova lavoro e se ne trova uno non è detto che riesca a conservarlo. 
Bel modo di merda di definire qualcuno, scusate, se è permesso dirlo.
E poi così precari, senza nemmeno una parola per tentare di descrivere il peso esistenziale che possono sentirsi sulla testa giovani menti che, mentre il sistema si rovesciava come un calzino e cambiava tutte le regole del gioco, ancora ce la stavano mettendo tutta a impegnarsi in qualcosa, studiare con passione, inseguire obiettivi, coltivare la propria onestà intellettuale.
Oggi l'onestà intellettuale è una barzelletta di quelle che non fanno neanche tanto ridere.
Posso fare un esempio? Posso fare un esempio? 
Faccio un esempio.
Sabato sera incontro ex-conoscente (amica a questo punto non direi) fuori dall'entrata di un cinema. 
La vedo e la saluto (scusate se sottolineo la cosa ma qui a Seattle salutarsi è gesto di pochi sprovveduti). E pure mi avvicino per scambiare due parole (intrepida!). 
Così mentre mi informo gentilmente su che cosa stia facendo della sua vita (stando attenta a non fissare i suoi stivali di pelle bianca per non essere maleducata) mi accorgo che mi sta guardando con compassione. Eh sì, proprio compassione. 
E non solo. Allo sguardo compassionevole si accompagnano anche poche parole di compassione, del genere "sì ti parlo ma con quella giusta distanza che si deve sentire tra noi, perché io sono uscita vincente dagli anni di incipiente consumismo mentre tu l'hai sofferto e basta". (non penso che abbia utilizzato l'aggettivo "incipiente" in nessuna delle sue rappresentazioni mentali, comunque).
Certo lei vestita di hot pants e stivali di pelle bianca, con la piega fresca di parrucchiere, ha già un lavoro di aiuto in uno studio di fisioterapia, dopo aver studiato solo tre anni e manco tropoo assiduamente, e ieri è andata a farsi la lampada per avere la carnagione carbonifera e ha quei maledetti stivali di pelle bianca, già.
Io invece ho una carnagione stokeriana perché mercoledì devo dare il mio dodicesimo esame di quest'anno per cui ho dovuto leggere non meno di 4000 pagine, e anche se ho una media impressionante e un ottimo vocabolario italiano, la società corrente impersonata dalla donnina sbarluccicosa mi giudica sfigata.
Perché per onestà intellettuale non mi metto gli hotpants e gli stivali bianchi per andare a vedere un film alla multisala. Perché  (lo posso dire vero? lo posso dire vero?) mi sentirei un tantinello bagascia.
Ma nessuno racconta com'è il mondo dei nostalgici-dei-pezzi-mancanti, di cosa significa sentirsi terribilmente  donchisciotteschi in ogni situazione, scavare miliardi di tunnel nel profondità del proprio io per trovare un posto dove riuscire finalmente a nascondere quello che di più prezioso ci resta e incrociare le dita perché non lo trovi nessuno.
Finisce che ognuno combatte la sua battaglia in silenzio e ogni tanto ritrova in qualcun'altro lo sguardo e le parole di chi sa davvero cosa vuol dire tutto questo.
Quindi per finire due semplicissime cose:
1. mi scuso per aver utilizzato ben due termini di sporco dissenso all'interno di questo post
2. mimì courage!

Dopo di che, raccolto il cappello, il bastone e il coniglio mi congedo da voi e vado a svenire sul letto in attesa di essere svegliate dalle rimanenti dispense per il ripasso.
Fate sogni d'oro sparuti lettori.




sabato, febbraio 23, 2008



Premetto di non essere una grossa esperta in materia di film.
E me ne pento.
Però questo film mi chiamava e ho strarotto le palle alla mia dolce metà per farmici accompagnare.
In sala eravamo sei persone.
Sei.
Quando sono andata a vedere Cloverfield (sì va bene, sono andata a vedere anche quello con il mostro che fa tanta paiura, mica sono una filosofa solo truffaut e vestiti neri :-P) la sala era piena.
Queste sono cose del mondo che non capisco.
Perchè "Le scaphandre et le papillon" è un film meraviglioso, con una delicatezza incredibile, attori bravissimi, nessuna sbavatura, una colonna sonora pazzesca e che ti lascia dentro come un sospiro, un soffio su un mare di candeline accese.
Quindi se siete fondamentalmente pigri fate lo sforzo di alzare le chiappe e andare a vederlo.





Gli ultimi giorni di deliziosa febbre mi hanno invece regalato il tempo necessario per finire di leggere "Bambini nel tempo" di Ian McEvan.
E' un libro che volevo leggere da mesi, non ricordo nemmeno perchè, poi qualche giorno dopo l'esame di storia me lo sono ritrovato davanti in libreria ed è scattato l'acquisto.
Premetto che è un libro difficile, complicato e logorante. Però ci sono passaggi come questo qui:

«Stephen, ascolta, Stephen, prova, a metà dell'estate, a parlare di Natale a un ragazzino di dieci anni. Tanto varrebbe parlare a un adolescente dei suoi progetti pensionistici. Per i bambini, l'infanzia è senza tempo. È un presente continuo. Tutto quanto si coniuga al presente. Certo, hanno ricordi anche loro. Certo, anche per loro il tempo si muove un poco intorno a un Natale che viene sempre alla fine. Ma non ne hanno la "percezione". Percepiscono quello che è l'oggi soltanto, e quando dicono "da grande"... lo fanno sempre con una certa dose di incredulità. Come potrebbero mai essere altro da quello che sono? ...»
e descrizioni incredibili.
Quindi va letto. Magari con calma. Magari mettendoci molto tempo. Però promettere di aggiungerlo alla lista di libri che leggerete in un futuro anche remoto o che porterete con voi su un'isola deserta in caso di un naufragio alla lost.

Ma tutto questo perchè?
Perchè lunedì ricomincio l'uni e non avrò più tempo per cazzeggiare con tutti questi oggetti letterari o di vedere film appassionanti e ho bisogno che qualcuno lo faccia al posto mio.
E magari poi li racconti.