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mercoledì, luglio 16, 2008

This is the end, my old friend

Finito. 
Oggi esame n°12. 
Che è andato bene ma di cui non parlerò, perché richiederebbe un'altra lunga dissertazione su quanto siano ridicoli alcuni meccanismi universitari. 
L'anno accademico per me è finito, non ho più voglia di polemiche, né di treni, né di sveglie alle prime luci dell'alba, né di seppellirmi sotto un mare di appunti e fotocopie. 
Vero che al momento con le facoltà cerebrali prossime allo zero ancora non mi sento totalmente in vacanza. 
Però c'è stato quell'attimo sulla via del ritorno, mentre mi trascinavo nel tragitto stazione-casa che ho sentito una leggerissima brezza estiva sulla faccia. 
Che fosse estate? Chissà. 
Per completare il rituale dell'abbandono dell'impegno culturale ho in programma di andare a vendere al più presto tutti i libri studiati che reputo non facciano altro che infestare la mia scrivania e convertirli in danari da spendere nelle maniere più basse possibili, tipo per ingressi in piscina, o eleganti brunch all'aperto.
 
Tutti sappiamo che, vada come vada, tra una settimana mi lamenterò della mia nullafacenza.
Però promettete di fare finta di niente.
Io in cambio prometto a breve un post con un recuperato filo logico.
Incrocini.

lunedì, marzo 31, 2008

Oggi, ieri.

Oggi, lunedì.

Anzi.
Ieri, domenica, ho cercato di adottare una nuova strategia di vita. 
Basta pensare alla domenica come un "è quasi lunedì", sì a pensare invece che sia "ancora domenica".
Mi ci sono impegnata a fondo, sapevo di dover affrontare quest'ultima tranche di frequenza con il sorriso sulle labbra pena rischio di depressione fulminante da "cielo ho 25 anni e sono ancora qui con gli evidenziatori e i righellini". 
Comunque dicevo, mi ci sono messa sotto. 
Ho trascorso la domenica studiando poco, cazzeggiando per lo più, canticchiando. 
Ho utilizzato una crema balsamo per i capelli.
Mi sono messa lo smalto sulle unghie (che non succedeva dal '93).
Così oggi-lunedì quando è suonata la sveglia il mio primo pensiero è stato "Ma perché ho messo la sveglia? Dove devo andare?". 
Poi ho subitaneamente realizzato che era lunedì e dovevo prendere lo zozzo regionale per andare all'università, però sono stata contenta, la nuova filosofia aveva funzionato. 
Per il momento. 
Durerà pochissimo, già  so che risulterà impossibile ricacciare a diritti e rovesci gli scatoloni di sfiga universitaria che mi rotoleranno addosso. 
Ma devo avere fiducia in me stessa, l'ho scritto anche sulla moleskine "Tieni duro". 
Che sono alle cozze lo capite da soli, sono già arrivata allo stadio del training motivazionale da rampante manager newyorchese. 
Solo che io non sono una manager e non vivo a New York ma a Vercelli, un posto che tra poco diventerà un puntino verde in mezzo a un mare di zanzare.
Stanno iniziando ad allagare le risaie. 
Le ho osservate bene oggi al ritorno, perché ho perso le cuffie del lettore e quindi non mi restava che osservare intensamente il paesaggio e orecchiare i discorsi impossibili dei compagni di viaggio. 
Giuro che in questi mesi ne ho sentite di tutti i colori, dall'amante che fa la gatta col marito di un'altra, al ragazzo che spiega per filo e per segno al cellulare come fare a procurarsi un motorino rubato con tanto di targa falsa, alle studentesse di medicina che si raccontano autopsie sgranocchiando croccanti toasts al prosciutto. Cosa dicono del mondo? Bello perché vario. Almeno lo dicevano una volta.
Oggi in metropolitana c'era un bambinello zingaro (età presunta buona per la terza elementare) che ha strimpellato malissimo al violino un pezzo classico e si è fermato dicendo "Scusate, non sono tanto bravo, suono da due giorni".
Io quello che avevo in tasca gliel'ho dato. 
E ho anche pensato alla santanché. Che crede in Dior, Celine, Louis Vuitton (come dice la sempre grande Cortellesi) e che la cosa più importante di cui l'Italia ha bisogno oggi sia prendere a pedate nel sedere i clandestini.
A me però quel bambino lì mica mi ispirava calci, casomai simpatia e un po' di istinto materno perché sarebbe stato a scuola che solo in una metropolitana dove chiunque può portarselo via senza tanti complimenti.
Posso dirlo qui che mi sa che non andrò a votare? 
Non ce la faccio proprio, cozzerebbe con il mio tentativo di essere positiva e pensare solo a ritagliare le sottilette con le formine per fare il formaggio animalesco da mettere sul mio pranzo in scatola.
Ho dimenticato della punteggiatura credo. 
E forse anche altre cose da dire.
Ma per il momento va così, e finché dura, godiamocelo.



sabato, novembre 17, 2007

il migliore dei mondi possibili

Il blog langue.
Che è triste da una parte e un'allitterazione stupenda da un'altra.
I motivi per cui non scrivo più (e non scrivo proprio, neanche gli sms) sono molteplici:
poco tempo, studio che non è mai abbastanza, quando ho quei quattro minuti liberi mi viene l'ansia scrittoria e allora lascio perdere perchè ho giurato a me stessa che non avrei mai aggiornato un blog solo per occupare dello spazio virtuale.
I miei ultimi due mesi sono stati essenzialmente mesi di treno e metro.
Su e giù, attraverso gli stessi paesaggi, ad ammettere che ci deve essere qualcosa di sociopatico nella beata tranquillità che ricavo da questi lunghi viaggi in totale solitudine, immersa nel disordine musicale e mentale delle mie orecchie.
E poi c'è la metro, che è un mondo nel mondo, ma è un mondo che mi piace perchè si vedono cose belle che non ti immagineresti mai, la varia umanità in tutta la sua sincera incoerenza,
il nigeriano che aiuta la sciura milanese con le stampelle e la faccia di botox a sedersi e le lascia il posto, bambini cinesi che tornano a casa da scuola con i loro italianissimi compagni e parlano tutti di dragon ball, una mamma filippina con una gigantografia del suo matrimonio sotto un braccio e un bebè tutto rosa sotto l'altro, il super manager che si cava la monetina dalla tasca e la lascia sorridendo a uno strampalato suonatore di fisarmonica con la cassa di amplificazione improvvisata nello zaino; e poi a fianco le ragazze gucci-vuitton che tengono gli occhiali da sole anche sottoterra, la modella anoressica che batte il tempo tra una fermata e l'altra perchè deve assolutamente fumare, quelli che lo sai per certo che scenderanno a brera, e quelli che ostentano il sacchetto di cavalli come fosse la cosa più importante del mondo.
Tutti, fondamentalmente molto simili.

Vieni, vieni in città
che stai a fare in campagna?
Se tu vuoi farti una vitadevi venire in città.
Com’è bella la città com’è grande la città
com’è viva la città com’è allegra la città.
Piena di strade e di negozie
di vetrine piene di luce
con tanta gente che lavora
con tanta gente che produce.
Con le réclames sempre più grandi
coi magazzini le scale mobili
coi grattacieli sempre più alti
e tante macchine sempre di più.
Giorgio Gaber

martedì, giugno 05, 2007

E' probabile che l'improbabile accada

Giorno due dell'ultima settimana. Penultima ora nella classe di Prince.
Prince, il ragazzino che spezzava le lance in favore delle schiene dei suoi compagni, che sul totale orario delle mie lezioni di cinque mesi credo abbia trascorso seduto appena quindici minuti scarsi, il babybirba che più di una volta al pomeriggio mi ha fatto diventare i capelli più bianchi di piero angela con le sue urla stridule, colui a cui ho requisito l'inimmaginabile (sfere di metallo, chine, palline delle cartucce, una radio trasmittente, un orologio a forma di gondoliere, un portachiave a foggia di cornetti rossi plastificati, un imprecisato numero di matite, penne e righelli, una mini torcia, una serie di miniportachiavi, un richiamo per uccelli e un fischietto. Poi sicuramente c'è stato dell'altro ma è dura ricordarsi tutto), l'unico bambino che abbia sprizzato lacrime di fronte a un unico severo cazziatone.
Spesso richiamato perchè continuamente distratto o affaccendato in attività illecite come cercare di tagliare un ciuffo di capelli al compagno seduto dietro o infilarsi oggetti presi da altre astucci e riporli nelle proprie mutande così che i proprietari perdessero interesse a reclamarli.
Ecco di questo Prince qui stiamo parlando. Che io, a modo mio, mi ci sono anche affezionata a forza di avercelo sempre sulla punta di un urlaccio.
Il Prince che oggi, a qualche minuto dall'intervallo, mi si avvicina e mi dice "Prof, le scrivo il mio indirizzo e-mail su una barchetta di carta così non lo perde e poi un altr'anno mi scrive. Mi scrive vero prof?". E mi allunga tutto timido una barchetta stroppicciata con la sua solita calligrafia sghemba e geroglifica.
Tu quoque Prince!
Il mio cuore di suppl fa spluf e non fosse per la certezza che i compagni lo prenderebbero per il culo per i prossimi mille anni dandogli del "fennel" e del "guano" lo abbraccerei lì su due piedi.
La campanella suona, Prince mi strizza gli occhi azzurri in un sorriso e corre fuori a gettarsi nella solita mischia di calci e pugni, lasciandomi sentimentale a compilare il registro di classe.
Ancora una volta me l'ha fatta sotto il naso.


sabato, maggio 19, 2007

rimembranze



...rimembri ancor
quel tempo della tua vita mortale
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?




La scuola va terminando, i giorni si fanno più dolci, i gremlins più agitati, e i primi ricordi di questi cinque mesi di follia iniziano ad affollarsi nella mente.

Come la gita ad esempio, di cui non ho mai detto qui, perchè ci sono esperienze che hanno bisogno di meditazione, elaborazione e superamente.


LA GITA



Il ritrovo per la gita è una calda mattina di aprile verso le ore 7.30.
Alcuni alunni per l'eccitazione devono aver trascorso la notte nel parco antistante la scuola, difatti, al mio arrivo, bivaccano in parte sul castello di legno, in parte sdraiati su alcune panchine.
Dopo aver ammonito i presenti che chi ha intenzione di cimentarsi in cori da stadio sul pullman prima delle 9.30 prenderà una nota sul registro perchè mi sono svegliata alle 5.30, mi attacco alla macchinetta del caffè e bevo un numero indefinibile di espressi, che mi consenta di tenere sollevate le palpebre di almeno 15 gradi .

I gremlins fin da subito si dimostrano più adorabili del solito, offrendomi tic tac ai nuovi gusti mango e frutto della passione e facendomi ascoltare qualche canzone truzza dal lettore mp3.
I tentativi di immortalarmi in qualche atteggiamento buffo e scomposto da prof assonnata si sprecano, a causa degli infidi telefonini. Mi sento un po' Nina Moric e decido di giocarmi la carta del non ho nulla da nascondere, prestandomi volontariamente a qualche scatto, consapevole che presto finirò deformata da abili smanettatori di photoshop. Si parte.


Ci sono quasi tutti: Bombo, il bambino paffutello che cerca di attirare l'attenzione degli altri estraendo dallo zaino oggetti esotici come un lettore dvd portatile (e pensare quando in gita ci andavo io con il walkman scalcagnato e le pile scariche), Mogwli (stranamente sedato dalla visione di Madagascar sul lettore di Bombo), le ragazze dal cerchietto glitterato truccate come signore della notte (che dopo quindici minuti stanno già scrivendo forsennatamente messaggini sul cellulare a quelli seduti dietro), i ragazzi a delinquere (simpatici mascalzoni che vanno a occupare l'ultima fila e si defibrillano a vicenda con pugni sui genitali), l'altra classe (cioè quella di cui io conosco bene solo i due individui cui faccio alternativa alla religione, ovvero l'Emorroissa e Cosmico, il bambino che ride sempre perchè trova le parole divertenti e spesso mi confessa di immaginarsi cose buffe, tipo un professore che entra vestito da peluche e banchi al gusto di caramelle gommose), le colleghe titolate, la collega con cui invece posso parlare liberamente perchè anche lei membro del P.A.R.I.A. (Precarie Assolutamente Reiette Inevitabilmente Antipatiche) e Marilyn Manson, il prof di religione, colui che non smetterà per un solo secondo della gita di urlare le peggio parolacce mai sentite ai ragazzi, dispensando generosi calci in culo a destra e a manca, come neanche in una rissa tra hooligans.
Imbocchiamo l'autostrada e mi stupisco della genuina correttezza dei gremlins: nessun coro, qualcuno ogni tanto si erge dal suo sedile per chiamare un compagno e dirgli una battuta, assiduo ascolto di lettori mp3 e scambio di video per il cellulare.
Marilyn però pare nella sua giornata peggiore e si impadronisce del microfono del pullman per minacciare gli astanti con un poderoso "Zitti, brutti co*****i!" che mi spazza dalla prima fila al vetro dell'ultima.
Naturalmente essendo membro del P.A.R.I.A. non posso fare altro che fingere indifferenza, a quello, e ai numerosi improperi che verranno dopo.
Forse è solo che la mattina lo mette di cattivo umore. Forse più tardi si tranquillizzerà. Forse.

Arriviamo nella ridente cittadina di M. con estrema puntualità.
Appena scesi dal pullman i gremlins vorrebbero espletare le loro funzioni fisiologiche di base: bere, fare pipì, mangiare i crackers olive e capperi.
Fortuna vuole che siamo stati parcheggiati davanti a un gigantesco Spizzico.
Quando già qualche bambino sta per varcare la porta del santuario dei suoi desideri del momento, Marilyn urla di proseguire, perchè ci sarà tempo per pisciare in seguito.
Sembra di stare sul set di Full Metal Jacket. Vabbè.

Chiudo la fila con la mia collega precaria, entrambe consce del fatto che sarà una lunga giornata. Arrivati di fronte al duomo della città, Marilyn inizia una pallosissima spiegazione storica su rituali ecclesiastici dei secoli passati e futuri.
La scolaresca è stata naturalmente piazzata col sole negli occhi, e i pochi martiri che decidono di seguire le elucubrazioni storiche perdono la vista dopo pochi secondi.
La stragrande maggioranza dei gremlins invece si dimena in preda a fortissimi stimoli di minzione. Iniziamo a temere il peggio: qualcuno potrebbe calarsi i pantaloni e rilasciare i sui acidi ureici sui preziosi sanpietrini del piazzale radical-chic.
Sotto i fiammeggiamenti occhi di Marilyn io e la collega raccogliamo i gremlins a rischio, circa una trentina, e ci avviamo alla ricerca di un bar che non sia quello del piazzale radical-chic con il caffè a 4 euro e 80 e i divani di pelle bianca. Il cameriere, elegantissimo, con i bottoni della livrea scintillanti sotto il sole di mezzogiorno, ci guardava schifato di lontano.
Quando tutto sembra perduto, troviamo un piccolissimo bar che viene immediatamente intasato dai ragazzini. Bevo altri quattro o cinque caffè per ammortizzare i sensi di colpa. Mi verrà un infarto. In tal caso magari mi dedicheranno una targhetta sulla porta del bagno.
Fermo due ragazzini nell'atto di comprare mentos e cocacola con cui provocare geyser indesiderati e facciamo ritorno al Duomo.

Ciò che accade lì dentro è affare del Signore, quindi non vi narrerò delle prodezze dei gremlins arrampicati a postriboli, altari, inginocchiatoi, icone, statue, vecchie oranti, nè vi narrerò dei loro tentativi di sfondare le coperture di vetro-plastica dell'antico pavimento della basilica, e nemmeno dell'epico "Zitti mer**!" pronunciato da Marilyn in piedi sull'altare.

La successiva tappa è un minuscolo e grigissimo museo contenente lanterne dorate a forma di uccellino (che scatenano l'ilarità dei più) e orribili arazzi parietali. Ecco io so che non dovrei dirlo, ma proprio non riesco a capire come una cosa del genere possa interessare dei ragazzini di seconda media. Proseguiamo con una lunga marcia di circa due ore sotto il sole rovente di un meraviglioso parco, pieno di angolo ellenici e bucolici, con maestosi cigni, erba color pastello, ombrose piante secolari da cui ci teniamo ben distanziati.
Il luogo scelto da Marilyn per il pranzo è posto ai margini del parco, là dove le acque dei laghetti artificiali si fermano formando una serie di puzzolenti paludi acquitrinose, con cigni fangosi e aggressivi che abbaiano famelici schioccando le fauci.

E' la mia prima gita dalla parte dei prof, e posso sedermi con loro, anche se più tardo rimpiangerò amaramente questo privilegio. L'argomento principale del nostro convivio difatti è la stupidità dei gremlins, il loro essere totalmente privi di una qualunque buona qualità, cosa che del resto non stupisce dato le famiglie da cui provengono: si sprecano i commenti pesanti su genitori, madri di dubbia reputazione, padri operai, famiglie di ignoranti ecc ecc.
Fatico a digerire il mio panino speck e brie, la voglia di conficcare le posate nel braccio dei miei commensali sarebbe tanta. La realtà è che non si può. La realtà è che non capisco perchè persone che hanno un tale odio nei confronti di ragazzetti di dodici anni abbiano scelto liberamente di averci a che fare. Certo che i gremlins frantumano la uallera. Certo che spaccano i maroni. Ma io ai miei bambini voglio bene, anche a quelli che si lanciano l'astuccio mentre cerco di spiegare qualcosa su federico barbarossa. Sono bambini che diamine, non hanno ancora superato l'età in cui una persona diventa stronza per sua consapevole scelta personale. Come invece deve essere accaduto ai titolati lì presenti.


Dopo il pranzo ci dirigiamo ad assistere alle prove di un campionato di auto da corsa. Fa caldo, gli spalti sono roventi, le auto sfrecciano monotone una dopo l'altra. Al terzo passaggio una delegazione di gremlins mi si avvicina per domandarmi se c'è la possibilità di andare a giocare a calcio nel parcheggio del pullman. "Prof, qui è una palla, abbiamo buttato via i soldi".
Quanto vorrei dar loro il permesso. Marilyn è furente e raduna i ragazzini a calci e pugni.
Risaliamo sul pullman dopo soli venti minuti. Il ritorno è surreale.

I ragazzini vociano tranquilli, le colleghe guardano me e l'altra P.A.R.I.A. in cagnesco, perchè non abbiamo più proferito parola dopo il piacevole pranzo insieme. La sosta in autogrill dura quaranta minuti. "Così i ragazzini possono comprare un ricordino" commenta Marilyn.
Dopo dieci minuti i gremlins sono già tutti fuori a farsi gavettoni di gatorade all'arancia carota e limone mentre i professori stanno terminando gli acquisti di prosciutti di parma e baci di alassio.

Le risaie scintillano verdi e azzurre. Qualche gremlins dorme, qualcuno osserva il paesaggio fuori dal finestrino e saluta con la mano camion e pullman. "Smettetela di saluta brutte teste di c***o!".

Io sono seduta con lo stomaco sottosopra e la rabbia di non poter dire niente.

Di non poter prendere da parte il professor Marilyn e chiedergli se si rende conto di quanto male fa a questi ragazzi dando loro un esempio sbagliato, quello del rispetto guadagnato con le botte e con gli urlacci.
Scendendo dal pullman richiamo un paio di ragazzini che si stanno lanciando gli zaini. Questi poi si avvicinano e mi chiedono "Prof, ma perchè non fa anche lei come il prof Marilyn e quando facciamo casino ci mena?".

"Perchè io ho stile ragazzi".


E se anche non avrò mai un contratto a tempo determinato, almeno la mia dignità di persona adulta non me la leva nessuno.

mercoledì, maggio 02, 2007

Ipse dixit. Ed era meglio se lo teneva per sè.

Succede che a interrogare 27 persone (che portano tutte come argomento a scelta l'Albania, non perchè interessate dal fenomeno albanese, quanto perchè è lo stato cui il libro dedica meno pagine in assoluto), una suppl esaurisca la fantasia a disposizione e si riduca a chiedere quelle paroline di lessico, poste a margine della pagina.
Sono tre in croce, è impossibile non ricordarle.
Ma se c'è una cosa che la scuola di Smallville insegna è
MAI, MAI SOTTOVALUTARE IL POTERE DELL'INCOSCIENZA.

(tratto da una storia vera)

io "Dunque, mi hai già parlato di Albania, Bulgaria e Grecia, quindi facciamo un'ultima domanda per alzare il voto. Ti chiedo qualcosa di lessico....spiegami che cos'è una rimessa*".

L'alunno M. mi guarda con occhi sbarrati.

"Laterale, prof?"

"..."


*per tutti quelli che avrebbero risposto come l'alunno M. trattasi di soldi che vengono mandati in patria dalle famiglie emigrate all'estero. :-P