Ad un certo punto dell'anno scolastico arriva il momento della foto di classe.
Di solito è quel giorno in cui sei arrivata a scuola vestita così bene che hai letto negli occhi della gente intorno la tacita domanda "Ma le sarà andata via la luce in casa a questa?".
E dire che i miei look lavorativi solitamente spopolano tra il personale ausiliario della scuola di smallville.
C'è la mattina in cui mi presento alla porta con uno stile gitano da cugina povera di Joaquin Cortez e quella in cui interpreto un casual da diciottenne così che le bidelle prima di aprirmi mi sottopongono a riconoscimento vocale.
Come dimenticare poi quel giorno in cui la segretaria mi ha fermato in mezzo al corridoio ordinandomi con tono perentorio di seguirla in segreteria.
Già pensavo a un richiamo disciplinare o a una terribile dimenticanza burocratica ; invece la signora, tutta civettuola, mi fa i complimenti per il mio abbigliamento e mi chiede quali sono i negozi che frequento "Che poi lei è così carina che sta bene con tutto!".
Cacchio, per un attimo mi sono sentita mejo de Nicole Kidman.
Credo di essere arrossita e avere bofonchiato qualcosa tipo un po' di lì e un po' di là, dimostrando la mia totale inattitudine a diventare un'icona di stile.
La mattina della foto di classe ogni dubbio era fugato di fronte ai miei improponibili abbinamenti.
Essendomi svegliata alle sei del mattino per il terzo giorno di seguito, dopo una serie di nottate insonni per completare la stesura di un articolo su Jacques Derrida e la decostruzione del terrorismo, non mi è riuscito di cercare niente di più che un paio di jeans e 'na maglietta mattone, cercando di ingentilirli con una collana dal gusto fieradisenigallia.
Menomale che la segretaria aveva preso le ferie, altrimenti perdevo la stima di quell'unica persona in Smallville.
C'è da dire in mia difesa che nessuno sapeva dell'evento fotografico; nemmeno le ragazzine che, dopo una soffiata della bidella del piano, hanno iniziato a chiedermi:
1) a che ora c'era la foto di classe (e giù a rispondere che non ne sapevo niente altrimenti mi sarei messa un vestito che rendesse giustizia alla mia età e non mi facesse apparire una diciassettenne incazzata col sistema)
2) se sapevo a che ora c'era la foto di classe (di solito i gremlins sono soliti chiedere tutto due volte; quando gli si risponde facendo loro notare che lo si era già fatto in precedenza si limitano a sbarrare gli occhi terrorizzati da questa inquietante prospettiva)
3) se potevo lasciarle andare in bagno a pettinarsi (faccio notare loro che la foto potrebbe essere anche all'ultima ora e quindi, con l'intervallo di mezzo, ogni tentativo di acconciatura si rivelerebbe vano)
4) se potevo andare a chiedere alla preside di spostare la sessione di foto l'indomani (eh, magari)
5) se la foto la facevo anch'io (e qui, più che affetto per la prof, ci ho letto la consolazione femminile di posare accanto a una vestita veramente male, in modo da far passare in secondo piano la propria imperfezione).
Concluso momentaneamente il capitolo "dubbi, quesiti e perplessità sulla foto di classe" stavo cercando di spiegare le teorie illuministe di Cesare Beccaria quando bussa alla porta il vicepreside e mi chiede cortesemente di uscire un attimo.
E qui scatta il secondo momento fatidico della vita scolastica.
Le prove dell'evacuazione.
"Ecco, tra poco suonerà una tromba (ma che è? Dungeons & Dragons?) e sarà il segnale del finto-incendio. Voi non dovete dire ai ragazzi che ci sarà l'evacuazione ma raccomandatevi che stiano in fila per due, non lascino oggetti di valore in classe ed escano dalla porta di sinistra".
Mentre il brav'uomo ci spiegava per filo e per segno il mefistofelico piano della finta evacuazione, nel mio cervello sfilavano le immagini apocalittiche di cosa sarebbe potuto succedere dopo il suono di una tromba, in classi in cui anche un astuccio che cade costituisce un valido movente per dare inizio a una rievocazione della presa della Bastiglia.
Pertanto non appena rientrata in aula spiego alla classe che ci sarà una prova di evacuazione, che per loro sarà però una prova di educazione: nessuno dovrà urlare, picchiarsi, lanciare alcunchè, pena una simultanea verifica di analisi logica.
Nel successivo quarto d'ora mi viene chiesto almeno una decina di volte quando si svolgerà la prova di evacuazione. Finalmente la tromba suona, si apre la caccia alla volpe, incolonno i miei e scendiamo in cortile dove tira un freddissimo vento temporalesco.
Le classi si mischiano tutte insieme e la prova di evacuazione diventa un incontrollabile intervallo in cui invano i docenti perdono parte delle loro corde vocali per richiamare il gregge.
Io il mio ce l'ho in pugno con lo spauracchio dell'analisi logica e, difatti, nemmeno gli ovini più movimentati si allontanano troppo dal punto di raccolta.
Basta un urlo di richiamo e torniamo in classe, davvero educatamente.
L'ora di lezione è terminata e inizio a sperare di poter scampare alla temibile foto.
Trascorro i successivi cinquanta minuti di compresenza con i miei reietti del cuore: Mowgli (bambino ufficiosamente disconosciuto dalla mamma, uno che avrebbe bisogno di un sostegno affettivo pazzesco) e Tarzan (ragazzino marocchino, ultimo di sette e dico sette sorelle, all'inizio dell'anno solito prodursi in rumori gutturali e urla sataniche, dopo un tema su Blade e l'esercito dei vampiri siamo diventati grandi amici).
Io a questi bambini qui voglio proprio bene, tant'è che mi sbatto a propinare loro schede su schede di recupero e quando Tarzan mi chiede se "antiquato" vuol dire "vecchio" mi si stringe il cuore. Certo tra un mese sarà tutto finito, io sarò di nuovo in stand-by lavorativo e loro in
stand-by cerebrale ma almeno potremmo dire di aver vissuto un'intensa storia didattica.
Suona la campanella e proprio mentre mi accingo a raccogliere il mio solito fiume di fogli, appunti, quaderni, registri e squagliarmela in grande stile vengo carpita dalla ferrea mano della prof di scienze che annuncia "Andiamo a fare la foto".
L'idilliaco sfondo per i ritratti dei gremlins è il parchetto di fronte alla scuola, già luogo di ritrovo di molti alunni di prima media che vengono a fumarci le sigarette rubate ai genitori "Ma facciamo solo qualche tiro prof".
Il dado è tratto, lo scatto compiuto, e la mia faccia da quarta ora immortalata per sempre negli annali della scuola di Smallville.
"Poi ci fa le dediche prof?"
"Io su di voi potrei scrivere un romanzo..."
domenica, aprile 29, 2007
Magic moments
quel che sapeva
quel che sapeva frà
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