giovedì, giugno 09, 2005

*these days

Prendi una mattina di giugno, un giovedì mattina, gli occhi aperti nella penombra della stanza alle nove quasi e dieci, una stanza ricoperta di dispense in ogni dove e fogli e quaderni e strane sigle di appunti che stanno a indicare misteriosi collegamenti mentali di cui non ricordi il nesso e vestiti appallottolati da tutte le parti e Moby Dick aperto sul comodino, che ti piace un sacco ma la sera sei stanca e crolli dopo una ventina di pagine.
Prendi di avere un esame lunedì mattina e di non essere preoccupata per niente, anche se sei indietro, anche se siete solo in due e potrebbe scattare l'opzione culo a capanna, anche se dopo quello ce ne sono ancora solo un paio e poi hai finito 'sti tre anni, finiti, e non hai la più pallida idea di cosa fare.
Prendi una serie di giornate strane, prendi quella strana voglia di non prendere più nessun tipo di decisione e limitarti soltanto ad andare in giro con le dita incrociate sperando che vada tutto nel migliore dei modi perchè sei stufa di cose che non funzionano, di discorsi che dovrebbe andare oltre e si fermano alla dogana, di situazioni che potrebbero essere meravigliose se non fossi tu, se non fossi il solito guazzabuglio di complicati equilibri.
E prendi Nico che canta -These days I seem to think about how all the changes came about my ways and I wonder if I'll see another highway- mentre ti lavi i denti in bagno e fai finta che quella canzone non ti appartenga per niente perchè tu stai iniziando a stare bene, perchè questo è il momento in cui dovresti mettere la testa a posto, scendere dal veliero kamikaze e accontentarti di quello che c'è come tutto il resto del mondo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Questa cosa dell'angoscia, beh, sì: penso di conoscerla un po'.
Sai a me non mancano due anni ma solo un mese ed io aspetto che arrivi qualcuno con il conto quando la festa finirà. Perché ci penso sempre.
In effetti, l'unica cosa è cacciarla la balena, interessarsi a tutte le minuzie della cetologia e cantare sul ponte con Ismael: quando lo prendi poi, questo enorme mammifero, o quando ti prende lui, non ci sono molte altre scelte.
O forse alla fine di un viaggio c'è sempre un viaggio da ricominciare?
Sergio

Anonimo ha detto...

Non so, Suz. Non so.

Io ho una paura enorme, un incubo che pende dal soffitto del futuro come una lampadina senza abat-jour. La paura di svegliarmi un giorno, rimettere su Ani dopo tanto tempo, e chiedermi: Ma dove sono finiti tutti i miei sogni? Dov'è tutta la mia rabbia, la mia irrequietezza?
Ho una paura matta di perdere le mie origini, di diventare ciò che ho sempre combattuto.

E quindi da un po' sono qui anch'io a pensare a che ne sarà di me, dopo l'Università e tutto. E tremo, dalla paura.

Poi a volte c'è un pensiero che mi conforta un poco: finché potrò avere la notte per leggere i miei libri con poca luce intorno, per ascoltare il jazz, allora forse tutta l'inutilità delle mie giornate potrà essere sopportabile.

quel che sapeva frà ha detto...

eh caro sergio pure a me manca un mesetto e se mi ci metto d'impegno a settembre sarò lì con il mio pezzetino di carta ad abbracciare zie e nonne nelle foto di rito. E sì, mi piace pensare che alla fine di un viaggio ce ne sia sempre un altro e che il senso del viaggio sia proprio viaggiare, non importa dove si arriva, non importa quanto tempo ci si mette...
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Paura di diventare come una foto seppiata che non è più a colori ma non è nemmeno in bianco e nero, una cosa a metà, una via di mezzo, un nè carne nè pesce, un trascinarsi non si sa bene dove e perchè. Ma hai ragione tu sai lucien, forse il segreto sta nel continuare a coltivare il nostro giardino segreto con le sue piantine di sogno, innaffiarle, avere cura di loro, perfino parlarci ogni tanto..