- Stamattina appena sveglia, con quella sensazione di essere riemersa da un posto estremamente più gradevole del contesto di questo lunedì 13 giugno, ho dato un’occhiata al cielo e mi è sembrato trattenuto; poi sono andata a vestirmi sulle note di Absolute Beginners, tratto dal Best of gentile concessione di un amico –Prendi pure, quella roba lì l’ascolta solo mia mamma-
(A me D.B. piace, sono innamorata di lui da quando a sette anni ho visto Labyrinth). - Venti minuti dopo ero seduta in un’aula vuota con le luci spente e le tapparelle giù in attesa di dare il mio esame. Del professore e di altri studenti nessuna traccia, il cielo fuori continuava a trattenersi e io continuavo ad avere un sonno tremendo, per restare sveglia mi sono messa a giocare con i cordini metallici delle tende.
- Mezz’ora dopo ecco il professore con una camicia rosa delle più terribili camicie rosa che io abbia mai visto. Penso che se continuo a fissarlo in quel modo capirà che non approvo la sua camicia rosa e allora sfodero un sorriso da studentessa imbarazzata, immergendomi nella falsa lettura di fogli che dovrebbero essere appunti, in realtà sono scarabocchi di animali stilizzati prodotti durante una delle sue lezioni.
Passano dieci minuti di sterili chiacchiere da un lato all’altro della cattedra ma
-l’interrogazione può attendere- (d'accordo James Bond) - Ci trasferiamo nel suo ufficio dall’altra parte della città, il cielo non si trattiene più e cammino zavorrata da registri di varia natura sotto la pioggia battente. Il professore ha un ombrello piccolo che però tiene sulla sua testa fingendo di riparare anche me. Maledetto. La conversazione langue, io vorrei tirargli un calcio sugli stinchi e inzuppare i registri dentro a un tombino. Inizio senza troppa convinzione un discorso sul rapporto tra Kafka e la fotografia che dopo un paio di periodi cade dentro a una pozzanghera e fa sciaf.
- Arrivati all’ufficio l’uomo rosa mi chiede altri cinque minuti in cui va a prendersi un the mentre io resto seduta in questo lungo corridoio deserto e grigio ad ascoltare il rumore delle gocce d’acqua dei miei pantaloni che cadono sul pavimento.
Inizio ad avere paura, è la seconda volta nell’arco di un paio d’ore che mi ritrovo in luogo senza presenza di anima viva alcuna. Un ragazzo venuto a discutere problemi relativi alla sua tesina mi passa davanti. Sono umida come una muffa alpina. - Finalmente entro in ufficio mi siedo e mi sorbisco con pazienza certosina quaranta minuti abbondanti di domande chirurgiche su tutta l’arte americana di ieri, oggi, domani.
Date di esposizioni, titoli di quadri, nomi di artisti, elementi plastici, elementi iconici, e altri cazzi e mazzi di vario genere. E zac. Commetto l’errore di affermare che gli Stati Uniti hanno una storia relativamente recente rispetto all’Europa.
Il professore rosa puntualizza che Gertrude Stein non la pensa così. –Secondo la Stein l’America è il paese più vecchio del mondo- Lo guardo con espressione da lemure, ho le all star vecchie coi talloni sfondati e le calze zuppe d’acqua, un livido sulla coscia grosso come un portacenere che mi pulsa, devo bere un caffè e devo ancora andare a votare. Che l’America sia giovane o vecchia non mi pare poi molto fondamentale. Il rosafante mi offre 29 e io accetto pensando –ancora solo tre esami- e anche –spero che al ritorno diluvi e ti si rompa l’ombrello- - Ci sarebbero altre cose da dire. Sulla devastante esperienza fotografica di ieri sera, sui The Boy Least Likely To. Ma... -il prossimo post può attendere-
lunedì, giugno 13, 2005
* I need some sleep
quel che sapeva
quel che sapeva frà
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2 commenti:
Gli Eels sono enormi.
I need some sleep è un po' la colonna sonora della mia vita, e sono felice di dire che è stata Juppy a farmi conoscere questa canzone.
Sono appena tornato qui a casa, leggere della tua giornata insolita è bello.
Un semplice abbraccio condividente.
"Stai attenta bambina, sei davvero sicura di volere che i tuoi desideri si avverino?"
Grande David, l'avrò visto un monte di volte Labyrinth ed anch'io sono rimasto affezionato al duca.
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