Leggo Mimì e penso che ce l'hanno rubata sotto al naso.
Per ognuno è stato un pezzo che pensava piccolissimo e insignificante anche perché gli avevano raccontato che crescere è così, bisogna perdere un po' di pezzi per sostituirli con altri più adatti.
Però non è stato difficile rendersi conto che ci hanno fregato, staccandoci pezzi di cui avremmo sentito una mancanza viscerale, ecco sì, proprio viscerale.
Ci hanno preso qualche grammo di dignità, qualche risata, briciole di spensieratezza, polvere di autoironia, bacche di orgoglio, grani di sicurezza.
In cambio ci hanno dato due semplicissime opzioni.
a) Scegliere il mucchio uniforme, incolore e insapore dei senza-più-pezzi, oppure
b) remare affannosamente controcorrente insieme ad altri nostalgici-dei-pezzi-mancanti.
Pare ovvio che io mi senta membro della seconda categoria.
Pare ovvio anche perché succede che mi ritrovi a guardare laconicamente le sedicenni in canottiera e minigonna e ricordare di quell'età beata in cui si stava malissimo comunque, ma per dolori pieni di importanza o che almeno sembravano eroici, perché quello contro cui noi giovani-adolscenti-pieni-di-pezzi-pulsanti combattevano non era mai infelicità o malinconie passeggere ma L'Infelicità, La Malinconia.
Il problema è che forse non siamo stati abbastanza attenti, ci deve essere stato un momento della Grande Fregatura, verso i diciotto, mentre eravamo intenti ad ascoltare i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, i Depeche Mode o qualche altro gruppo che rappresentasse La Rabbia e L'Inadeguatezza.
Il giorno dopo ci siamo svegliati come se nulla fosse, senza sapere che un solo giro di lancette ci aveva trasformato maleficamente in "precari".
Oddio, precari lo siamo sempre stati, se per precari intendiamo in punta di piedi su un filo ondeggiante che qualcuno chiama destino.
Ma il fatto che la società abbia coniato addirittura un neologismo per definire la nostra generazione è stato come scoprire che Babbo non solo non esisteva più ma aveva anche venduto la sua immagine alla scuderia di Lele Mora.
Precari capite? Sarebbe stato molto meglio essere la generazione mtv, la generazione x, la generazione sms.
Se non altro generazione non è un termine tanto malvagio, pare quasi si dica "con questi è andata così ma poi con la prossima generazione sarà diverso".
Invece lì "precari", affibbiato in modo codardo ad libitum.
Gente che non trova lavoro e se ne trova uno non è detto che riesca a conservarlo.
Bel modo di merda di definire qualcuno, scusate, se è permesso dirlo.
E poi così precari, senza nemmeno una parola per tentare di descrivere il peso esistenziale che possono sentirsi sulla testa giovani menti che, mentre il sistema si rovesciava come un calzino e cambiava tutte le regole del gioco, ancora ce la stavano mettendo tutta a impegnarsi in qualcosa, studiare con passione, inseguire obiettivi, coltivare la propria onestà intellettuale.
Oggi l'onestà intellettuale è una barzelletta di quelle che non fanno neanche tanto ridere.
Posso fare un esempio? Posso fare un esempio?
Faccio un esempio.
Sabato sera incontro ex-conoscente (amica a questo punto non direi) fuori dall'entrata di un cinema.
La vedo e la saluto (scusate se sottolineo la cosa ma qui a Seattle salutarsi è gesto di pochi sprovveduti). E pure mi avvicino per scambiare due parole (intrepida!).
Così mentre mi informo gentilmente su che cosa stia facendo della sua vita (stando attenta a non fissare i suoi stivali di pelle bianca per non essere maleducata) mi accorgo che mi sta guardando con compassione. Eh sì, proprio compassione.
E non solo. Allo sguardo compassionevole si accompagnano anche poche parole di compassione, del genere "sì ti parlo ma con quella giusta distanza che si deve sentire tra noi, perché io sono uscita vincente dagli anni di incipiente consumismo mentre tu l'hai sofferto e basta". (non penso che abbia utilizzato l'aggettivo "incipiente" in nessuna delle sue rappresentazioni mentali, comunque).
Certo lei vestita di hot pants e stivali di pelle bianca, con la piega fresca di parrucchiere, ha già un lavoro di aiuto in uno studio di fisioterapia, dopo aver studiato solo tre anni e manco tropoo assiduamente, e ieri è andata a farsi la lampada per avere la carnagione carbonifera e ha quei maledetti stivali di pelle bianca, già.
Io invece ho una carnagione stokeriana perché mercoledì devo dare il mio dodicesimo esame di quest'anno per cui ho dovuto leggere non meno di 4000 pagine, e anche se ho una media impressionante e un ottimo vocabolario italiano, la società corrente impersonata dalla donnina sbarluccicosa mi giudica sfigata.
Perché per onestà intellettuale non mi metto gli hotpants e gli stivali bianchi per andare a vedere un film alla multisala. Perché (lo posso dire vero? lo posso dire vero?) mi sentirei un tantinello bagascia.
Ma nessuno racconta com'è il mondo dei nostalgici-dei-pezzi-mancanti, di cosa significa sentirsi terribilmente donchisciotteschi in ogni situazione, scavare miliardi di tunnel nel profondità del proprio io per trovare un posto dove riuscire finalmente a nascondere quello che di più prezioso ci resta e incrociare le dita perché non lo trovi nessuno.
Finisce che ognuno combatte la sua battaglia in silenzio e ogni tanto ritrova in qualcun'altro lo sguardo e le parole di chi sa davvero cosa vuol dire tutto questo.
Quindi per finire due semplicissime cose:
1. mi scuso per aver utilizzato ben due termini di sporco dissenso all'interno di questo post
2. mimì courage!
Dopo di che, raccolto il cappello, il bastone e il coniglio mi congedo da voi e vado a svenire sul letto in attesa di essere svegliate dalle rimanenti dispense per il ripasso.
Fate sogni d'oro sparuti lettori.
6 commenti:
Una cosa mi colpisce più di tutte? Gli stivali a luglio??!! Spero che per onestà intellettuale se li tolga in una stanza ben areata...Coraggio, cugi, sotto sotto ( e ancora un casino sotto) è meglio essere sparpagliatamente precari che putèn dallo stivale albino. E quanto allo sguardo di compassione verso il prossimo, è il caso che impariamo anche noi a farlo. Bibliografia essenziale: lo sguardo di Meryl Streep ne "Il diavolo veste Prada". Sto provandolo davanti allo specchio per rifarlo ai colloqui scuola-famiglia.
e' solo meschineria.
e' piccolezza d'animo quella di giudicare gli altri secondo i propri standard e basta.
okkei, avra' anche un lavoro fisso, okkei gli hotpants e okkei pure pure gli stivali bianchi...and then?
intendo che io ci rido su quando incontro gente inscatolata in vite in serie che giudica la mia di vita...che per quanto banale possa essere per il mondo intero, e' particolare, e molto, per me. e questo basta (e avanza).
come anche c'e' chi giudica non importante una laurea, e i sacrifici che la precedono...questione di punti di vista.
io intanto ti faccio il mio migliore in bocca al lupooooo! per le dispense che ti rimangono e ti abbraccio in una stretta che va dalla Milano da bere alla Seattle del Piemonte. :o)
Cugi: da domani alternerò intense sessioni di sonno (ho sonno arretrato da settembre credo) a intense esercitazioni di sguardi ferini allo specchio. Del resto un po' mi ero già esercitata alla cara vecchia scuola di Smallville, dove la sopravvivenza era questione di un ultimo sguardo. :-)
Rompì: grazie per l'abbraccio. Anch'io solitamente ci rido su e passo oltre però ogni tanto succede ahimè che mi fermi per una considerazione ulteriore e inizino a girarmi vorticosamente i maroni. Comunque sia chissene, se l'esame va con domani per quest'anno abbiamo finito! Incrocini, incrocini...
Questo:
"La vedo e la saluto (scusate se sottolineo la cosa ma qui a Seattle salutarsi è gesto di pochi sprovveduti)"
è uno dei motivi per cui non tornerei mai indietro come ti dicevo questa mattina.
Certo la campagna è bella, il giro serale tra le risaie mi manca, gli amici di sempre pure, la mamma, andare a casa di qualcuno che abita a 3 metri da te senza prendere appuntamento ma qua ci si ignora tutti allegramente e si vive inquinati e felici.
sparuti ma non sprovveduti: lettori beati di leggere cotanti enunciati!
ok, la smetto con le rime e torno al mio grigio lavoro, non prima di averti mandato un grosso "grazie" . Viva l'empatia!
mimi
scavare miliardi di tunnel nel profondità del proprio io per trovare un posto dove riuscire finalmente a nascondere quello che di più prezioso ci resta e incrociare le dita perché non lo trovi nessuno
Carissima, su questo dissento, l'ho fatto per troppo tempo: custodire sì, ma nascondere no; quel che di prezioso ci resta dovremmo sfoggiarlo con orgoglio, non metterlo via a prendere polvere...
Un abbraccio
Enzo
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