sabato, marzo 18, 2006

sono un post monotematico e parlo di SL



"I'm Sondre Lerche, I come from Norway"
Post esclusivamente a lui dedicato
(a coloro che stanno storcendo il naso non è consigliabile di proseguire la lettura, ricordiamoci che per la musica il de gustibus vale più che mai)

Poc'anzi fece la sua uscita nel mondo musicale il nuovo lavoro di Sondre Lerche, dal titolo Duper Sessions, la cui unica traccia da me fin'ora ascoltata (Minor Detail) mi ha riportato alla mente atmosfere alla Cole Porter e Chet Baker, con locali pieni di fumo e una piccola orchestra illuminata da un occhio di bue; d'altro canto, la copertina del disco su cui campeggia il Nostro, di bianco colletto e nera giacca vestito, non lascia spazio ad altri dubbi.
Sarà un tuffo retrò,vedremo.
La notizia che Sondre si fosse cimentato in un nuovo lavoro ha gettato la sottoscritta in una profondissima nostalgia da primo ascolto, costringendola ad abbandonarsi ai ricordi della lontana estate 2002, calda e torrida come non mai: boccheggiante su un divano bollente a guardare il Festivalbar aspettando di uscire con gli amici e farci collettivamente sbranare dalle zanzare.
Nel pieno della manifestazione televisiva delle canzoncine da bar in piscina e radioline in spiaggia, tra mezze celebrità di vario genere comparve anche lui, la proposta straniera emergente:
Sondre Valuar Lerche, classe 1983 (la mia), frangia bionda da una parte e sguardo da bimbo impacciato. Sembrava il fratellino minore di Mark Owen dei Take That (era Mark Owen vero?).
Poi imbracciò la chitarra con la sua tracolla a stelline e iniziò a scatenarsi con una foga che nemmeno un adolescente nel suo garage.
La canzone (Sleep On Needles) era carina, ma la vera magia stava tutta lì, in quel suo modo appassionato di suonarla, come fosse stata una pietra miliare destinata a cambiare il corso degli ascolti futuri dell'umanità; inutile dire che l'album Faces Down divenne uno dei miei leit-motiv estivi, per quella sua grazia delicata da primo lavoro di pancia e di cuore, per quel calore che mai ti saresti aspettato da una musica così vicina al Polo.
Autunno, inverno, primavera 2003.
I miei ascolti vanno diversificandosi e poco alla volta il ricordo del giovane norvegese diventa il ricordo di un'estate, com'è nella naturale inclinazione delle cose.
Passa un anno intero e siamo alla primavera del 2004, quando un'amica si presenta a casa mia con svariati dischi tra cui anche Two Way Monologue:
- Questo tipo è proprio bravo, dovresti ascoltarlo-
- Ah sì, lo conosco, l'anno scorso me ne ero quasi innamorata-
Incredula rigiro l'album tra le mani e mi ci applico in un ascolto ossessivo che dura per settimane; qualunque viaggio, passeggio o cazzeggio ha come colonna sonora una canzone di S.L.. Le più gettonate diventano Stupid Memory (una canzone tutta rosa), Two Way Monologue (un fotogramma nitido e preciso di quello che mi sta accadendo in quel periodo) e la qui già citata Things You Called Fate (la sensazione di volersene andare senza avere alle spalle la minima organizzazione -il che tradisce il fatto di non volersene andare veramente).
L'amore finisce nel più probabile dei modi.
Aprendo la custodia del portacd mi accorgo di avere perso l'onnipresente disco e lo interpreto come un inequivocabile segno del destino; urge una disintossicazione da parentesi nordica e una riapertura al mondo musicale su altri fronti. Che poi a dire il vero Two Way Monologue mi manca fisicamente e quando mi capita una domenica pomeriggio libera, spulcio sempre cassetti e scatoloni nella speranza che mi ricapiti tra le mani.
Tutto questo ci riporta a oggi, alle soglie di un nuovo album che, in caso di delusione, potrebbe gettarmi nello sconforto più cupo: perchè credere che esiste un artista capace di non deluderti mai, in nessuna occasione, è un'utopia difficile da scacciare dalla propria mente.
E forse il segreto di una canzone non sta nel fatto che possa obiettivamente cambiare la storia della musica, ma che possa, semplicemente, cambiare la storia di chi la sta ascoltando e ci legge dentro una parte di sè.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo vidi Sondre, un annetto fa a Torino.
Ammetto che il solo ascolto che avevo prestato a Two way monologue non mi aveva granché colpito. Pero' ricordo quel concerto come un momento di incredibile serenità, lui sul palco che ci parlava come un amicone, che suonava sorridendo genuino, che ci voleva regalare la sua musica. Un ragazzo, pensai, che forse non ascoltero' più, ma che ricordero' sempre come una persona di cui il mondo dovrebbe essere pieno.

Poi volevo solo dirti che gli ultimi due paragrafi li sento estrememamente vicini a me. Il fatto del nuovo album, per esempio, me fa pensare ai Borken SOcial Scene e, soprattutto, ai soliti Sigur Ros...

Lucio

Anonimo ha detto...

Io socializzo con Lucio e ti dirò i Sigur Ros non mi hanno ancora mai deluso e prometto che non appena mi capiterà tra le mani ascolterò questo Sondre di cui tutti parlate così bene...

quel che sapeva frà ha detto...

Lucio, menomale. Il tuo blog in stand-by mi trasmette sempre un senso di malinconia. Ho delle cose da raccontarti, quindi prima organizzo le idee e poi ti mando una mail.

E per "ormai so chi sei": ecco, grazie. Perchè sentirmi chiedere scusa, anzi meglio, sapere che qualcuno è stato capace di mettere da parte dei litigi assurdi e lontani è stato un bellissimo regalo.

Sapeste quanto Sondre mi ha portato culo! Da morire, ne consiglio l'ascolto a tutti.