martedì, marzo 28, 2006

Jack's and Eko's homecoming


L'estate scorsa ero di passaggio a Verona. Camminando per le vie della città in mezzo ai turisti sono inciampata con lo sguardo in un manifesto che pubblicizzava l'esposizione della collezione fotografica della Fnac.
L'estate scorsa era un periodo fotografico e il manifesto rappresentava per me un segno ineludibile. Così ci sono andata, nella speranza di non incappare nella solita triste esposizione di una dozzina di foto male illuminate. Si entrava in un palazzo vecchio, fatto di lunghi corridoi senza finestre con tanti piccoli faretti che illuminavano tantissime fotografie appese alle pareti. Talmente bello che all'uscita i piedi mi hanno riportato indietro a dare un'ultima occhiata alle immagini più significative. E lì sono di nuovo inciampata con lo sguardo in una fotografia particolare, di Machiel Botman, che mi ha letteralmente spezzato il cuore, Jack's and Eko's homecoming. Roba che avrei potuto restare lì davanti per anni con gli occhi lucidi senza più rendermi conto di niente, ascoltando soltanto ciò che quell'immagine raccontava "suonando" nella mia testa una fragilissima melodia fatta di quella magia particolare che è l'infanzia.
Strano il modo che abbiamo di considerare le età umane come una sorta di passaggio in cui un'età finisce sempre per superare ed escludere la precedente, considerando come comportamenti deviati quelli di coloro che conservano tracce consistenti dell'età precedente. Quel brutto modo di definire la parte bambina che ancora c'è nel profondo del nostro cuore come sindrome di Peter Pan, come quando si parla di crisi di mezza età per definire gli slanci di entusiasmo adolescenziale in persone già adulte.
Machiel Botman prende la macchina fotografica e decide di rovesciare questo genere di convenzioni. Forse non lo fa consapevolmente, ma giocando con la lanterna magica dei ricordi ci costringe a riflettere su quanto di ciò che siamo oggi dipenda e sia diverso da com'eravamo ieri.
L'immagine è semplice, due bambini sdraiati a guardare il cielo in una calda notte d'estate, le schiene umide appoggiate alla pietra fredda del cortile, i piedi nudi. Dietro di loro una porta di casa che è piena di luce e li investe come a proteggere quel loro momento di magia. Si sentono al sicuro, sentono di avere il diritto di restarsene lì ancora un po' a cullare giochi e sogni di giochi prima che una voce conosciuta li chiami per nome con dolcezza e li inviti ad andare a letto.
Una composizione semplice, nonostante tutto, un soggetto domestico. Ma c'è di più. C'è che i due bambini non hanno nessuna paura. C'è che vivono ancora nella magia dell'infanzia, quando lo spazio della fantasia predomina ancora sul senso della realtà e permette alla mente voli pindarici che crescendo diventeranno sempre più goffi saltelli da una responsabilità all'altra.
E allora, forse, è proprio questo che mi ha spezzato il cuore.
Riconoscere dentro di me, dietro alle mie malinconie da quasi adulta, dietro alle mie incazzature adolescenziali, una virgola dorata di quel periodo meraviglioso che è stata la mia infanzia, una virgola sospesa tra la mia foto a tre anni in canottiera e braghette e il diploma di laurea fotocopiato in un cassetto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

in fondo dentro a ognuno di noi c'è sempre un bimbo o una bimba,basta solo non far prevaricare la paura.Ma non la paura del mondo,la paura di noi stessi, xkè noi siamo il mondo,noi facciamo in modo che la magia svanisca adeguandoci a ciò ke ci circonda e ci rende omologati:perdiamo la nostra identità e con essa la purezza.L'infanzia racchiude in sè la PUREZZA, che crea la magia.
vado sul letto a diventare pura,nelle cuffie c'è grace di jeff buckley.......m

Anonimo ha detto...

Mi chiedo quanta integrità, e forza e coraggio, ci vogliano per nonostante tutto conservare quella virgola.
Mi chiedo tutto cio' in un momento in cui la mia vita è immersa, come un pesciolino arancione nella boccia d'acqua di No surprises, in un mondo che corre, in un mondo che fa a gara per fottere i mondi altrui, per essere meglio pagato e più famoso di questi altri mondi.
Allora meglio farsi piccoli, dico io, custodire come perle i desideri semlici, lasciare le grandi città ricche e disumane per posti più piccoli, con le montagne o, magari, il mare; concentrarsi sugli affetti che possono renderci felici, e ongi tanto sbirciare con quel giusto di malinconia che ci vuole quello che saremmo potuti essere.

Abbraccio,
Lucio

quel che sapeva frà ha detto...

"Noi facciamo in modo che la magia svanisca adeguandoci a ciò ke ci circonda e ci rende omologati"

Propongo un cartellone di formato gigante con questa frase, con cui tappezzare le città! Mandiamo in giro una macchina che invece di trasmettere l'inno forzista spari Jeff Buckley ad alto volume e rompa il maleficio delle menti :-P

Lucio: tanto coraggio ma anche tanta soddisfazione. Come proteggere una specie in via d'estinzione insomma. E qui si tratta di magia e pensieri felici.