O così sembra.
L’odioso presentimento di un incombente raffreddore.
L’occhio languido, le membra flaccide, il pigiama a righe rosa, quella felpa che si usava nei primi anni ’90 per fare gli undergrounds.
E dire che si era deciso che la primavera iniziava oggi, perché aspettare altri due mesi, di freddo, di cielo nebbioso, di soldi dilapidati in the, tisane, cioccolate calde, vino rosso con un certo tasso alcolico, amari, grappe aveva stufato, aveva.
Stasera non mi si connette internet ad esempio e sapere perché.
Però scrivo lo stesso due cose e me ne frego, mica bisogna sempre arrendersi agli eventi.
O forse in certi casi sì, di fronte all’evidenza bisogna semplicemente accostare la porta e girare i tacchi.
In matematica io alle superiori ero una pietra totale, inutile stare lì a spaccarsi la testa.
I numeri li rispetto, non li capisco, sono soliti mordermi ma ad ogni modo rispetto la loro esistenza, l’idea che nel mondo qualcuno li possa capire e interpretare e dirmi che in realtà sono facilissimi.
Io di fronte ai numeri ho girato i tacchi.
E anche di fronte ai tacchi che mi fanno male ai piedi, alle carote lesse che mi fanno schifo, a Robbie Williams che secondo me assomiglia a una scimmia, ai pettegolezzi che mi annoiano, alla pallavolo che mi vedeva troppo spesso in panchina, alla ceretta che è una sofferenza insostenibile, a Luciano De Crescenzo, a Francesco Alberoni, a Umberto Galimberti.
Peccato che il movimento di rotazione dei propri piedi in una direzioni diametralmente opposta a quella consueta mi riesca davvero difficile quando si tratta di piroettare via da qualche Amicizia. Scrivo Amicizia per distinguerla da amicizia.
Quello che mi frega è che ci rimango male. Molto, semplicemente.
Molto semplicemente.
Anche di fronte a quelle amicizie che decidono volontariamente di suicidarsi gettandosi da una scogliera dopo essersi iniettate dosi letali di arsenico.
Ci rimango male, sento proprio una fitta alla pancia, una specie di ago sottile sottile che mi trapassa.
"...le scarpe pesanti".
"...le scarpe pesantissime".
Probabilmente devono avermi iniettato una sorta di chip di incagabilità sotto pelle.
La gente mi conosce, mi ama, si fanno un mucchio di cose insieme, di discorsi e io partecipo con entusiasmo inizio a spiattellare tutte le mie emozioni, i miei segreti, a preoccuparmi, ci tengo proprio. Poi il chip fa bip, si attiva e le persone scappano, così improvvisamente iniziano a inventare i motivi più assurdi e le scuse più stupide.
Che palle.
Che palle che io non senta il mio migliore amico da quando è iniziato l’anno nuovo.
Brutta la sensazione di avere iniziato un nuovo anno senza di lui.
Più brutta ancora quella di avere l’impressione di dovermi abituare alla sua assenza.
Più brutta ancora del raffreddore che mi sta venendo su.
Latte caldo, ecco quello che ci vuole.
Corretto cognac.
mercoledì, gennaio 18, 2006
*Our love make the world go round
quel che sapeva
quel che sapeva frà
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