mercoledì, agosto 10, 2005

*I feel like the mother of the world

Dieci Agosto.
Uno, due, pronti, partenza….
No, partenza niente.
Quest’anno estate con i piedi ben piantati nelle risaie che più verdi non si può, nel viale deserto, nelle strade che la sera ci puoi camminare proprio al centro perché tanto non passa nessuno.
D’estate la città si dimentica di essere città e fa finta di essere un deserto, ci si mette d’impegno, fa scomparire le macchine, fa tacere i rumori, si riempie di vento e di silenzio.
Ascolto gli Smog con tanto di occhiali neri modello –sto scrivendo la tesi e sono terribilmente impegnata- attendo la solitudine casalinga per accendermi la prima assolutamente necessaria sigaretta della giornata e poi uscire a consegnare un servizio di foto un po’ strambo fresco di ieri.
Più tardi torna Amanda, i pezzi della famiglia si ricompongono, il puzzle di settembre avanza, e strano a dirsi manco solo io a muovere le pedine sulla scacchiera. Ma per il momento scrivo qualcosa su E. J. mi perdo in considerazioni personali su ciò che è assurdo e ciò che non lo è, sulle parole e sugli spazi bianchi e pondero le varie posizioni giocando con cavalli e regine.
Impressioni di un’estate che non ha fatto altro che sfilarmi accanto anziché travolgermi, sfiorandomi appena con la sua scia di sensazioni a mezz’aria.
Una manciata di canzoni come tanti segnalibri dello stesso libro che da due mesi a questa parte monopolizza la mia attenzione, bilioni di pensieri, qualche volta una tensione allo stomaco nel sapere di dovere fare passi avanti e nel non essere sicura della giusta direzione verso cui indirizzarli.
E poi.
Persone che si allontanano, persone che si sono allontanate, persone che si allontaneranno, persone che se si allontanassero sarebbe proprio un grandissimo guaio.
Nuvole che vanno e vengono, velocissime, dalla finestra della mia stanza all’orizzonte, come nei film.
Io che mi sveglio alle nove, alle sei, alle nove e mezza, alle dieci, alle undici, io con i capelli sconvolti, io mezza morta di freddo perché mi ostino a tenere la finestra spalancata, io che vorrei partire con la mia stanza intera sulle spalle, tutti i libri, le foto, gli oggetti e spostarmi giusto quel tanto che servisse a farmi cambiare prospettiva.
L’estate va, le stelle cadono, i capelli crescono, il caffè è finito e vado a fumare sul balcone.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Io dico che partire con tutta la stanza intera sulle spalle sarebbe L'Errore.

Ani dice:
I don't keep much stuff around
I value my portability
,
che probabilmente sono i due versi che detengono il record del mondo per rapporto fra quantità di emozioni contenute e numero di parole usate.

Io dico ancora che, ecco, partire è decisivo solo se la valigia è vuota, da riempire piuttosto che da svuotare.
Ecco.