giovedì, maggio 03, 2007

Titanic (almeno mandateci DiCaprio)

La III^C ha la stessa fama del Barbablù della fiaba.
Trovarsi in III^C alla quarta ora è molto peggio della selva oscura e della pancia del lupo di Cappuccetto Rosso.
Armata del mio zainetto sbarazzino e ricolmo di libri raggiungo l'aula durante l'intervallo e vengo a conoscenza del quarto segreto di Fatima: all'ultimo piano nessuno fa assistenza o meglio nessuno che dovrebbe fare assistenza si manifesta in quindici minuti di ricreazione (o meglio distruzione) dove vedo volare portaombrelli, ombrelli, scarpe, zaini, calci e pugni, sotto lo sguardo attonito di una bidella piccina picciò che nulla può in siffatto delirio.
Al suono della campana i ragazzi entrano alla spicciolata.
A onor di cronaca c'era già stata tra noi un'ora di supplenza di amore e accordo.
I ragazzi per queste cose poi hanno una memoria incredibile.
Se la prima impressione che fai loro è pessima (cosa oltre che umana, molto probabile) non sarà facile poi conquistare rispetto e attenzione. Non è come ad un colloquio di lavoro. Non hai a disposizione quindici minuti per raccontare te stessa, i tuoi sogni, le tue aspirazioni. O piaci o non piaci. Punto. Ma per una volta la giovane età potrebbe essere un'arma vincente.
La prof titolata mi ha chiesto di fare una lezione introduttiva sull'Africa, aggiungendo che altrimenti "non si riesce proprio a tenerli quelli lì".
Io dal canto mio preferirei una simpatica compilazione del registro, ma una promessa è una promessa, per cui pattuisco coi ragazzi di fare mezz'ora di lezione e mezz'ora di cazzeggio controllato e rispettoso.
Partiamo con un brainstorming alla lavagna sull'Africa e tra una battuta e l'altra si scopre che i gremlins sanno già un sacco di cose: Kilimangiaro, Nilo, Congo, Niger, posizione geografica, una ragazza addirittura parla di materie prime.
Naturalmente in classe non c'è silenzio e tutti rispondono contemporaneamente parlando uno sopra l'altro. Però rispondono, mi ascoltano e questo è già qualcosa.
L'alunno Y., colui che nelle ore di alternativa alla religione mi impartisce lezioni di cucina araba, indossa in classe il costume da nuoto sopra i jeans con tanto di cuffia e occhialini.
Gli propongo di restare vestito così fino alle 13.05 quando sfilerà davanti alla scuola in mia eccezionale compagnia.
"Ti accompagno fino al portone...in fondo il blu ti dona, è un peccato che siamo solo noi a godere della tua scultorea presenza".
Uno a zero per me.
Lo schiaffo all'orgoglio funziona e Y. ritorna in abiti civili.
Proprio in quel momento fa il suo ingresso in classe l'alunno Scarface, quello che ancor prima di iniziare il mio secondo giorno di scuola sapevo già tutto su di lui, le sue malefatte, le sue turbe comportamentali, il suo eloquio molto poco chic.
L'altra volta l'avevo tenuto impegnato con la storia delle barchette.
Ma stavolta stiamo facendo lezione; lo metto seduto di fianco a me alla cattedra e lo vado a recuperare bonariamente ogni volta che si alza per una spedizione punitiva nei confronti di qualche compagno reo di averlo guardato troppo a lungo o in maniera a lui poco consona.
La lezione prosegue.
Una volontaria va alla lavagna a copiare una schema sul continente africano, mentre per intrigare gli astanti racconto la trama di Blood Diamonds e, al solito, mi dilungo su particolari splatter.
Dopo mezz'ora Scarface ha scritto solo il titolo ma in compenso si è affacciato almeno dieci volte alla finestra in vani tentativi di sputazzare di sotto, da me sempre sventati all'ultimo.
Non demordo, lo riporto al foglio intonso e continuo a sussurrargli che sicuramente può fare meglio di così.
Scarface all'anagrafe si chiama M. ma qui sono tutti abituati a chiamarlo per cognome.
E' il ragazzo che in classe non vorresti avere mai, perchè rompe oltre misura, perchè è violento e fuori controllo, perchè da un momento all'altro può correre fuori dall'aula e tornare alla fine dell'ora con lo scalpo di un paio di bidelle.
M. ha perso la sua identità di ragazzino di terza media ed è diventato a tutti gli effetti lo scassamaroni delinquente col destino già segnato, e magari se l'è voluta lui, o magari a casa sua qualcuno avrebbe dovuto mollargli uno schiaffo quando era ora o semplicemente parlargli , seguirlo, dargli attenzione.
La cosa che mi ha colpito di lui la prima volta è la stessa che mi colpisce oggi: M. si alza in continuazione, vero, ma se lo richiamo a posto ci torna, taglia le ore di lezione, ma viene a scuola comunque, apostrofa in malo modo tutti i compagni, ma vorrebbe disperatamente essere uno di loro.
M. non mi guarda mai negli occhi quando gli parlo, gli ripeto per un'ora intera (ormai i compagni hanno finito e stanno giocando a carte) che deve scrivere lo schema. E' quasi timido.
E io in tutto questo ci vedrei una nanoparticella di speranza: ecco, magari non diventerà mai premio Nobel per la scienza, ma per evitare che finisca a delinquere davvero, qualcosa di potrebbe, forse, ancora fare. Forse con i ragazzini l'accanimento terapeutico sarebbe sempre la soluzione migliore. Poi però mi rendo conto che ci sono troppi alunni, classi troppo numerose, programmi ministeriali che fanno ridere i polli, strutture scolastiche che cadono a pezzi. Non c'è tempo di occuparsi della nanoparticella di M. Bisogna andare avanti seguendo il si salvi chi può.
Un gruppo di ragazzini viene alla cattedra a farmi un giochino stupido. Gli chiedo della gita e di cosa faranno nelle vacanze estive. Quando tornano a posto è accaduto il miracolo.
M. sta copiando lo schema e mi chiede di spiegargli cosa sta scritto in fondo alla lavagna perchè non capisce. Vediamo insieme la frase incriminata e presa la balla al balzo finisco di dettargli il resto degli appunti. Il disastrato ha un'ortografia quasi impeccabile; correggiamo un paio di accenti e quando abbiamo finito non resisto e gli dò un pizzicotto alla guancia
"Bravo. Visto che non era difficile?"
"Ma prof, sono stanco"
"Quello è perchè ti agiti, mica per lo schema"
Stavolta mi guarda e mi fa uno di quei sorrisini da bambini imbarazzati di prima elementare.
Giuro che è un sorriso buono.
"Prof ma alla prossima ora ci sei ancora te?"
"Eh, purtroppo vado a casa"

E dire che per una volta vorrei rimanere, perchè quando per fragilissime coincidenze cosmiche, si crea quel sottile ponte tra te che sei suppl. e un ragazzino come lo Scarface, sarebbe il momento buono per lavorare su quella nanoparticella di speranza che di sicuro gli sta impigliata da qualche parte in mezzo ai capelli scolpiti col gel.

4 commenti:

Enzo ha detto...

...e la cosa più triste è che magari le prof di ruolo quella nanoparticella in lui non l'hanno mai avvistata...

Anonimo ha detto...

alle prossime elezioni voterò per te!

theAnaid ha detto...

franci sei proprio una persona stupenda.
ti voglio bene
Diana

Anonimo ha detto...

E' una storia bellissima e commovente