Che sia l’ultimo post francese questo è certo.
Che sia l’ultimo post di questo blog è probabile.
Chambéry che è una piccola città playmobil.
Le signore arabe che alle cinque del pomeriggio si siedono su una panchina vicino alla mia residence e restao nell’ombra a chiacchierare con i veli colorati e le facce rugose.
Il rottweiller del mio vicino di casa che mi ha rotto l’anima in più di un’occasione ma poi una volta, mentre gettavo l’immondizia, si è avvicinato all’improvviso e si è fatto accarezzare come un coniglio bianco.
I codici per tutto: il bancomat, le schede telefoniche, l’ingresso al consolato, l’ingresso alla residenza, l’ingresso alle e-mail di chi non riesce a leggerle. Li ho imparati a memoria, non so come.
La passeggiata sempre la stessa e sempre identica tutte le mattine cadenzate al ritmo di musiche pressoché invariate tali poi da costituire la colonna sonora di questo andata e ritorno rituale.
La vetrina del Dauphiné Libéré in cui specchiarsi per controllare di essere sufficientemente pettinata (n.d.r. una mattina mi ci sono vista specchiata con una specie di rasta in mezzo alla testa)
Il maledetto multicolore e multicaro Monoprix con i suoi infingardi yogurt che occhieggiando dalle loro brillanti confezioni reclamavano di essere mangiati.
LA CREPE di AIX LES BAINS. La CREPE.
L’ossessione continua per i soldi: ne avrò abbastanza? E se finisco la scheda e mi tocca di nuovo chiamare dalla cabina piena di falene e zanzare?
Il colore del cielo. Che in Francia è diverso e mi rendo conto si possa non essere d’accordo ma se Van Gogh e Cezanne e compagnia briscola hanno scelto di dipingerlo un motivo ci sarà.
Le farfalle, per la strada. Una cosa che nella Seattle del Piemonte mai mi è successa, di vederne così tante volare dappertutto come piccole piume alate alla Forrest Gump.
Sapere se pioverà o meno in base all’odore di caffè (n.d.r. non si tratta di una branca minore delle arti divinatorie ma c’è una torrefazione vicino al Consolato e se gira il vento e porta l’odore di caffè pioverà nelle seguenti dodici ore. Comprovato)
Non ricordarsi più cos’è la televisione e ricominciare un rapporto totalizzante ed erotico con la lettura. Il piacere di leggere, come quello di mangiare una tartiflette ben fatta in una serata di pioggia.
Le cortesie, le gentilezze millantate, i je vous en prie, i desolée.
Quella certa silhouette delle montagne dalla mia finestra, una specie di righello nel cielo dorato delle sette di sera.
Sentirmi stanca ma, nonostante tutto, soddisfatta.
Celia che dice orgiiia credendo significhi casino.
Alexandra che parla a raffica e non se ne rende conto. E che fa l’insalata di lenticchie fredde buona.
Suzie con cui non ci si riesce mai a mettere d’accordo per vedersi ma poi alla fine ci si vuole un gran bene.
Emilie così timida e riservata che all’inizio avevo paura di romperla con la mia veemenza.
Il Console che forse dopo 4 mesi ha capito. Che sono una persona seria solo per metà e che pur essendo ariete se mi si maneggia con delicatezza mi rovescio corna all’aria.
I cereali mangiati a manciate di nascosto nei momenti no. Che sono i momenti in cui ti chiedi se è rimasto qualcosa in frigo, lo apri e ti rispondi “No”.
Guardare quattro film di fila, alzarsi dal letto e non capire più niente.
Accorgersi che i bei tempi in cui non bastavano quattro bicchieri di rum a farmi ondeggiare sono passati. E che oggi dopo mezzo bicchiere di vino sono ubriaca.
Place Saint Léger con i caffè e la fontana e i negozietti quelli in cui porteresti a casa tutto. Maledetto Pier Import.
La Frite Dorée. La patatina dorata. Che non è il nome di una pornostar ma di un luogo di conforto per stomaci affamati e portafogli anoressici. Dieci euro di carne e patatine a volontà.
Il Pastis che mi fa schifo.
Il Kyr Cassis che è tutta vita.
I vini di Savoia che mi piacciono da morire e mi fanno ubriacare vedi sopra
Il lago di Acquabellina (Aiguebellette) con le paperelle e le barche a remi e un gruppo di russi che si esibisce in un tremendo spettacolo kitsch con tanto di matrioske (ici poupées russes)
Il Buisson Rond. Un parco bello, che la prima volta che ci sono stata mi stavano per violentare però un attimo prima avevo pensato che gli alberi erano proprio stupendi.
Essere sopravvissuta alla mia quasi-coinquilina. Che più mi sforzo e più non riesco tutt’oggi a trovare un episodio simpatico che la veda protagonista. Grazie di avermi dimostrato che il mio vaso prima di traboccare ha la stessa capienza di una petroliera.
La direttrice pedagogica che mi ha insegnato un sacco di parole e volgarissimi detti popolari in abruzzese. E che è stata un’ancora felice nei primi tempi in cui ancora dovevo imparare ad allacciarmi le scarpe e a rispondere Merci.
Leggere in francese e finalmente CAPIRE. Considerando che sono partita dalle confezioni dei Choco Pops.
Accorgersi che la lavanderia ha chiuso alle sei e che tu avevi tutte le coperte in lavatrice.
Guardare tramonti senza dire una parola.
Aprire gli occhi la mattina e stupirsi della perfetta razionalità del mio orologio biologico che mi preserva dall’infarto miocardico dettato dalla mia insopportabile sveglia sottoprezzo.
L’aria fresca che di solito è una cosa che si legge solo nei romanzi del dopoguerra e nei discorsi tra vecchi di paese. Ma qui uscire e prendere un po’ di aria fresca è meraviglioso.
Finestre aperte per la maggior parte del tempo.
Misurare distanze, vuoti e presenze.
Il disordine sempre e comunque alternato a momenti di ordine compulsivo e folle ripiegamento di vestiti e lenzuola.
La sera in cui traduco ai miei amici francofoni tutte le canzoni in dialetto vercellese e scopro che in molti casi le rime più scurrili restano tali.
Lacrime.
La prima volta che al telefono ho detto che avrei cercato una foglia invece che un foglio.
La prima volta che una signora alla stazione mi ha detto che non aveva capito che ero italiana.
La prima volta che ho dato indicazioni stradali e mi sono sentita un po’ meno ospite e un po’ più di qui.
Il mio vecchio ordinateur portatile che scricchiola e borbotta sempre di più ma che mi ha permesso l’ascolto pressochè ininterrotto di miliardi di canzoni.
Il passaggio di consegne alle ragazze italiane che verranno a prendere il mio posto; capisci che sei stato un po’ di tempo da qualche parte quando impari a snocciolare nomi di posti e vie con una precisione scientifica.
I viaggi in treno, imparare a memoria i profili delle montagne.
Sentirsi spesso sospesi, come in un elastico salto al rallentatore con le braccia protese in avanti e i piedi che volano sul vuoto.
Annecy che mi piace sempre e comunque.
Lione che mi ha rapito il cuore e che mi ha chiamato per nome.
Arles e il giardino dell’ospedale di Van Gogh pieno di fiori che ti strappano il cuore.
Il mare freddo e meraviglioso.
Paesaggi-cartolina nella testa, qualcosa di cui non parlerò a nessuno probabilmente.
L’ultimo sabato pomeriggio trascorso a leggere, dormicchiare e cercare di non abbandonarsi a facilissime malinconie.
L’ultima domenica sera a preparare una cena casalinga e a osservare stupita il primo tramonto dai colori autunnali.
Settembre che mi riporta a casa,
ed è già passata l’estate.
3 commenti:
"Che sia l’ultimo post di questo blog è probabile" NON TI PROVARE NEMMENO PER SCHERZO... E'vero che anche io sono assente da metà agosto (troppo lavoro, sigh), ma stavo quasi per scriverti x sapere se eri viva...
quindi, bando alle ciance e riallaccia l'ordinateur alla corrente continua italiana....
e poi, come faresti senza mettere enro su bianco i tuoi pensieri? Chi ama scrivere no può smettere...
accetterò la chiusurà di questo blog solo in caso di riapertura della "casa" ;)
uno dei post piu belli...se chiudi il blog ti capisco però pensaci due volte...
pepe
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