martedì, maggio 23, 2006

Chilometri, pessimi concerti, propositi e spropositi...


Per una che non è abituata a partire, tornare per qualche giorno è stata faccenda complessa. Ho macinato chilometri di treno verso Torino (dove ho mangiato un kebab in una decina di secondi scarsi sotto gli attoniti occhi dei presenti), chilometri di macchina verso Vercelli (sbagliando strada naturalmente, perchè io e il mio capitano di bordo siamo soliti perderci non solo in discorsi lunghissimi ma anche fisicamente in paesi della periferia torinese dal nome impronunciabile), chilometri di macchina verso Milano (per assistere a uno dei concerti più deludenti della mia vita, anzi al concerto più deludente perchè in fondo in quinta elementare Eros Ramazzotti per mano a mia zia non era poi stato troppo male) e poi ancora chilometri di macchina verso Vercelli (sbagliando strada a Rho e giungendo al mio giaciglio in stato confusionale). Saranno poi altri chilometri di treno a riportarmi tra le braccia della France e delle sue casette del playmobil con i tetti grigi sempre lucidi di pioggia perchè piove sempre.
Bella la Francia, le baguettes, i convenevoli, le viennoiseries, ma a chambéry il tempo è proprio una merda fatemelo dire, non per essere volgare, ma proprio per sottolineare il fatto che tra pioggia, vento gelido, umidità, nuvole che appaiono all'improvviso nella più miracolosa giornata di sole, l'estate sembra essere in coda al tunnel del Frejus.
Tra le cose di cui mi dispiaccio nel momento:
essere giunta a casa fisicamente stanchissima e poco reattiva nei confronti del mondo sociale; avere speso uno sproposito per un vestito con cui potrei andare a consegnare un oscar a george clooney e la gente chiederebbe "chi è quel ragazzo vicino alla Frà?";
avere assistito al concerto dei Belle and Sebastian ed essermi annoiata da morire;
non avere chiesto alla mia vicina di treno come facesse ad avere il Monde del giorno dopo;
Poi non so.
Ho una sensazione addosso che in realtà è un desiderio di trovare finalmente un posto in cui stare nascosta e non pensare almeno per due settinane, seriamente, al mio futuro, alle voci che dicono di studiare ancora, alle voci che dicono di non lasciarsi sfuggire occasioni d'oro.
La mattina mi sveglio e guardo quella pianura enorme tutt'intorno e mi domando se quell'assenza di confini non mi abbia condizionato nel profondo.
Ma poi è già tempo di fare lo zaino e macinare altri chilometri al contrario.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

certo che annoiarsi ai belle and sebastian, è la svolta. la svolta di chi vuole stare nascosta e non pensare ma che, puffete!, torna a camminare, con un vestito nuovo e una strada con più alberi altissimi e verdi ai lati.
eppi

Anonimo ha detto...

Se c'è una cosa che ho capito in questi quattro anni di università e che mi ha fatto andare meravigliosamente fuori corso è questa: che il mondo è fuori dai libri di studio; che le occasioni perse a vent'anni ripassano quando sei ormai troppo vecchio per riabbracciarle con entusiasmo; e che amo il mio paesello con il suo dialetto, le sue vecchiette che cuciono e rammendano sulle panchine e le sue storie perse nel tempo che fu... In fondo non importa se buona parte delle persone che vi abitano non mi stimano, mi deridono o mi odiano e non importa se le persone a cui tengo se ne stanno allontanando... Sento qui le mie radici e sento che ancora alcune cose mi commuovono e mi emozionano al punto da produrre poesia... L'assenza di confini serve a spingere lontani gli occhi ma a tenere vicino il cuore...