martedì, maggio 23, 2006

Homethoughts from abroad

Nella borsa di paglia, insieme al biglietto del treno, al cellulare, al lettore mp3 e a un buono sconto per il Monoprix locale, c’è il mio primo mese all’estero, stipato in fretta stamattina appena sveglia, nella confusione di occhi ancora chiusi che si preparano la colazione inciampando in mobili e cuscini. Stasera ritorno in patria per qualche giorno e spero in un po’ di sole che qui si vede davvero poco tanto da essermi ormai convinta che Chambéry sia la città più piovosa di Francia. Il mio primo mese in cui ho fatto di tutto, la cameriera , la centralinista, l’interprete, la fotografa, l’organizzatrice di eventi, la casalinga. Beh, se non altro si puo’ dire che possiedo uno spiccato spirito di adattamento. Che la stanza che occupo non sono più quattro pareti ma la mia piccola casa estera con la finestra da cui si vede il castello, il letto scomodo, i cuori di carta appesi alle pareti e il portacenere sul davanzale che guardo pensosa sperando di poterlo lasciare vuoto prima o poi.
Ho il treno alle sei meno un quarto e ho messo la gonna nuova sfidando le onnipresenti nuvole nel cielo. Perché fondamentalmente la cosa che mi manca di più è l’estate e per il resto penso alle persone cui voglio bene con affetto, più sicura che stiano andando avanti come al solito, in queel modo coraggioso che mi piace tanto. Allora quasi non ho bisogno di sentirle per telefono o di vederle perché osservarle da lontano è un gesto pieno di tenerezza.
Le distanze cancellano i particolari stupidi e danno una meravigliosa visione di insieme.
Le distanze permettono a certi pensieri di allungarsi come ombre che partono dalla punta dei piedi e arrivano fino all’orizzonte.
E, a volte, vanno oltre.

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